Troppe le spese sostenute, specie in ambito medico. Ancora molto da fare per l’inclusione di bambini e ragazzi e nel mondo del lavoro
Le persone con disabilità in Italia sono poco meno di 13 milioni, tra di loro sempre più anziani, ma anche moltissime persone con malattie rare. Di queste oltre 3 milioni sono in condizione di grave disabilità. Tra le persone con disabilità grave, quasi 1 milione e 500 mila ha una età superiore a 75 anni (fonte ISTAT).Secondo l’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, diretto dal Prof. Walter Ricciardi presso la sede di Roma dell’Università Cattolica, le persone adulte con disabilità spesso vivono da sole, e i servizi loro dedicati sono scarsi, come pure le risorse stanziate a loro favore (28 miliardi di euro, quasi tutti impiegati per erogare pensioni – dati 2018). E nel nostro Paese quasi una persona disabile su tre (32,1%) è a rischio di povertà.
Ricorre domani, 3 dicembre, la Giornata internazionale dedicata alle persone con disabilità, promossa dalla Commissione Europea in accordo con le Nazione Unite. Ma qual è effettivamente la condizione di salute delle persone con disabilità in Italia?
I DATI GENERALI SULLA DISABILITÀ IN ITALIA
Secondo il più recente Rapporto Osservasalute (2022) le condizioni di salute e psicologiche delle persone con disabilità sono precarie: il 58,1% si dichiara in cattive condizioni di salute, il 6,2% lamenta problemi di depressione. I problemi di salute sono acuiti dalle difficoltà con le quali le persone con disabilità hanno accesso alle cure, come testimonia il fatto che il 15,7% ha rinunciato, nel corso dell’ultimo anno, a prestazioni o cure sanitarie per motivi economici. Inoltre, queste persone sperimentano molto spesso anche il ritardo con cui accedono alle cure, infatti sono il 21,3% delle persone con disabilità che lamentano questo problema.
Le famiglie con disabili si trovano a sostenere frequentemente costi per le cure, sono infatti il 79,2% quelle che affrontano spese mediche, il 91% quelle che acquistano medicinali e il 33,1% che affrontano spese per le cure dentistiche. Tutte queste voci di spesa hanno un’incidenza più elevata per le famiglie con disabili rispetto al resto delle famiglie e molto spesso rappresentano per esse un onere pesante: per una famiglia su due le spese per visite specialistiche e accertamenti diagnostici sono un onere pesante (contro il 29,2% del resto delle famiglie residenti in Italia), il 43% ritiene che siano un onere pesante anche le spese per medicinali (contro il 19,5% a livello medio nazionale), e il 56,7% trova onerose le spese per cure dentistiche (contro il 38,6% osservato a livello nazionale) (fonte: Istat – 2019)
Circa un terzo delle persone con disabilità grave vive da solo, tra gli ultrasettantacinquenni la quota sale al 42%. Il problema più grave è la perdita di autonomia, infatti l’11,2% degli anziani (1 milione e 400 mila persone) ha gravi difficoltà in almeno un’attività di cura della persona, soprattutto tra gli ultrasettantacinquenni (1 milione e 200 mila): in questa fascia di età un anziano su cinque riporta tali difficoltà.
BAMBINI E RAGAZZI
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel mondo il 3% di bambini e ragazzi sotto i 18 anni ha bisogno di riabilitazione, perché disabile. In Italia, su circa 9.000.000 di soggetti di età compresa tra 0 e 18 anni, secondo le proiezioni OMS, sono oltre 270.000 quelli affetti da disabilità che necessitano di riabilitazione.
Secondo quanto indicato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità (Convention on the Rights of Persons with Disabilities, CRPD) i bambini con disabilità “comprendono coloro che presentano menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che, in interazione con varie barriere, possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza”.
In occasione della Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità la SINPIA, Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, ha ribadito l’importanza di un modello di cura “Family Centered”, sempre più diffuso in tutto il mondo, che sottolinea la centralità della famiglia nella vita del bambino e dell’adolescente con problemi di disabilità, e soprattutto della necessità del suo coinvolgimento attivo e partecipativo lungo tutto il percorso di cura.
“I bambini con disabilità - sottolinea la Prof.ssa Elisa Fazzi, Presidente SINPIA, Direttore della U.O. Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza ASST Spedali Civili e Università di Brescia – possono essere affetti da disturbi estremamente diversificati: forme genetiche e neurologiche, disturbi precoci del neurosviluppo, forme susseguenti a eventi lesivi gravi, specie se coinvolgono il sistema nervoso centrale come un evento traumatico, tumori o suoi esiti o un'infezione, che comportano conseguenze funzionali a lungo termine o per l’intero life-span”.
