Paralimpiadi Parigi 2024, intervista ad Eva Ceccatelli

Dopo aver dovuto rinunciare a una carriera come pallavolista a causa della sclerodermia, Eva è potuta tornare alle competizioni grazie al sitting volley e oggi è una delle colonne della Nazionale

Si è innamorata della pallavolo quando aveva solo 9 anni e in breve tempo è diventata un’atleta professionista. Eva Ceccatelli giocava ai massimi livelli quando, all’età di 25 anni, ha dovuto interrompere la sua brillante carriera sportiva per via della sclerosi sistemica, nota anche come sclerodermia: una malattia autoimmune cronica che provoca l’ispessimento e l’indurimento della pelle e del tessuto connettivo, con sintomi molto variabili ma che spesso includono fenomeno di Raynaud, gonfiore e rigidità di mani e piedi, ulcere cutanee e difficoltà respiratorie. Classe 1974, pisana, dipendente pubblica presso la Scuola Superiore di Studi Universitari e di Perfezionamento Sant’Anna, dal 2016 ha ritrovato la sua vecchia passione per la pallavolo grazie al sitting volley e oggi è in partenza per la sua seconda Paralimpiade, dopo i Giochi di Tokyo 2020.

Da giovane vivevo praticamente in palestra”, racconta a OMaR. “A 16 anni giocavo in serie B, a 22 in serie A1 e, al tempo stesso, facevo l’allenatrice: era quello il mio mondo”. Poi nel 1999 la comparsa dei primi sintomi, il sospetto di sclerodermia e, due anni, dopo la diagnosi conclamata. “Tutto è cominciato con il fenomeno di Raynaud, un’alterazione della circolazione del sangue che di solito colpisce i piedi e le mani. In particolare, a un certo punto mi sono ritrovata un edema sulle mani, unito a un’ipersensibilità alle basse temperature: a contatto con l’acqua fredda le dita diventavano bianche e doloranti. Poi piano piano la circolazione si riattivava e le dita, da bianche, volgevano al viola, ma anche quando tornavano normali la sensazione di gonfiore restava. Due mesi dopo mi sono ritrovata con una cancrena alle mani”. Per fortuna, ad Eva la malattia è stata diagnosticata piuttosto rapidamente. Dopo una prima serie di esami andanti a vuoto, la giovane si rivolge all’Unità Operativa di Reumatologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, presso l’Ospedale Santa Chiara, dove i medici intuiscono presto di cosa si tratti. “Sono stati bravi e professionali, mi hanno spiegato che la sclerodermia è una patologia grave ma mi hanno anche saputo indicare come tenerla sotto controllo”, commenta.

In poco tempo Eva si ritrova in ospedale, dove trascorre quasi sei mesi per bloccare la cancrena alle dita. Ma il peggio, forse, è che deve mettere da parte gli investimenti di una vita: la pallavolo, che è la sua passione ma anche il suo lavoro, sembra ormai un capitolo chiuso, non c’è altra scelta che ricominciare tutto daccapo. “Fino a qualche mese prima ero una sportiva ma di colpo quasi non riuscivo più a impugnare una forchetta: è stato davvero difficile”, dice. “Malgrado ciò, il fatto di essere un’atleta mi ha aiutato a non buttarmi giù. Ho affrontato ogni singolo giorno come una partita da giocare, ma questa volta in ballo c’era la mia salute e la scommessa di tornare a fare una vita più o meno normale.”

Un po’ alla volta le cose si assestano e un anno dopo Eva ritorna in palestra come allenatrice, ma non in campo. Le dita delle mani portano i segni della cancrena, non sono più dritte e non hanno la stessa mobilità di prima. “Come potevo pensare di tornare in campo con tutte quelle ferite e ulcere sulle dita che derivano dalla malattia?”, riflette. Dovranno passare anni prima che Eva cominci l’avventura con il sitting volley. Fino a quel momento non ha mai preso in considerazione altre attività sportive: andare in palestra, fare yoga o pilates, per un’atleta come lei, sembrano soltanto palliativi. Sa che esiste lo sport paralimpico, ma non prova interesse a prendere informazioni dettagliate. Le cose cambiano quando il sitting volley arriva in Italia nel 2015. “Poco dopo, la mia società, il Dream Volley Pisa, mi chiede di allenare un gruppo di ragazze”, racconta. “Io non sapevo bene come funzionasse, ma ho accettato lo stesso e ho iniziato a documentarmi. Più tardi ho iniziato a giocare anch’io”. Detta così sembra semplice, ma non lo è stato affatto. “È difficile credermi, ma per me è stato quasi più difficile riprovarci con lo sport che smettere”, confida. “La sclerodermia mi ha costretto a chiudere un capitolo. Accettare che la mia vita sarebbe cambiata per sempre è stato doloroso ma ero concentrata sulla malattia per capire come funzionava, quali danni avrebbe arrecato e come affrontarli. Quando ho deciso di tornare a giocare mi è preso il panico: ero ferma da 17 anni e le mie mani non più erano adatte alla palla: cosa sarebbe successo se non ce l’avessi fatta?”

Oggi Eva Ceccatelli gioca come attaccante grazie a delle protezioni per le mani ideate e realizzate appositamente per lei ed è una delle colonne della Nazionale italiana di sitting volley, dove è stata convocata solo qualche mese dopo il suo ingresso nel mondo della pallavolo paralimpica. Nel suo palmares spiccano sei titoli italiani con il club e un primo posto ai Campionati Europei con la squadra azzurra. Dopo l’esordio a Tokyo 2020, dove le azzurre hanno riportato il sesto posto finale, quelle di Parigi saranno le seconde Paralimpiadi per la Nazionale italiana. “Con Tokyo ho coronato il sogno che coltivavo fin da bambina – afferma – ma le emozioni sono state soffocate dalla presenza del COVID: eravamo tutti in un regime di stretto isolamento, non si poteva assistere alle gare degli altri e, soprattutto, mancava il pubblico. A Parigi sarà tutto diverso, finalmente potremmo vivere la magia dei Giochi olimpici”.

Il sitting volley ha permesso a Eva Ceccatelli di ricucire la sua vita, ripartendo dal punto esatto in cui si era interrotta. Ma il suo percorso rappresenta anche una testimonianza emblematica della forza dello sport paralimpico. “Un tema di cui di cui non si parla abbastanza”, conclude l’atleta. “Migliorare la mobilità articolare e il tono muscolare ti rende più sicuro anche nella vita di tutti i giorni. E poi da quando ho ripreso a giocare è migliorata anche la mia salute: assumo molti meno farmaci di prima e il cardiologo mi ha detto che sto meglio di 8 anni fa. I benefici fisici e psicologici della pratica sportiva sono immensi, in Italia bisognerebbe investirci di più”.

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