L'intervista di Osservatorio Malattie Rare al prof. Claudio Bordignon, fondatore di MolMed S.p.A. e attuale consulente scientifico dell'azienda
Nel libro “E l’uomo creò l’uomo”, la biologa Anna Meldolesi racconta in maniera accattivante, precisa e coinvolgente l’avvento dell’editing genomico e la nascita della tecnologia CRISPR, che da qualche anno è la parola che, più di ogni altra, echeggia nei corridoi dei laboratori di ricerca. Ma la terapia genica in senso lato implica l'impiego di tecniche differenti da CRISPR-Cas9, tra cui quella che si basa sulle cellule CAR-T, fiore all’occhiello dei trattamenti immunoterapeutici.
Con un po’ di fantasia, e inoltrandosi nel mondo del cinema, CRISPR-Cas9 e le cellule CAR-T possono essere paragonati a Steve McQueen e Paul Newman, due icone di Hollywood così simili e così profondamente diverse. Entrambi indimenticabili. Nonostante ancora oggi la gente simpatizzi per l’uno o per l’altro, essi sono entrati insieme nella leggenda. Questa piccola licenza di tipo cinematografico serve a sottolineare come oggi la ricerca in campo medico – esattamente come il cinema negli anni ’60 e ’70 – disponga di due cavalli di battaglia che potrebbero cambiare l’attuale prospettiva terapeutica per tante patologie.
All’ultimo Festival della Scienza di Genova ha partecipato anche il prof. Claudio Bordignon, fondatore di MolMed S.p.A. ed ex presidente del Consiglio di Amministrazione della stessa azienda biotecnologica, focalizzata su ricerca, sviluppo, produzione e validazione clinica di terapie geniche e cellulari per la cura di cancro e malattie rare, con la quale continua a collaborare come Chairman dello Scientific Advisory Board. Il prof. Bordignon è intervenuto nel corso di una sessione dal titolo emblematico “Gene & Cell Therapy, la nuova frontiera della medicina”. Nella Sala del Minor Consiglio del Palazzo Ducale si è, infatti, tenuta un’interessante discussione su che cosa sia la terapia genica e su quali possano essere le sue applicazioni nel mondo della medicina.
“L’editing genomico non è la sola via a disposizione per eseguire modificazioni terapeutiche dell’assetto genico”, afferma Bordignon. “Diversamente dall’editing genomico, oggi la terapia genica sfrutta prevalentemente i vettori virali classici come i retrovirus o i lentivirus per aggiungere un gene all’interno di una cellula, in un punto casuale del genoma, permettendo di eseguire una correzione genica. Le prime procedure approvate nell’uomo contro le malattie genetiche e i tumori sono state possibili tramite l’inserimento, grazie a questi vettori, di un gene specifico. Diverso è il caso dell’editing genomico, che permette di rimuovere il gene alterato oltre a correggerlo ripristinando la sequenza naturale”. Nel suo libro, Anna Meldolesi afferma che all’inizio la terapia genica si poteva paragonare all’aggiunta di un terzo fanale ad un’auto che avesse uno dei due fari anteriori danneggiati. Così facendo il fascio di luce viene ripristinato ma l’aggiunta di un terzo faro non equivale alla riparazione di quello rotto. L’editing del genoma è in grado di colpire la sezione alterata del DNA da cui trae origine una malattia e, così facendo, ripristina la condizione originale eliminando le sequenze che contengono uno o più errori. Il sistema CRISPR, pertanto, può potenzialmente permettere di fare cose che, fino a qualche anno fa, i ricercatori potevano solo sognare; tuttavia, i tempi per la sua traduzione nella routine clinica non sono ancora maturi, perché la tecnica si trova in una fase che prevede la valutazione della sicurezza dei protocolli. Specificamente, sul tema della sicurezza di CRISPR-Cas9, uno studio recente del gruppo di Alan Bradley, del Sanger Institute (Regno Unito), ha rivelato che la tecnologia può causare ampie delezioni e riarrangiamenti complessi e, al momento, i primi protocolli di applicazioni cliniche con CRISPR sono avviati solo in Cina (studi NCT03044743 e NCT03164135) nel contesto dell’immunoterapia dei tumori.