Secondo il modello bio-psico-sociale, tra i bambini con disabilità sono compresi anche tutti coloro che hanno subito danni a causa di gravissimi eventi traumatici e stressanti: migrazioni, guerre o deprivazioni ambientali.
LA PERCEZIONE DELLA DISABILITÀ IN ITALIA
4 italiani su 5 hanno esperienza diretta o indiretta con la disabilità. 1 intervistato su 5 ha un familiare portatore di disabilità. Eppure, c’è ancora disagio e impaccio – in circa il 50% dei casi - di fronte a chi vive questa condizione.
Conoscere la disabilità da vicino, anche solo temporaneamente, ci rende più ricettivi e sensibili al tema (questo vale per 2 italiani su 3) ma esiste un netto sfalsamento tra quanto reputiamo svantaggiate – a livello educativo, formativo e professionale – le persone con disabilità rispetto a come invece, al contrario, si percepiscono loro effettivamente: integrate e con buone prospettive di inclusione sotto molti aspetti. Su una cosa però l’opinione è unanime: una risposta alle sfide della disabilità sta nell’avanzamento tecnologico e nell’innovazione.
Questo emerge da una recente indagine sulla percezione della disabilità condotta da SWG su un campione di mille italiani e voluta da Sanofi nell’ambito del Contest Make to Care.
La ricerca ha voluto approfondire l’approccio alla disabilità sotto più punti di vista - chi la vive sulla propria pelle, chi la sperimenta in quanto famigliare o caregiver e chi l’ha vissuta solo temporaneamente (ad esempio, come effetto collaterale del Covid), restituendo un quadro molto sfaccettato e complesso, che lascia spazio anche ad alcune discrepanze, talvolta paradossali. Rispetto alle opportunità di inclusione, ad esempio, i portatori di disabilità da un lato si considerano più spesso inclusi di quanto siano riconosciuti dal totale del campione, dall’altro, vedono più spesso la loro condizione in peggioramento rispetto a 10 anni fa.
Certamente, emerge ancora una sorta di “inabilità sociale” verso la condizione di disabilità. Più di 1 italiano su 3 (quasi 1 su 2 quando si parla di disabilità psichica o cognitiva) ha dichiarato di non sapere come reagire e comportarsi di fronte a una persona con disabilità. Le emozioni quindi rappresentano ancora una barriera, piuttosto che una risorsa che alimenti attenzione e empatia verso una persona che vive con disabilità.
Rispetto alle opportunità offerte dalla tecnologia, le innovazioni più utili, che secondo gli italiani influiscono maggiormente nell’aumento dell’integrazione nella società delle persone affetta da disabilità, sono gli strumenti che permettono di comunicare e udire a chi non può farlo (89%), quelli che consentono di muoversi in autonomia (88%) e le tecnologie che consentono di essere in contatto con amici e parenti (90%).
Le tecnologie sono percepite quindi da tutti gli intervistati sì come fondamentali ma, anche qui, l’impatto è ritenuto più marginale rispetto alle disabilità psichiche e cognitive: il 50% dell’intero campione rimane concorde però sul fatto che è proprio sugli strumenti tecnici e tecnologici che dovrebbero concentrarsi le priorità della politica e gli incentivi a disposizione.
LA DISABILITÀ NEL LAVORO
Le aziende italiane sono ancora poco strutturate per gestire l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità e spesso non vanno oltre gli adempimenti previsti dalla legge. In occasione della Giornata internazionale dei diritti delle persone con disabilità, il sondaggio realizzato da Jointly, prima B Corp in Italia nel settore del Corporate Wellbeing, evidenzia come, a fronte di un’incidenza della disabilità che riguarda il 42% delle aziende intervistate, solo 3 su 10 si sono dotate di una funzione dedicata a supportare l’inserimento lavorativo di questa tipologia di lavoratori, mentre il 6% ammette di ricorrere al pagamento delle sanzioni previste per la mancata assunzione della quota di assunzioni prevista per legge.
Alla ricerca realizzata per indagare i diversi approcci che le aziende italiane adottano nella gestione dei collaboratori con disabilità, hanno partecipato 88 aziende di medie e grandi dimensioni, la metà delle quali fa parte di un gruppo multinazionale con più di 500 dipendenti.
