Prof. Francesco PassamontiProf. Francesco Passamonti (Varese): “La malattia è sostenuta da un’alterazione genetica scoperta nel 2005 dal nostro gruppo di ricerca, in collaborazione con i ricercatori di Basilea, e riguarda il gene JAK2

Nei thriller che vediamo al cinema e nelle serie TV incentrate su strani misteri da risolvere spesso il punto di partenza della storia – a volte anche molto ricca e complessa – è dato da un dettaglio infinitesimale, microscopico, all’apparenza del tutto trascurabile che, invece, scopriamo avere un significato inestimabile. Esistono branche della medicina, come l’ematologia, in cui accade più o meno lo stessa cosa. È il caso della scoperta della mutazione somatica nel gene Janus Kinase 2 (JAK2), che ha cambiato la storia e la gestione clinica dei pazienti affetti da policitemia vera (PV).

La policitemia vera è una neoplasia mieloproliferativa cronica con un’incidenza di 1-3 soggetti ogni 100.000 persone all’anno, ed è caratterizzata da una proliferazione fuori controllo dei globuli rossi che aumentano di massa favorendo il rialzo del livello di emoglobina. Nel 40% dei casi, la malattia è contraddistinta anche da iperproduzione di globuli bianchi e piastrine e, in circa il 20-30% dei malati, si osserva un ingrossamento della milza.

La malattia è sostenuta da un’alterazione genetica scoperta nel 2005 dal nostro gruppo di ricerca, in collaborazione con i ricercatori di Basilea, e riguarda il gene JAK2”, spiega il prof. Francesco Passamonti, direttore dell’Unita Operativa Complessa di Ematologia dell'Ospedale di Circolo, Università dell’Insubria di Varese. “Si tratta di una mutazione puntiforme che comporta la sostituzione dell’aminoacido valina con l’aminoacido fenilalanina a livello del codone 617 (V617T) e determina un aumento dell’attività della proteina tirosin-chinasica JAK2. Tale mutazione è presente nel 95-96% dei casi di policitemia vera. Nel rimanente 3-4% dei casi si osservano, invece, mutazioni a carico dell’esone 12 del gene JAK2. Pertanto, si riscontra una mutazione nel 99-100% dei malati di policitemia vera”.

Come i protagonisti dei film lavorano alacremente intorno al singolo particolare da cui si dipana una storia intricata e affascinante, il più delle volte con un finale emozionante, i ricercatori hanno studiato le mutazioni che riguardano i pazienti con policitemia vera, alla ricerca di nuove possibili opzioni terapeutiche per una malattia che, tra le complicanze principali, annovera trombosi dei vasi arteriosi o venosi, embolia ed emorragie di varia entità. La policitemia vera deve essere correttamente individuata e distinta da altre patologie mieloidi ad alto rischio vascolare, quali trombocitemia essenziale e mielofibrosi primaria. I criteri diagnostici per la PV sono stati aggiornati nell’ultima edizione del WHO, che è stata pubblicata sul Blue Book a settembre di quest’anno. Il primo criterio è il livello di emoglobina: per le donne si prevede un valore maggiore di 16 g/dL mentre per gli uomini il livello deve essere superiore a 16.5 g/dL. Si tratta di valori più bassi di quelli riportati nella pregressa classificazione, dal momento che esistono malattie mieloproliferative con un quadro alla biopsia ossea e un andamento simili a quelli della policitemia vera. Il secondo criterio diagnostico è dato dalla valutazione morfologica midollare, che rivela l’eventuale comparsa di un’iperplasia mieloide e megacariocitaria oltre che eritroide. Il terzo criterio è la presenza della mutazione di JAK2. Infine, il quarto criterio entra in gioco quando un malato presenta un’eritrocitosi ma senza la mutazione di JAK2. In questo caso si procede eseguendo una biopsia ossea e dosando l’eritropoietina sierica: se il livello di eritropoietina non è basso non si può parlare di policitemia vera.

La stratificazione prognostica del paziente avviene sulla base della presentazione clinica”, continua Passamonti. “Un paziente con meno di 60 anni che non abbia mai avuto episodi di trombosi nella sua storia clinica o al momento della diagnosi viene classificato a basso rischio cardiovascolare, mentre uno con più di 60 anni e una storia di trombosi o di eventi emorragici è considerato ad alto rischio cardiovascolare. I pazienti a basso rischio cardiovascolare vengono trattati, di norma, con salassi e somministrazione di cardioaspirina. Quelli ad alto rischio, invece, iniziano la citoriduzione farmacologica con idrossiurea e vengono attentamente monitorati nel tempo”. Il malato a basso rischio che sviluppi una leucocitosi e una trombocitosi importanti, o una splenomegalia, viene trattato anche con idrossiurea. È stato possibile osservare che, all’interno del gruppo di pazienti trattati con idrossiurea, quasi uno su cinque sviluppa resistenza o intolleranza al trattamento, una condizione che influisce sulla possibilità di controllare la malattia e si traduce in un aumento del rischio di progressione.

