In questi ultimi anni la scienza ha dedicato una sempre maggiore attenzione alle malattie neuromusolari e in particolare alla Sclerosi Laterale Amiotrofica- SLA. Questo fiorire di studi ha portato a molte nuove ipotesi sulle cause della malattia – tra cui l’individuazione di alcuni geni predisponesti – e sulle cause scatenanti del male, che potrebbero essere tra l’altro l’esposizioni a fattori tossici come pesticidi e altri agenti tossici. Nonostante ciò per la SLA  c’è attualmente una cura o terapia in grado di arrestarne definitivamente la progressione: la strada per una terapia in grado di bloccare la neurodegenerazione a livello iniziale è ancora lunga. Secondo un articolo pubblicato nel numero di agosto di Neurology infatti nemmeno il Litio, al quale in molti avevano guardato con occhi pieni di speranza dopo i risultati incoraggianti di uno studio italiano, sembra essere una terapia efficace e ben tollerata.

Uno studio italiano condotto su 117 pazienti è infatti stato interrotto prematuramente nel novembre 2009, dopo un anno dall’avvio, per il gran numero di abbandoni dovuti agli effetti collaterali, alla sensazione dei malati che il farmaco non desse effetti benefici o perché nel frattempo le loro condizioni erano severamente peggiorate e in alcuni casi era sopraggiunta la morte. Su 171 pazienti infatti ben 117 hanno abbandonato prima del termine la sperimentazione. Lo studio che ha coinvolto in Italia 21 centri di cura per la Sla ha diviso i malati in due gruppi ai quali è stata somministrata una dose differente del farmaco. Tuttavia i dati hanno dimostrato che indipendentemente dalla dose i farmaco non era ben tollerato dai malati.
L’interesse per l’impiego del Litio era cresciuto quando un piccolo studio pubblicato nel febbraio 2008 e condotto su 16 malati con ridotte aspettative di vita (meno di un anno) sembrava averne prolungato la sopravvivenza. Lo studio in questione era stato pubblicato da Francesco Fornai dell’Università di Pisa che per l’occasione aveva detto: “I 16 pazienti cui sono stati somministrati i sali di litio non hanno avuto nessun significativo peggioramento della malattia contro un declino del 50% registrato nei pazienti di controllo già dopo tre mesi di studio” e lanciato subito l’idea di condurre uno studio più ampio.
Così è stato fatto ma lo studio multicentrico, condotto dal prof. Adriano Chio dell’Istituto di Neuroscienze dell’Università di Torino, sembra proprio non confermare quei primi risultati ma dimostrare invece l’alta tossicità del farmaco e una mortalità dei pazienti uguale a quella di coloro che seguivano la terapia classica con il Riluzolo. Non che l’uso del Litio non sia teoriacamente giustificato, come ha spiegato lo stesso Chio, visto che “potrebbe avere effetto su uno dei meccanismi apparentemente legati alla degenerazione dei motoneuroni nella SLA, cioè l'accumulo di proteine patologiche nel neurone stesso”. Però ciò che per ora è dimostrato è che sia nella dose usata nel primo studio che in una dose più bassa gli effetti tossici rendono il farmaco non tollerato e gli effetti contrari non sono giustificati da evidenti benefici. L’unica pecca dello studio è che ai pazienti sono state date due dosi di farmaco del tutto differenti ma in nessuna caso è stato trattato un gruppo con il placebo, servirebbe questo ultimo confronto per togliere ogni dubbio sull’efficacia del Litio. Tuttavia proprio per il fatto in entrambe i gruppi i pazienti hanno mostrato forti effetti avversi lo stesso Chio dubita che altri studi possano confermare un effetto benefico del Litio.

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