L'AME ribadisce il ruolo centrale dell'endocrinologo nell'assicurare alla persona transessuale un corretto processo di transizione di genere, evitando il ricorso all'automedicazione

Milano – Nati in un corpo che non sentono conforme al genere in cui si riconoscono: uomini che si sentono donne e donne che si identificano nel genere maschile: la disforia di genere (DIG) è uno stato di disallineamento forte e persistente fra l’identità di genere, ossia la percezione che un individuo ha del proprio sé in quanto uomo o donna, e il sesso assegnato alla nascita secondo i dati biologici e cromosomici. “La disforia di genere è una condizione in cui la persona ha una forte e persistente identificazione nel sesso opposto a quello biologico: uomini che si sentono donne o donne che si identificano nel genere maschile. Si stima che in Italia siano in questa condizione 1 su 10-12.000 maschi e 1 su 30.000 femmine, per un totale di circa 5.000 persone”, spiega Stefania Bonadonna, endocrinologo e coordinatore del gruppo di lavoro dell'AME (Associazione Medici Endocrinologi) sulla disforia di genere.

Per comprendere il mondo della DIG, lo scorso 12 ottobre si è tenuto a Milano il convegno 'TRANS-AME: trattiamo il genere', promosso dall’AME con il Patrocinio del Comune di Milano. I problemi delle persone transessuali sono stati oggetto di riflessione non solo dal punto di vista medico ma anche dei diritti negati, dello stigma, dei pregiudizi, della comunicazione dei media e del rapporto con il mondo del lavoro, coinvolgendo medici endocrinologi e altri specialisti, giornalisti, avvocati e una rappresentanza di chi vive questa condizione, per un confronto che arricchisca le conoscenze scientifiche, cliniche e umane.

“Questo convegno è ormai un appuntamento ricorrente su questa branca dell’endocrinologia e un obiettivo che ci eravamo prefissati dopo la creazione di un gruppo di lavoro specifico sulla disforia di genere al nostro interno”, continua Vincenzo Toscano, Presidente AME. “Gli endocrinologi svolgono, anche secondo le nuove linee guida 2017 dell’Endocrine Society, un ruolo centrale all’interno del team multidisciplinare che segue il percorso di transizione; abbiamo sul territorio nazionale una rete di professionisti endocrinologi che hanno acquisito esperienza nel trattare i problemi legati alla disforia di genere. La finalità principale del gruppo di lavoro è creare una rete endocrinologica esperta con almeno un centro per regione che, attraverso una formazione specifica, possa diventare un punto di riferimento dove le persone transgender possano trovare risposte a 360 gradi. Inoltre, insieme alle associazioni vogliamo sensibilizzare le Istituzioni perché possano essere trovate soluzioni alle problematiche che queste persone si trovano continuamente ad affrontare dal punto di vista medico-clinico e sociale”.

Dopo il compimento della maggiore età la persona con disforia di genere potrà, se avrà maturato questa decisione, avviare il processo di transizione che può essere molto lungo e che prevede, innanzi tutto, uno o più colloqui con uno psichiatra che deve certificare che la persona rientra nei parametri della disforia di genere”, afferma l’Avvocato Gianmarco Negri. “A questo punto, ottenuto il nulla osta, interviene l’endocrinologo che prescriverà le terapie ormonali. Si apre una fase che i protocolli indicano come obbligatoria di 'real life test', della durata di 10-12 mesi circa, durante i quali la persona deve vivere con i vestiti del genere opposto, scegliere un nome con il quale essere appellata e sperimentare concretamente come si sente nell’identità alla quale sente di appartenere. La persona trans dovrà quindi tornare dallo psichiatra e dall’endocrinologo per ottenere le relazioni relative al percorso fino a quel momento compiuto. Ma, per poter realizzare gli interventi (se desiderati ed ora non più obbligatori) ed ottenere la rettifica anagrafica, la persona trans, avvalendosi di un avvocato, dovrà sottoporre le proprie richieste ad un Giudice”.

“Avere almeno un centro di riferimento a livello regionale - continua Stefania Bonadonna - dove le persone transgender possono trovare un team completo con le competenze di tutti gli specialisti del team multidisciplinare, come ginecologo, psicologo, urologo e chirurgo, ma anche infermieri e operatori sanitari, è importante anche per far fronte al grave problema dell’automedicazione. Infatti, secondo uno studio pubblicato sul Journal of Sexual Medicine, il 25% delle donne transgender si autoprescrive la terapia ormonale procurandosi i farmaci su internet. Il passaparola, le informazioni trovate online e le 'terapie fai da te' sono molto pericolose, perché fatte senza alcuna consulenza medica e fuori dagli opportuni controlli periodici necessari. Qualsiasi intervento, dalle terapie ormonali agli interventi chirurgici, deve essere fatto con la piena consapevolezza di cosa comporti il percorso di transizione, soprattutto perché si tratta di terapie mediche e chirurgiche irreversibili”.

“Inoltre, qualunque cura o intervento chirurgico ha possibili effetti collaterali, tanto più se mirato ad una trasformazione che il corpo umano non prevede. In Italia non esistono studi sugli effetti a lungo termine della transizione e, in generale, anche gli studi fatti in altri Paesi sono spesso insoddisfacenti per il numero esiguo di pazienti anche a causa della mancanza di fondi. Secondo una ricerca pubblicata sullo European Journal of Endocrinology e condotta su 966 donne transgender e 365 uomini transgender in cura ormonale, con un follow-up mediano a più di 18 anni, l’uso di testosterone in uomini transgender non porta ad un aumento della mortalità generale e della mortalità per cause specifiche rispetto alla popolazione generale. Per le donne transgender la mortalità è circa del 50% più alta rispetto al resto della popolazione ma non per cause legate agli ormoni, portando alla conclusione che le terapie ormonali sembrano essere sicure a lungo termine, anche se ci sarebbe bisogno di ulteriori studi di approfondimento. Un dato, invece, risulta essere determinante: l’auto-accettazione e l’accettazione da parte dei familiari e amici è molto importante per il benessere psico-fisico delle persone transessuali; quando questa manca vi sono ricadute sulla salute e si registrano alti tassi di depressione e suicidio. Da questo punto di vista gli sportelli trans svolgono un ruolo davvero essenziale, offrendo sostegno, supporto e assistenza per affrontare le questioni legate alla transizione e alla vita quotidiana, nonché consulenza psicologica e counseling per parenti e amici di persone transgender”, conclude Bonadonna.

In conclusione, da un punto di vista medico c’è ancora tanto da conoscere su questa condizione. Di questo si ha conferma anche dai dubbi espressi da molte persone transessuali, che si domandano quali ripercussioni possano avere sul proprio stato di salute interventi così poco ortodossi e prolungati. Parallelamente, esiste un movimento molto sentito che mira a 'depatologizzare' la condizione di transessuale e il processo che porta al cambio anagrafico, e che chiede, attraverso l’eliminazione della diagnosi, che la persona transessuale venga messa nella condizione di decidere da sola che cosa fare con il proprio corpo, senza dover far ricorso a diagnosi e tribunali. Forse una via di mezzo dovrebbe essere trovata mantenendo i controlli periodici e il follow up dello stato di salute delle persone transgender a garanzia degli interessati.

Per maggiori informazioni è possibile visitare il sito web di AME.

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