Maria PennutoTRENTO – “Le grandi speranze per trovare una cura all’atrofia muscolare bulbo-spinale, o malattia di Kennedy, sono il clenbuterolo e la proteina IGF1”: a dichiararlo è la Dr.ssa Maria Pennuto, biologa dell’Università di Trento. Dopo il dottorato a Milano, ha lavorato ai National Institutes of Health di Bethesda (Maryland) e all’Università della Pennsylvania, e oggi si occupa esclusivamente della ricerca su questa rara patologia. La malattia è legata al cromosoma X: le donne possono essere portatrici, e anche se omozigoti non manifestano sintomi.

“I pazienti – spiega la biologa – vengono spesso diagnosticati con la sclerosi laterale amiotrofica (SLA): i sintomi sono simili, ma se c’è un dubbio, è comunque possibile effettuare il test genetico. I sintomi sono di tipo endocrinologico, come diabete e ginecomastia, altri riguardano la sfera sessuale. Si presentano atrofia muscolare agli arti e problemi alla muscolatura facciale; poi, con la degenerazione dei neuroni bulbari, sorgono problemi di deglutizione. I primi sintomi sono crampi e affaticamento, ma dato che la progressione della malattia è molto lenta, i pazienti spesso la scoprono dopo diversi anni e ricollegano solo allora il motivo di quei sintomi”.

Al momento a Trento è in cura solo un paziente con la malattia di Kennedy: la maggior parte dei casi in Italia si trova al nord, specialmente in Veneto e in Emilia, a causa del cosiddetto “effetto del fondatore”. La ricerca, infatti, ha come punti di riferimento l’Università di Padova, con il Dr. Gianni Sorarù, e quella di Trento, con la Dr.ssa Pennuto, da anni impegnati nella sperimentazione di due molecole: il clenbuterolo e la proteina IGF1.

La sperimentazione con il clenbuterolo nasce da uno studio pilota coordinato dal Dr. Sorarù, nel quale 16 pazienti sottoposti al trattamento hanno ottenuto un aumento significativo di forza muscolare e capacità vitale forzata. Ora sulla stessa sostanza è in corso uno studio preclinico in vivo sui topi, in cieco e controllato con placebo, coordinato dalla Dr.ssa Pennuto e dal Dr. Sorarù. I risultati sembrano promettenti e sono attesi per la fine dell’anno.

L’altra sostanza sulla quale si sta indagando è la proteina ricombinante IGF1, sulla quale la Dr.ssa Pennuto ha eseguito la caratterizzazione molecolare del meccanismo. L’IGF1 ha già superato la fase preclinica sui topi, nei quali ha dimostrato di rendere meno tossica la proteina che causa la malattia. “Tutte e due le sostanze agiscono come anabolizzanti del muscolo, attirando lo stesso segnale intracellulare”, spiega la biologa. “Entrambe sembrano avere grandi potenzialità, e mi auguro che almeno una di queste possa diventare la prima terapia accettata per la malattia di Kennedy”.

Per saperne di più leggi l'intervista al dr. Sorarù, neurologo dell’Università di Padova e la testimonianza di due pazienti affetti da questa patologia. 

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