“Dal momento in cui si è visto di poter trasferire un gene capace di svolgere una funzione, in un certo senso la fantasia ha cominciato a immaginare in che modo applicare questa rivoluzionaria tecnologia ad ambiti diversi e, in campo medico, a patologie diverse, dalle malattie genetiche rare ai tumori”, prosegue Bordignon. “In MolMed, la società che ho fondato e di cui ero Presidente fino a qualche settimana fa, l'attività di ricerca si è concretizzata in una pipeline oncologica in cui è stata sviluppata una terapia cellulare ex-vivo, denominata Zalmoxis® (TK) e basata sull’ingegnerizzazione del sistema immunitario, che consente il trapianto di cellule staminali ematopoietiche da donatori parzialmente compatibili in pazienti affetti da leucemie e altri tumori del sangue ad alto rischio, in assenza di immuno-soppressione”. MolMed è una biotech che ha sviluppato un modello di business duale, affiancando all'attività di Ricerca & Sviluppo sui propri prodotti oncologici quella della produzione GMP (Good Manufacturing Practice) di vettori virali e di cellule geneticamente modificate per terze parti. “L’immunoterapia dei tumori è oggi l’approccio più concreto e promettente della terapia genica e cellulare contro il cancro. Se, invece, si ambisce a correggere le sequenze alla base della trasformazione tumorale non si può non ammettere che il settore si trovi ancora in una fase primordiale”, spiega Bordignon. “Questo perché il processo di cancerogenesi è estremamente complesso, come lo è la comprensione della 'staminalità' del tumore e dell’evoluzione delle mutazioni alla base della trasformazione tumorale, che non possono certo essere tutte sostituite con le sequenze corrette”.
“La terapia genica dei tumori prevede quindi un approccio più semplice e diretto”, aggiunge Bordignon. “Le cellule tumorali espongono sulla superficie degli antigeni che le rendono diverse dalle altre cellule del nostro organismo. Oggi è possibile modificare geneticamente un linfocita, nato per uccidere una cellula o altro organismo riconosciuto come estraneo, e armarlo con un recettore che riconosca l’antigene espresso dalla cellula tumorale, per fare in modo che il linfocita attacchi il tumore e lo elimini. È un approccio più drastico rispetto all’editing del genoma di una cellula tumorale, e ha trovato nelle cellule CAR-T un esempio eclatante grazie al quale sono stati tagliati traguardi notevoli nei centri di ricerca americani di Philadelphia, New York e Seattle e, più di recente, all’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. I primi gruppi che hanno raggiunto la fase di sperimentazione sull’uomo hanno potuto trattare le leucemie pediatriche e dell’adulto, ma il salto che porta al trattamento del tumore solido, sebbene sia più difficile ,appare promettente: si intravedono già risultati interessanti, come quelli, ad esempio, ottenuti in modelli sperimentali pre-clinici con il CAR-T CD44v6, l’immunoterapia antitumorale di MolMed”.
Grazie allo studio di modelli animali che riproducevano il carcinoma polmonare e il melanoma, è stato possibile, infatti, confermare l’attività delle cellule CAR-T CD44v6 nei tumori solidi. Non soltanto il CAR-T CD44v6 ha già dato buoni riscontri nei modelli di trattamento di tumori ematologici, ma ha mostrato di riuscire a rallentare la crescita dei tumori e aumentare la sopravvivenza degli animali con carcinoma del polmone e melanoma, anche riducendone le metastasi. “I risultati degli studi più recenti hanno confermato l’elevato potenziale di CAR T CD44v6 oltre che su tumori del sangue, come la leucemia mieloide acuta, anche su tumori solidi e sulle metastasi che esprimono l’antigene CD44v6”, precisa Bordignon. “Sulla base di questi promettenti dati pre-clinici MolMed ha in corso una richiesta alle autorità competenti per avviare la sperimentazione sull’uomo”.
L’obiettivo che aziende come MolMed si pongono è portare ai pazienti terapie innovative ed efficaci per il trattamento dei tumori. Ciononostante, è fondamentale poter effettuare un’attenta valutazione farmaco-economica, perché i costi di sviluppo di queste tecnologie sono piuttosto elevati. “Il processo regolatorio utilizzato per tali innovative terapie è in gran parte simile a quello utilizzato dei farmaci classici”, conclude Bordignon. “Questo, insieme alla grande complessità dei programmi e agli elevati costi di produzione e dei reagenti, rende l’iter non sempre snello. Nell’ambito delle malattie genetiche rare, il costo elevato di queste terapie è bilanciato dalla rarità delle patologie e dal carattere risolutivo della cura. Questo è particolarmente vero per malattie genetiche che oggi necessitano del trattamento con un enzima sostitutivo per l’intera durata di vita del paziente. Laddove ci si sposti, invece, nell’area dell’oncologia e dell’onco-ematologia, il discorso si fa più complesso e non si limita ai pur eccellenti risultati in termini di risposta terapeutica, ma si deve estendere alla valutazione degli ingenti costi evitati, alle modalità di pagamento e rimborso, fino allo sviluppo delle nuove tecnologie allogeniche, che permetteranno di incidere significativamente sui costi di produzione, ampliando significativamente il numero di pazienti trattabili con un singolo lotto di cellule CAR-T. Una lunga strada ancora da percorrere, quindi, che prevede una responsabilità collettiva degli enti regolatori e pagatori e delle aziende che sviluppano queste terapie, per riuscire a rendere più lineare il processo di approvazione e il conseguente accesso dei pazienti alle stesse”.
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