Il gruppo di lavoro guidato dal dott. Alberto Falchetti ha individuato una nuova mutazione all’interno di una famiglia affetta da MEN1

Il sistema endocrino comprende diversi organi, tra cui ipofisi, pancreas (endocrino) e paratiroidi e il suo buon funzionamento si basa sull’equilibrio tra questi, ma quando si manifesta una neoplasia endocrina multipla (MEN) si genera letteralmente il caos e ci si trova ad aver a che fare con tumori in più sedi. La MEN di tipo 1, in particolare, colpisce i tre organi sopra citati, mentre la MEN di tipo 2 affligge ghiandole come la tiroide, le midollari surrenali e le paratiroidi.

Entrambe sono patologie che possono insorgere sia in forma sporadica che familiare e la prima conseguenza è che tali malattie non siano sempre immediatamente riconoscibili, perché lo squilibrio che esse portano a livello degli organi direttamente implicati nella produzione di ormoni che influiscono su un lungo elenco di processi fisiologici è dato proprio dalla formazione di tumori in multiple localizzazioni. Ciò può implicare una non sempre uniforme presentazione clinica della malattia. Perciò, soprattutto nei casi di familiarità, è fondamentale studiare le mutazioni correlate alla malattia nei vari componenti di una famiglia e, di conseguenza, l’aspetto della malattia all’interno di quel nucleo famigliare. Questo è quello che ha fatto un team di lavoro tutto italiano, guidato dal dott. Alberto Falchetti, specialista in Endocrinologia e Malattie del Ricambio e in Genetica Medica, che in uno studio pubblicato sulla rivista Hormones ha descritto una nuova mutazione all’interno di una famiglia affetta da MEN1 e ha cercato di individuare degli schemi fenotipici ad essa collegati dal momento che i soggetti in esame sono risultati affetti da più di una tipologia di tumore, tra cui i tumori neuroendocrini del tratto gastro-entero-pancreatico (GEP-NET).

La MEN1 è una patologia rara, prevalentemente a carattere familiare, trasmessa come tratto autosomico dominante, in altre parole non legata al sesso, in cui esistono varie combinazioni di tumori multipli, endocrini e non, che si possono presentare con spettri clinici molto vari oltre a quella considerata per molto tempo come la triade classica, composta da tumori paratiroidei, ipofisari e tumori neuroendocrini del tratto gastro-entero-pancreatico”, precisa Falchetti. “Tra gli altri tumori associati alla MEN1 ci sono i tumori cortico-surrenali e i carcinoidi, e non endocrini, principalmente neoplasie benigne cutanee come angiofibromi, collagenomi, lipomi e altri ancora. Questi possono anche verificarsi con una maggiore frequenza rispetto a quella della popolazione generale. Ma una tale considerevole variabilità fenotipica delle manifestazioni di tipo tumorale e dell'età alla diagnosi si può osservare anche all’interno di una stessa famiglia in cui i membri condividono la medesima mutazione genica del gene MEN1, responsabile della sindrome”. Infatti, la MEN1 è causata da uno spettro di mutazioni a danno del gene che codifica per la menina, una proteina che svolge una funzione anti-oncogenica e risulta coinvolta in processi di proliferazione cellulare, apoptosi e replicazione e riparazione del DNA.

