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Dal congresso ESPKU emerge anche il forte impatto dei sintomi neurologici e la necessità di esperti di riferimento

Milano - Cosa vuol dire vivere con la fenilchetonuria? E quali sono le problematiche ancora aperte? Alcune risposte arrivano dalla ESPKU International Conference, conclusasi il 3 novembre a Izmir, in Turchia. Ad oggi, parlando di fenilchetonuria (PKU), non si può più pensare ad una malattia solo pediatrica: i pazienti adulti, in Italia e in Europa, sono ormai la maggioranza, grazie ad una terapia dietetica efficace e, soprattutto, grazie allo screening neonatale esteso, in Italia obbligatorio per legge dal 1992, che permette di diagnosticare precocemente la malattia e di avviare immediatamente il trattamento.

Nel nostro Paese, si contano all’incirca 4.000 pazienti con PKU, ma è difficile avere una stima precisa perché manca un registro nazionale. “La fenilchetonuria è certamente una malattia con cui si diventa adulti: molti pazienti oggi hanno anche 40 o 50 anni, e il loro referente medico deve quindi necessariamente avere competenze diverse rispetto a quelle della medicina pediatrica, che rientrino a pieno titolo nell’ambito della medicina della seconda e della terza età”, afferma Vincenzo Leuzzi, ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università La Sapienza di Roma e Responsabile della UOC di Neuropsichiatria Infantile presso il Policlinico Umberto I di Roma.

“Sappiamo che i bambini e gli adulti con fenilchetonuria sono abitualmente seguiti da pediatri - prosegue l’esperto - che sono in sostanza specialisti in medicina interna del bambino, mentre non c’è una corrispettiva figura per i pazienti adulti che racchiuda tutte le competenze necessarie per seguire questi pazienti. Opzioni formalmente possibili sono il medico internista, o l’endocrinologo, o forse, con riferimento al fatto che si tratta di una malattia neurologica, il neurologo. Nella sostanza manca un percorso universitario o post-universitario formativo per una figura professionale che possa subentrare al pediatra. Inoltre il rapporto con il paziente deve prevedere la stessa continuità e personalizzazione che caratterizza il rapporto con le famiglie dei bambini prima e con i pazienti PKU dopo, sin dalla nascita”.

La fenilchetonuria (PKU) è un raro difetto metabolico ereditario dovuto a mutazioni nel gene che codifica per un enzima epatico, la fenilalanina idrossilasi (PAH), necessario per il metabolismo della fenilalanina (Phe), un aminoacido essenziale presente nella maggior parte degli alimenti contenenti proteine. Se non adeguatamente trattata, la patologia comporta un grave e irreversibile ritardo mentale, oltre a importanti disabilità cognitive. “Questa malattia può avere un forte impatto sulla qualità di vita del paziente adulto - aggiunge Leuzzi - in relazione all’emergenza di disfunzioni neurologiche ‘minori’ che ne condizionano l’inserimento lavorativo (difficoltà di concentrazione, irritabilità) e sociale (disturbi psichiatrici) e che derivano dal non soddisfacente controllo metabolico. Questo è affidato al rapporto che la famiglia prima, e l’adulto dopo, intrattengono con il proprio medico di riferimento. Ancora una volta, la figura di uno specialista che sappia coniugare il percorso individuale di ogni paziente con le peculiarità della malattia è fondamentale”. 

Le stesse necessità emergono anche dal lato del paziente, come dimostrano i dati quantitativi di una recente ricerca realizzata da Atstrat e promossa da BioMarin, dal titolo “PKU&ME”. L’indagine ha previsto la disseminazione di un questionario online a cui hanno partecipato circa 100 pazienti con PKU in tutta Italia, affiliati a 4 Associazioni: Cometa A.S.M.M.E. (Associazione Studio Malattie Metaboliche Ereditarie), A.P.M.M.C. (Associazione per la Prevenzione Delle Malattie Metaboliche Congenite), AMMeC (Associazione Malattie Metaboliche Congenite Onlus) e Associazione Iris Malattie Ereditarie Metaboliche Onlus. La ricerca ha messo in luce l’importanza per i pazienti di alcuni aspetti fondamentali: ad esempio, di non avere un centro specialistico di riferimento. Il 52% degli intervistati, inoltre, lamenta il fatto che, pur essendo adulti, sono ancora in carico ai reparti pediatrici. Per le persone con PKU, poi, l’adolescenza rappresenta un momento critico, perché si passa più tempo fuori dalla famiglia e si comincia a sperimentare comportamenti non costanti nella dieta (54% degli intervistati). La grande maggioranza dei partecipanti alla ricerca (58%), infine, chiede a gran voce la possibilità di partecipare a eventi insieme ad altre persone con PKU ed esperti, per scambiare informazioni, consigli e idee.

“Le criticità che abbiamo evidenziato includono la necessità di avere più spazi e specialisti dedicati agli adulti, non solo nei centri ospedalieri dedicati, ma anche tramite un coordinamento nazionale – di tipo federativo o associativo – che organizzi e armonizzi gli sforzi delle Associazioni locali e apra ai pazienti la possibilità di un confronto nazionale”, afferma Niko Costantino, referente per la PKU per l’Associazione Cometa A.S.M.M.E. “I centri dedicati alla PKU vengono ad essere di fondamentale importanza allorché il paziente adolescente vive la transizione verso l’età adulta, transizione identificata come momento cruciale in cui cambia l’immagine di sé e degli altri, mettendo in serio pericolo l’aderenza alla terapia, che nella maggior parte dei casi risulta, per periodi variabili, compromessa”.

La PKU è una malattia complessa, che necessita di un trattamento costante e di aderenza terapeutica. Ad oggi, la terapia è prevalentemente dietetica, si basa sull’assunzione di alimenti aproteici e deve essere seguita per tutta la vita. “L’aderenza terapeutica - conclude Leuzzi - per l’adulto è importantissima, anche se non si sa ancora in che misura per ognuno: ci sono infatti adulti che riescono ad avere un normale funzionamento cognitivo ed adattivo senza dover seguire un rigido controllo metabolico, e altri che nelle stesse condizioni metaboliche sperimentano un disabilitante declino cognitivo. Ad oggi, purtroppo, non è possibile discriminare preventivamente chi andrà in una direzione e chi nell’altra. Di conseguenza, rimane fondamentale che tutti abbiano un buon controllo metabolico (con la dieta e/o con altre terapie) ed effettuino un monitoraggio costante dei livelli ematici di fenilalanina”.

Da oggi esiste anche un sito dedicato alla fenilchetonuria, realizzato con il contributo di BioMarin, che nasce con l’intento di accompagnare, attraverso informazioni utili, il percorso dei pazienti e delle loro famiglie nella gestione quotidiana di questa patologia così complessa.

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