Verona - Sono più a rischio di infezione da virus Hiv. Arrivano sempre più tardi alla diagnosi di sieropositività, che si concentra soprattutto tra i 30 e i 39 anni. Riescono a controllare la malattia grazie ai farmaci e sempre più spesso sono in trattamento antiretrovirale anche in menopausa, con necessità ben diverse dai coetanei maschi. La gestione dell’Aids al femminile rappresenta una delle sfide più significative per gli esperti che dal 17 al 19 maggio si sono confrontati a Riccione alla VII Conferenza italiana su Aids e retrovirus (ICAR).
Se sul fronte epidemiologico gli ultimi dati del Centro Operativo Aids (CoA) relativi al 2013 fanno intravedere che i nuovi casi sono ormai ridotti nelle donne rispetto ai maschi (22 contro 78 per cento), rimangono problemi specifici da affrontare per l’altra metà del cielo. “La donna, per la stessa struttura dell’apparato genitale, presenta un rischio di contrarre l’infezione che riproduce quello dei maschi omosessuali, anche perché la conformazione della vagina determina un contatto più prolungato con lo sperma e nella mucosa vaginale possono essere più facilmente presenti microlesioni – legate ad esempio al ciclo mestruale – che facilitano l’entrata del virus – spiega la prof.ssa Cristina Mussini, Presidente del Congresso, professore associato di Malattie Infettive e direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie Infettive e Tropicali, dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Ciò che più conta, in queste situazioni, è arrivare precocemente alla diagnosi. Si tratta di un traguardo ancora lontano considerando che oggi spesso l’infezione viene scoperta al momento della gravidanza. Anche per questo il massimo tasso di infezioni si concentra nella decade 30-39 anni”.
Esistono quindi peculiarità connesse allo stato di sieropositività femminile che vanno dal desiderio di maternità alla scelta del contraccettivo adatto, fino alla menopausa, che rappresenta una sfida terapeutica anche per le particolari condizioni dell’organismo femminile in questa fase della vita.
Lo studio clinico ARIA
Per definire i contorni di un trattamento antiretrovirale 'a misura di donna' è in corso lo studio ARIA, che include 474 donne naive al trattamento antiretrovirale nel mondo e coinvolge diversi centri italiani. L’obiettivo di questa ricerca, unica nel suo genere, è valutare l’efficacia di due regimi terapeutici, uno dei quali già rappresenta una delle combinazioni farmacologiche più utilizzate nel sesso femminile, anche dopo la menopausa – spiega Antonella Castagna, professore associato di Malattie Infettive presso l’Università Vita e Salute San Raffaele. Verranno messe a confronto una terapia con dolutegravir, abacavir e lamiduvina in un’unica compressa quotidiana e l’associazione terapeutica attualmente considerata particolarmente valida per le donne atazanavir-ritonavir, tenofovir ed emtricitabina (3 compresse/die).
L’obiettivo primario dello studio è valutare l’efficacia dei due regimi dopo 48 settimane di trattamento, misurata attraverso la proporzione di donne che raggiungeranno una carica virale plasmatica non rilevabile. Uno degli aspetti particolarmente interessanti dello studio è che verrà posta attenzione alla percezione individuale del grado di soddisfazione della terapia in corso. E inoltre sulla valutazione dell’impatto delle due terapie sul profilo lipidico, sulla funzionalità renale e sulla salute delle ossa, particolarmente significativa per le donne in menopausa”. Questo obiettivo appare di grande importanza considerando anche la situazione epidemiologica italiana dell’infezione da virus HIV Secondo i dati del Rapporto Icona relativi all’età media delle sieropositive in trattamento nel periodo 2012-2014 si vede che questa si assesta intorno ai 39,5 anni. Ma c’è un altro dato che colpisce: il 28,2 per cento delle donne oggi in cura è over-50 e questo significa che anche sul fronte della terapia dobbiamo identificare trattamenti “friendly”, che non abbiano impatto sull’osso e che ci consentano di evitare interazioni con altri farmaci impiegati per la cura di altre patologie eventualmente presenti.
“Gli effetti collaterali dei farmaci antiretrovirali sono stati fondamentalmente studiati nei maschi e poi adattati alla popolazione femminile: oggi ancora non sappiamo quale impatto possano avere sulla donna, specie in alcune fasi della vita come la menopausa – conferma Margherita Errico, Presidente di NPS (Network Persone sieropositive). Le cifre parlano chiaro: il 22,7 delle nuove diagnosi di Hiv tra le donne nel 2013 su un totale di 794 (dati Coa) è nella fascia di età tra i 30 e i 39 anni. e il 17,9 per cento tra i 40 e i 49. Questo significa in prospettiva che avremo una prevalenza di donne presto in menopausa Ci sono poi situazioni, come la menopausa precoce, che si potrebbero prevenire grazie a migliori conoscenze sull’organismo femminile in caso di infezione da virus Hiv. Occorre però, sul fronte scientifico e sociale, che la donna venga messa in grado di essere arruolata negli studi clinici, visto che quasi sempre è il caregiver dell’intera famiglia e quindi può avere poco tempo per aderire completamente ai controlli previsti dal protocollo di studio. Un maggior coordinamento sarebbe fondamentale per poter dare la possibilità alle donne di partecipare ai trials e quindi ottenere i dati e le informazioni che ancora oggi mancano”.
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