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La dr.ssa Chiara Biasoli: “L'aderenza al trattamento è importantissima. Saltare le infusioni può comportare gravi rischi”

Cesena – Un'infusione saltata o posticipata, per un paziente con emofilia in regime di profilassi, può sembrare una leggerezza trascurabile e irrilevante. Ma per gli esperti non è così, e il messaggio è chiaro: no al ‘fai da te’, quando si parla di trattamento, perché si rischia di vanificare tutti gli sforzi fatti per ricamare sul paziente una vera e propria terapia personalizzata.

“Oggi abbiamo un armamentario terapeutico molto migliore di quello del passato, quindi è fondamentale costruire un trattamento personalizzato, che tenga conto delle caratteristiche individuali del nostro paziente, da quelle fisiche fino a quelle del fenotipo emorragico e della farmacocinetica, al fine di prevenire l'insorgenza di eventi emorragici evitando allo stesso tempo delle somministrazioni troppo frequenti”, ha spiegato la dr.ssa Chiara Biasoli, responsabile del Centro Emofilia dell'AUSL di Cesena, nel corso del webinar che si è svolto lo scorso 30 ottobre. L’evento è stato organizzato da OMaR – Osservatorio Malattie Rare, con il contributo non condizionante di Sobi e il patrocinio di FedEmo (Federazione delle Associazioni Emofilici) e della Fondazione Paracelso

“Noi sappiamo che l'emofilia di chi ha il fattore della coagulazione inferiore all'1% è considerata grave, ma le manifestazioni emorragiche non sono uguali per tutti i pazienti, e non tutti i pazienti gravi hanno la stessa espressione della gravità: c'è chi per avere un sanguinamento necessita di un evento traumatico un po' più significativo, quindi il fenotipo è molto importante. Poi c'è l'aspetto caratteriale: un bambino può essere più tranquillo e un altro più vivace. Man mano che cresce inizierà a praticare un'attività sportiva, poi entrerà nel mondo lavorativo, e non tutti lavorano alla scrivania davanti a un computer, ma magari svolgono un'attività fisica intensa e pesante. Insomma, bisogna valutare e tenere presenti tante cose, fra le quali il contesto familiare, con l'obiettivo di cucire sul paziente la terapia più appropriata, mantenendo quei livelli di fattore che teoricamente ci dovrebbero dare la tranquillità di evitare sanguinamenti”, ha proseguito la dr.ssa Biasoli.

Ma se fino a qualche anno fa ci si accontentava di avere un livello di fattore almeno superiore all'1%, in modo da rendere i pazienti non più gravi ma moderati, ora, grazie alle nuove soluzioni terapeutiche a emivita prolungata, il target è cambiato: l'obiettivo è che il valore di fattore più basso (quello che i medici chiamano trough level) rilevato nel momento in cui si fa la somministrazione successiva alla prima in un regime di profilassi, sia fra il 2% e il 5%. Ogni singolo paziente, inoltre, non ha solo il suo fenotipo emorragico, ma anche una caratteristica di farmacocinetica molto individuale, che il medico deve verificare, non dando per scontato che tutti rispondano alla terapia nello stesso modo.

“Dato che il trattamento con questi farmaci innovativi è molto personalizzato, l'aderenza è importantissima, e saltare delle somministrazioni può comportare il rischio di sanguinamenti non prevedibili”, ha precisato la dr.ssa Biasoli nel corso del webinar. “Mentre il paziente che è nato prima delle profilassi primarie ha il ricordo dell'evento emorragico, dell'emartro e del dolore, il paziente giovane, che ha potuto beneficiare della profilassi primaria, è raro che abbia avuto degli emartri così importanti da ricordargli il dolore e l'impotenza funzionale. Perciò il rischio è che pensi: 'sto bene, forse posso fare un'infusione in meno', e invece così può vanificare tutto lo studio che il medico ha fatto per trovare il trattamento più adeguato per quel paziente. Noi, infatti, ci accorgiamo che non c'è aderenza non tanto dai diari infusionali, ma dal fatto che non ci aspettiamo degli eventi emorragici che invece intercorrono. Finché si tratta di bambini, che sono in mano ai genitori, l'aderenza è quasi sempre adeguata, ma quando arrivano all'età dell'adolescenza, dove c'è l'io che si comincia a formare, molte volte la mamma o il papà, per andare incontro al ragazzino, gli consentono di posticipare o evitare l'iniezione endovenosa, e quello è un grosso errore”.

Con l'epidemia di COVID-19 e il relativo lockdown, purtroppo, la situazione è peggiorata. Alcuni pazienti emofilici hanno pensato: 'dato che non posso uscire di casa e sto sempre sul divano, non gioco più a calcetto, non vado in bicicletta, non faccio neanche una passeggiata... allora posso anche non fare l'infusione’. Un errore, per la dr.ssa Biasoli: “Il danno articolare è sempre lì in agguato, perché l'organismo degli emofilici è privo del fattore, non è coperto: a volte, per avere un sanguinamento, è sufficiente camminare, fare dei movimenti obbligati o rimanere in una posizione fissa per lungo tempo. Questo è un messaggio che tutti i medici dei Centri Emofilia dovrebbero spiegare molto bene ai pazienti”.

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