Nell’ambito del campione di aziende intervistate, le forme di disabilità più rappresentate sono quella fisica (42%), viscerale, come ad esempio diabete, malattie cardiache o metaboliche (40%) – che comprende diabete, malattie cardiache, malattie metaboliche - seguite da quelle di tipo sensoriale (33%), multipla (25%), intellettiva (20%) e mentale (20%). Riguardo i settori di impiego, quelli che contano una maggiore presenza delle persone con disabilità sono quelli dedicati alle attività di backoffice, come i servizi generali e di facility management (26%) e quelli di amministrazione e finance (23%), seguite dai servizi informatici(18%), risorse umane (18%) e vendite (8%).
Per rispondere alle esigenze di questa specifica tipologia di lavoratori, però, le aziende sono ancora poco strutturate, e scarso (8%) risulta anche il ricorso agli strumenti di tipo normativo che puntano a facilitare l’inserimento in azienda delle persone con disabilità, come i fondi dedicati a livello regionale e ministeriale. I supporti più utilizzati risultano, invece, essere le convenzioni e i tirocini concordati con gli uffici preposti al collocamento mirato (30%), il collocamento mirato attraverso i Centri per l’impiego, segnalato da 4 risposte su 10, e lo smart working, menzionato dal 41% degli intervistati.
Rispetto al reclutamento delle persone con disabilità, un’azienda su 3 ha un approccio “burocratico”, attenendosi agli obblighi di legge e stipulando convenzioni con cooperative o enti specializzati nella somministrazione di lavoro a questa tipologia di collaboratori. Ci sono però anche aziende che scelgono di occuparsi direttamente della selezione dei candidati con disabilità (35%), sulla base delle loro competenze, con un 30% che gestisce internamente gli aspetti legati all’assunzione di persone con disabilità.
L’inserimento da solo non basta: perché le persone con disabilità possano esprimere il proprio potenziale al lavoro, è necessario che tutta l’organizzazione – e in particolare i team nei quali vengono inserite – siano ingaggiati e formati per tempo.
Ad oggi il 23% delle aziende dichiara di aver istituito campagne di comunicazione interna e momenti di sensibilizzazione per favorire la collaborazione tra colleghi, mentre solo il 12% ha definito un Manifesto sul Diversity Management. Un impegno che è però valorizzato, dove c’è nei bilanci di sostenibilità: un’azienda su cinque (21%) lo rendiconta. L’impegno in alcuni casi (16%) si estende anche alla definizione di percorsi di carriera calibrati sulle competenze delle persone con disabilità.
IL MODELLO DI WELFARE ITALIANO
Il modello di welfare italiano si caratterizza per una tipologia di interventi basati sui trasferimenti economici, quasi tutte pensioni, piuttosto che servizi, in particolare su 28 miliardi di spesa quasi 27 sono trasferimenti monetari, pari al 96,4% della spesa totale. Nei principali Paesi europei la quota di trasferimenti si attesta intorno al 70%.
Sono principalmente i trasferimenti pensionistici a sostenere queste persone, nel 2019 il reddito medio di un pensionato con disabilità è pari a 15 mila e 500 euro lordi, sale a 20 mila per le persone ultrasessantacinquenni. Gli importi medi più elevati si riscontrano nel Nord dove si attestano a circa 17 mila euro annui, sotto i 14 mila euro, invece, la pensione lorda per una persona con disabilità nel Mezzogiorno.
A rilevarlo è il report “Disabilità, lavoro e inclusione in Italia: Una migliore valutazione per una migliore assistenza” dell'Ocse, che ci offre una lunga serie di dati ottimi per una riflessione ad ampio raggio.
Solo l’11,9% delle persone con disabilità è occupato, la scarsa partecipazione al mondo del lavoro, quindi la ridotta capacità di produrre reddito, fa sì che le famiglie in cui vivono persone con disabilità abbiano seri problemi economici. A questo proposito i dati evidenziano che una famiglia con almeno una persona con disabilità percepisce, mediamente, un reddito medio equivalente pari a 19 mila 500 euro annui, circa 1.000 euro in meno di quello delle famiglie senza persone con disabilità, pari a 20 mila 589 euro. Inoltre, per effetto delle ingenti spese che le famiglie devono sostenere per le cure e l’assistenza, il reddito è largamente insufficiente per il loro fabbisogno. Infatti, il 32,1% delle persone con disabilità è a rischio di povertà o di esclusione sociale e circa un quinto è in condizione di grave deprivazione materiale. Si tratta di famiglie che non sono in grado di spendere per riscaldare adeguatamente l’abitazione, affrontare una spesa imprevista di 800 euro, di consumare un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni, o concedersi una settimana di vacanza.
L’Italia cerca da tempo di riformare la sua politica sulla disabilità per affrontare almeno tre problemi di lunga data: le incongruenze con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che richiedono un aggiornamento nella valutazione della disabilità; la frammentazione della valutazione e del supporto alla disabilità; e le conseguenti disparità tra le regioni italiane nell’offerta di servizi per la disabilità e nell’utilizzo delle prestazioni per la disabilità.