“Per intolleranza si intende una situazione per la quale il paziente non tollera il trattamento con idrossiurea e incorre in eventi avversi quali ulcere agli arti inferiori, febbre, polmonite o disturbi gastroenterici importanti”, continua l’esperto. “Oppure, un malato non tollera la dose di idrossiurea che consente il mantenimento dell’ematocrito al di sotto del livello soglia del 45% e sviluppa piastrinopenia o leucopenia severe da idrossiurea. I malati con splenomegalia non controllata sono a maggior rischio di evoluzioni post policitemia vera. Quelli con leucopenia o piastrinopenia sono a maggior rischio di mortalità. Quelli, infine, con leucocitosi sono a maggior rischio di trombosi. Per queste categorie c’è indicazione all’impiego di ruxolitinib”.

Ruxolitinib (Jakavi®) è un inibitore orale delle tirosin-chinasi JAK1 e JAK2, sviluppato da Novartis e approvato dalla Commissione Europea per il trattamento della splenomegalia o dei sintomi correlati alla malattia in pazienti adulti con mielofibrosi primaria, mielofibrosi post-policitemia vera o mielofibrosi post-trombocitemia essenziale. Il razionale dello sviluppo di questo nuovo e promettente farmaco è legato alla scoperta della mutazione di JAK2 e alla conseguente disregolazione della via di segnalazione JAK-STAT, tanto che i ricercatori hanno ideato e realizzato due studi clinici di Fase III, rispettivamente RESPONSE1 e RESPONSE2, i cui risultati sono stati recentemente pubblicati su due prestigiose riviste mediche quali The New England Journal of Medicine e Lancet Oncology. Il primo studio è stato eseguito su pazienti resistenti/intolleranti il trattamento con idrossiurea che hanno sviluppato splenomegalia, mentre il secondo si è focalizzato su quelli nei quali non è stata osservata la splenomegalia, in modo tale da coprire l’intera area delle resistenze all’idrossiurea.

“Una sfida importante nel trattamento dei pazienti con policitemia vera è lo sviluppo di resistenza o intolleranza alle terapie attualmente disponibili, come quella con idrossiurea, che ci lascia con un numero molto limitato di opzioni terapeutiche ai fini di una gestione efficace della malattia”, dichiara il Prof. Alessandro M. Vannucchi, dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi di Firenze, e principale autore dello studio RESPONSE1. “Questo studio indica che ruxolitinib potrebbe rappresentare un importante passo avanti per questa popolazione di pazienti con policitemia vera, una malattia che può provocare gravi complicazioni e sintomi quotidiani invalidanti”. E, di fatti, i risultati parlano chiaro: ruxolitinib migliora in maniera notevole il controllo dell’ematocrito senza dover ricorrere a flebotomia, e provoca una riduzione delle dimensioni della milza nei pazienti con policitemia vera che avevano avuto una risposta inadeguata a idrossiurea o effetti indesiderati inaccettabili dovuti alla stessa, come definito in base ai criteri modificati della Rete Europea LeukemiaNet (ELN). I pazienti inclusi nei due studi sono stati sottoposti a trattamento con ruxolitinib (la dose iniziale è stata di 10 mg 2 volte al giorno) in confronto a terapia standard (idrossiurea, talidomide, interferone, busulfano) o nessuna terapia, e già alla settimana 32 il 77% dei pazienti randomizzati a ruxolitinib ha raggiunto uno o entrambi i componenti dell’endpoint composito: controllo dell’ematocrito e riduzione del volume della milza.

All’interno dello studio RESPONSE2, nel 60% dei pazienti il trattamento con ruxolitinib ha permesso il controllo dell’ematocrito”, aggiunge Passamonti, primo autore dello studio RESPONSE2, che spiega come gli effetti collaterali osservati siano stati l’anemia e la piastrinopenia in circa il 30-40% dei pazienti, ma come in nessun caso sia stata registrata un’anemia di grado severo. Altri eventi avversi segnalati sono state le infezioni e l’insorgenza di eventuali neoplasie cutanee diverse dal melanoma, che costituiscono comunque un fattore di rischio per tutti i pazienti che si sottopongono a trattamenti prolungati a base di idrossiurea.

“Ruxolitinib rappresenta un’arma in più per una nicchia di pazienti costituita dal 15-20% di quelli con policitemia vera ad alto rischio in terapia con idrossiurea”, conclude Passamonti. “In un paziente ad alto rischio che sviluppi splenomegalia, leucocitosi e intolleranza a idrossiurea, la carta del ruxolitinib può essere vincente perché questo nuovo farmaco permette un ottimo controllo dell’ematocrito e una riduzione della splenomegalia, migliorando notevolmente la qualità di vita dei pazienti”. Da un piccolo dettaglio, un grande risultato.

Seguici sui Social

Iscriviti alla Newsletter

Iscriviti alla Newsletter per ricevere Informazioni, News e Appuntamenti di Osservatorio Malattie Rare.

Sportello Legale OMaR

Tumori pediatrici: dove curarli

Tutti i diritti dei talassemici

Le nostre pubblicazioni

Malattie rare e sibling

30 giorni sanità

Speciale Testo Unico Malattie Rare

Guida alle esenzioni per le malattie rare

Partner Scientifici

Media Partner


Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento. Maggiori informazioni