“La mancata correlazione tra le mutazioni del gene MEN1 e le manifestazioni cliniche della malattia, in aggiunta al numero elevato delle possibili mutazioni a carico di questo gene, non permettono un uso pratico del test mutazionale per predire il comportamento, l’aggressività e lo spettro di combinazioni tumorali da attendersi, anche all’interno di una famiglia”, aggiunge Falchetti. “Tuttavia, nonostante questo e a dispetto dell’elevata variabilità nella presentazione clinica dei tumori neuroendocrini, nella famiglia da noi descritta abbiamo osservato un'evidenza di sovrapposizione di schemi clinici, con una potenziale correlazione genotipo/fenotipo positiva”. È stato, infatti, condotto uno studio osservazionale su tre soggetti di una stessa famiglia che sono stati sottoposti a un corredo di indagini biochimiche e cliniche per valutare l’eventuale presenza di alterazioni endocrino-metaboliche legate a tumori funzionanti. I soggetti affetti da iperparatiroidismo primitivo sono stati sottoposti a ecografie del collo-tiroide-paratiroidi e scintigrafie paratiroidee per identificare o confermare la presenza di tumori. Sono state eseguite risonanze magnetiche con mezzo di contrasto di encefalo e ipofisi per la ricerca di tumori ipofisari funzionati o non. Inoltre, sulla base dei sintomi clinici o di anomalie biochimiche emerse, quando necessarie, sono state eseguite ecografie addominali, TAC con mezzo di contrasto, eco-endoscopie digestive, agoaspirati delle lesioni gastro-entero-pancreatiche identificate, e relative indagini d’immunoistochimica e citologia, PET Total Body con Fluoro-Desossi-Glucosio (FDG) e gallio, PET/TAC 98Ga-dotatoc. Infine, sono state eseguite le analisi del gene MEN1 prima sul probando, cioè sul primo membro della famiglia sospettato di essere affetto dalla MEN1 e, a seguito dell'identificazione della mutazione germinale, anche su altri membri della famiglia.

“È  noto che mutazioni troncanti la menina sono molto spesso riportate nell'ambito di pazienti MEN1 con GEP-NET, probabilmente insorti in seguito all’inattivazione totale di tale proteina”, precisa Falchetti. “Famiglie che trasportano mutazioni patogene germinali capaci di abolire completamente la funzione della menina mostrano una penetranza più alta di GEP-NET maligni e mutazioni in MEN1 di tipo frameshift [cioè con scivolamento del codice di lettura N.d.R.] con frequenza più elevata e maggiore probabilità di essere associate a sviluppo della MEN1. La mutazione frameshift da noi identificata produce un arresto prematuro della trascrizione di menina a livello del residuo aminoacidico 521 della proteina, rompendo, quindi, l’interazione con altri importanti partner molecolari della menina, tutti coinvolti nel controllo della proliferazione cellulare, nella soppressione delle metastasi, della replicazione e riparazione del DNA e nell’integrità del genoma. Questa nuova mutazione germinale da noi identificata probabilmente agisce nell’interazione tra menina e CHES1, un regolatore della progressione del ciclo cellulare. Nei pazienti con perdita di tale interazione è stata riportata una diminuzione della sopravvivenza legata a GEP-NET aggressivi, rispetto ai pazienti con MEN1 con mutazioni in altri domini della proteina menina. Pertanto, mutazioni del gene MEN1 che predicono la perdita d’interazione fra menina e CHES1 potrebbero predire lo sviluppo di GEP-NET aggressivi, anche se tale dato necessita di ulteriori conferme”. La presenza di tumori GEP-NET in pazienti affetti da MEN1 è un fattore di prognosi infausta, determinando un aumento del tasso di mortalità associata alla malattia. Il tipo di GEP-NET più comune nella MEN1 è un tumore non funzionante, che determina una riduzione dell’aspettativa di vita di circa 8 anni rispetto a una MEN1 senza GEP-NET.

“La complessa gestione clinica dei pazienti con MEN1 dovrebbe essere sempre gestita e garantita in centri clinici di eccellenza in questo settore, con uno specifico percorso di diagnosi e terapia”, conclude Falchetti. “Purtroppo, è ancora oggi esperienza comune che le famiglie affette da MEN1 spesso non siano prontamente riconosciute, con importanti ritardi diagnostici, né hanno, di fatto, una facile logistica per il follow-up clinico e terapeutico. Se non intercettati da un'effettiva task force multidisciplinare d’eccellenza comprendente figure quali genetista, endocrinologo, gastroenterologo, oncologo, dermatologo, radiologo, medico nucleare, chirurgo del collo, chirurgo addominale e neurochirurgo gli individui con MEN1 e i loro familiari di primo grado possono andare incontro a un ritardo diagnostico con inevitabile peggioramento della qualità della vita, spesso causato da procedure diagnostiche e terapeutiche inadeguate o del tutto inappropriate”.

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