I divari occupazionali e di povertà tra persone con e senza disabilità sono relativamente bassi e inferiori alla media OCSE. Tuttavia, questo risultato non è spiegato da tassi di occupazione più elevati o da tassi di povertà più bassi tra le persone con disabilità in Italia. I divari di disabilità più bassi in Italia sono dovuti a bassi livelli di reddito e occupazione anche per le persone senza disabilità. Ciò evidenzia la necessità di considerare ulteriori ambiti di riforma per migliorare i risultati sociali e occupazionali per tutte le persone in Italia, a vantaggio anche delle persone con disabilità.
Le prestazioni e i servizi per la disabilità disponibili in Italia sono relativamente generosi e le persone che hanno diritto a prestazioni e servizi sono quindi relativamente ben supportate.
Tuttavia, il ricorso ai supporti è spesso basso, sia per la complessità del sistema che per la mancanza di risorse, e le persone che ne sono escluse sono spesso vulnerabili. Ciò evidenzia l’importanza cruciale della valutazione della disabilità nel determinare chi va supportato e chi escluso. Molte delle persone escluse devono affrontare ostacoli significativi nell’accesso al lavoro e all’integrazione sociale e il supporto alle persone con disabilità varia da regione a regione. Le regioni più ricche del Nord del Paese sono maggiormente in grado di fornire servizi essenziali per la disabilità rispetto alle regioni più povere del Sud. Per contro, il ricorso alle prestazioni di disabilità, che sono finanziate interamente dai bilanci nazionali, è molto più elevato nel Sud ed è aumentato nell’ultimo decennio. Il maggior utilizzo nel Sud (5-7% della popolazione in età lavorativa, rispetto a solo il 2-3% del Nord) è anche in parte una conseguenza dei maggiori incentivi finanziari a richiedere le prestazioni per le persone che vivono nelle regioni più povere: essendo identici in tutta Italia, le prestazioni di invalidità non contributive sono più attraenti, rispetto ai salari più bassi e alle condizioni economiche più povere di quelle regioni, sebbene i pagamenti non siano eccessivamente generosi.
Le disuguaglianze regionali sono anche legate alle differenze nella valutazione della disabilità, sia tra le regioni che all’interno delle stesse. La valutazione dello stato di disabilità, che determina la percentuale di invalidità civile e l’idoneità alle prestazioni e ai servizi nazionali, è supervisionata dall’Istituto Nazionale di Sicurezza Sociale (INPS), ma attuata a livello provinciale con un notevole grado di discrezionalità. Inoltre, l’ordinamento italiano prevede cinque diverse valutazioni dello stato di disabilità in parallelo, rendendo il sistema inefficiente e difficile da comprendere. Le valutazioni dei bisogni, che determinano l’idoneità ai servizi di livello subnazionale, vengono effettuate a livello locale, con notevoli variazioni tra le diverse aree del Paese, ma generalmente con una forte attenzione ai bisogni reali delle persone con disabilità.
ATTENDIAMO CHE LA LEGGE DELEGA SIA ATTUATA
Con l’approvazione, lo scorso 3 novembre, di due decreti attuativi della legge “Delega al governo in materia di disabilità” (Legge 227/2021), dal 1° gennaio 2025 lo scenario normativo di riferimento per le persone con disabilità sarà completamente rivoluzionato
Dei due, il decreto maggiormente rappresentativo del cambio di prospettiva e di approccio al tema delle disabilità è quello recante “Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato”.
Il D.Lgs non solo ridefinisce la condizione di disabilità e introduce l’accomodamento ragionevole, ma riforma anche le procedure di accertamento e la valutazione multidimensionale per l’elaborazione e l’attuazione del progetto di vita individuale e personalizzato.
La riforma – si legge nella nota diffusa dal Governo in occasione dell’approvazione – è una tappa importante per la piena applicazione della Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità e si allinea a quanto previsto dall’Agenda Europea 2021-2030.
Le procedure entreranno in vigore con una sperimentazione che partirà il 1 gennaio 2025 e avrà la durata di 12 mesi. Finito l’iter di approvazione della norma, come previsto dalla milestone del PNRR entro giugno 2024, quindi dopo il passaggio in Conferenza unificata e al Consiglio di stato e prima di andare ai pareri delle commissioni interessate di Camera e Senato, inizieremo un intenso percorso di formazione che coinvolgerà enti e territori per l’elaborazione del progetto di vita. Attendiamo dunque con ansia l'attuazione della riforma.
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