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Dall’analisi dello studio N-MOmentum emerge anche una correlazione tra determinati biomarcatori infiammatori e attività della malattia 

In occasione dell’edizione 2023 del congresso dello European Committee for Treatment and Research in Multiple Sclerosis (ECTRIMS), svoltosi a Milano, sono stati presentati i dati relativi a nuove analisi dello studio clinico N-MOmentum, dati che offrono informazioni clinicamente rilevanti sulla presenza periferica di biomarcatori infiammatori associati alla neuromielite ottica e confermano l'effetto del farmaco inebilizumab nella riduzione degli attacchi correlati alla malattia.

La definizione “disturbi dello spettro della neuromielite ottica” (NMOSD) viene oggi utilizzata per raggruppare la neuromielite ottica (NMO) e le sindromi correlate. La NMOSD è una malattia autoimmune neuroinfiammatoria rara, severa e recidivante che attacca il nervo ottico, il midollo spinale, il cervello e il tronco encefalico. Circa l’80% di tutti i pazienti affetti da NMOSD risulta positivo agli anticorpi anti-AQP4 (AQP4-IgG). Le manifestazioni della patologia includono perdita della vista e della sensibilità, paralisi, disfunzione vescicale e intestinale, dolore neuropatico e insufficienza respiratoria. Ogni attacco correlato alla NMOSD può portare a ulteriori danni e ad una maggior disabilità.

Inebilizumab è un nuovo farmaco, approvato anche in Italia, indicato per il trattamento di adulti con diagnosi di NMOSD e sieropositivi per gli anticorpi AQP4-IgG.

I nuovi dati presentati all’ECTRIMS derivano da un’analisi dello studio clinico N-MOmentum in cui è stata valutata la relazione tra i livelli di citochine e l'attività della malattia nella NMOSD, mediante l’analisi di marcatori proteici sia nei partecipanti del gruppo che ha ricevuto il farmaco inebilizumab che in quelli del gruppo placebo (n=211), al basale e dopo il trattamento. Sono stati quindi utilizzati pannelli di immunodosaggio e pannelli di biomarcatori, correlando questi livelli con gli endpoint clinici nel corso dello studio. L'analisi ha rilevato livelli significativamente elevati di 18 delle 92 proteine misurate al basale: in particolare, la proteina IL-17a è risultata elevata in circa il 60% dei partecipanti, insieme alle proteine IL-6, IFN-y e CXCL10, entrambe risultate incrementate in circa il 20% dei partecipanti. È importante sottolineare che, indipendentemente dai livelli di citochine al basale, il tasso di manifestazione dei sintomi causati della malattia è diminuito tra i partecipanti che hanno ricevuto inebilizumab durante tutto lo studio clinico.

"I livelli di citochine periferiche forniscono informazioni importanti sulle reazioni infiammatorie nel corpo. Tenere traccia dei cambiamenti dei livelli di citochine per le persone affette da NMOSD può essere uno strumento clinico per comprendere l’immunopatologia della malattia", ha affermato Bruce Cree, autore dello studio e docente di neurologia clinica presso University of California San Francisco Weill Institute for Neurosciences. "Questi dati dimostrano che inebilizumab è efficace nel ridurre gli attacchi invalidanti della NMOSD, indipendemente da quanto infiammato può essere il profilo di base citochinico di un individuo, sottolineando l'efficacia di inebilizumab”.

I nuovi risultati dello studio clinico N-MOmentum presentati all’ECTRIMS confermano anche l'impatto durevole di inebilizumab per le persone affette da NMOSD. Utilizzando i dati raccolti dalla sperimentazione, è stata confrontata l'efficacia di inebilizumab (n=208) con i dati storici degli studi pubblicati relativi alla NMOSD sugli outcome delle terapie immunosoppressive, come l’azatioprina (AZA/IST, n=132), e del placebo (PBO, n=106). L'analisi ha rilevato che inebilizumab ha prolungato significativamente il tempo dell’insorgenza di un attacco di NMOSD rispetto ai dati riportati su AZA/IST o placebo. Inoltre, il trattamento con inebilizumab ha fornito un beneficio sulla probabilità di rimanere liberi da attacchi a lungo termine rispetto al periodo di tempo relativo riportato con AZA/IST o PBO (77% per i partecipanti trattati con inebilizumab rispetto al 36% per AZA/IST e 12% per PBO a 4 anni). In particolare, il tempo all’attacco per il gruppo PBO nel periodo controllato randomizzato della sperimentazione è stato simile al gruppo storico, validando ulteriormente l'uso di serie di dati storici per questo tipo di analisi.

"Questi dati contribuiscono al crescente numero di evidenze che dimostrano l'impatto significativo e duraturo di inebilizumab sulle persone con NMOSD, come indicato dai significativi miglioramenti nel tempo all’attacco e di probabilità di non presentare alcun attacco", ha affermato Kristina Patterson, senior medical director, neuroimmunology medical affairs di Amgen. "Con risultati a lungo termine che rafforzano il profilo clinico favorevole di inebilizumab, questi dati supportano ulteriormente la capacità della molecola di controllare gli effetti di questa severa malattia e di prevenire il rischio di futuri attacchi che potrebbero portare a invalidità irreversibile".

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