I tumori neuroendocrini del pancreas sono piuttosto comuni in questi pazienti. Fondamentale è comunque la presa in carico multidisciplinare

La sindrome di Von Hippel-Lindau è una rara e complessa patologia ereditaria che predispone allo sviluppo di diverse lesioni tumorali a danno di svariati organi, dal cervelletto, ai polmoni, al fegato fino al surrene e al pancreas. Lo scenario dei sintomi risulta eterogeneo e frastagliato e ciò rende difficile identificare la malattia, la quale è causata da un insieme di mutazioni del gene soppressore tumorale VHL. Non esiste ad oggi una terapia specifica per questa rara e pericolosa sindrome che, visto il coinvolgimento di vari organi, deve essere necessariamente trattata in maniera multidisciplinare da un team di esperti nelle molte specialità rivolte agli organi interessati.

In particolare, la prevalenza di tumori neuroendocrini (NET) del pancreas, nel contesto della malattia, si riscontra in circa un quinto dei pazienti – con oscillazioni tra il 9 e il 17% dei soggetti. Si tratta di forme tumorali che, in certi casi, possono avere una prognosi migliore rispetto ai NET pancreatici che insorgono sporadicamente ma che, in altri, si presentano in maniera più aggressiva, riducendo drasticamente la funzionalità d’organo e, di conseguenza, l’aspettativa di vita del paziente.

In un articolo apparso sulla rivista JAMA Oncology sono stati pubblicati i risultati di uno studio prospettico progettato e condotto da un team internazionale di ricercatori che, esaminando nel dettaglio la storia clinica di pazienti con lesioni pancreatiche associate alla sindrome di Von Hippel-Lindau, ha cercato di capire quali siano i fattori di rischio legati allo sviluppo di queste forme di tumore. Tale approccio ha permesso di fare un po’ di chiarezza sui meccanismi genetici che si celano dietro alla malattia, suggerendo anche modalità efficaci di trattamento. Perciò, i pazienti con sindrome di Von Hippel-Lindau e concomitante presenza di lesioni pancreatiche sono stati classificati e studiati sia ricorrendo a moderne tecniche di imaging che ad un’ampia batteria di esami ematochimici.

Rigorosamente descritto sul sito www.clinicaltrials.gov, il trial clinico ha arruolato in circa 7 anni 229 pazienti (110 maschi e 119 femmine) di età superiore a 12 anni (età media: 49,6 anni) affetti da sindrome di Von Hippel-Lindau diagnosticata con analisi del gene VHL o ricorrendo a criteri clinici specifici e lesioni pancreatiche ad essa correlate. I candidati sono stati sottoposti a valutazione del team multidisciplinare e, successivamente, a indagini ecografiche e radiodiagnostiche a livello addominale, toracico e pelvico. Sono stati valutati anche tramite esecuzione di risonanza magnetica dell’addome e sottoposti a esami del sangue e delle urine. Sulla base dei risultati ottenuti, ad alcuni è stata immediatamente raccomandata l’opzione chirurgica, ad altri è stato chiesto di tornare annualmente per il monitoraggio della lesione fino al momento in cui si fosse reso necessario intervenire chirurgicamente. I pazienti con cisti pancreatiche sono stati inseriti in un programma di sorveglianza con cadenza biennale.

Dei 229 pazienti esaminati, 54 presentavano cisti pancreatiche mentre le lesioni tumorali al pancreas evidenziate sono state ben 175 e i pazienti con una mutazione in VHL (specie quelli con la mutazione nell’esone 3) presentavano un più alto tasso di NET pancreatici. Sottoponendo i pazienti a sequenziamento del gene VHL (156 individui) è stato possibile riscontrare che in quelli con una mutazione missenso (cioè la sostituzione di una base nella tripletta con produzione di un aminoacido diverso nel prodotto proteico) il diametro delle lesioni tumorali era maggiore. Inoltre, si è potuto osservare che i pazienti con una massa tumorale di diametro inferiore a 1,2 cm erano a bassissimo rischio di metastasi e potevano essere tenuti sotto controllo periodicamente. Il rischio di metastasi era, invece, molto più elevato in presenza di tumori di diametro maggiore di 3 cm. Infine, dei pazienti con tumori di dimensioni comprese tra 1,2 e 3 cm solo quelli (12,5%) con mutazione missenso in VHL avevano la tendenza a sviluppare metastasi, necessitando quindi di intervento chirurgico. All’interno di questo gruppo di pazienti, un attento e scrupoloso follow-up con tecniche di imaging ha contribuito ad evidenziare che quelli con mutazione missenso o altro tipo di mutazione a livello dell’esone 3 avevano un’ancora più marcata necessità di un’intervento chirurgico (44,8 vs. 23,5%).

Quale risultato di questo osservazioni, i ricercatori hanno steso un algoritmo per la stratificazione dei pazienti in classi di rischio che tenesse in considerazione sia il genotipo dei soggetti che le dimensioni della massa tumorale, sottolineando con sempre maggior enfasi la volontà di perseguire la direzione che conduce ad una medicina di precisione, ritagliata sul paziente, che garantisca interventi precoci e una apprezzabile qualità dell’esistenza.

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