Prof. Gino Gerosa

Il prof. Gino Gerosa: “Grazie alla procedura da noi adottata sarà possibile incrementare di circa il 30% il numero di trapianti”

In medicina, il più immediato riferimento al termine “raro” è diretto alle migliaia di malattie con una prevalenza inferiore a un caso ogni 2000 persone, per la maggior parte delle quali quali manca ancora un’opzione di cura. Tuttavia, l’aggettivo “raro” può riguardare anche gli organi di cui hanno bisogno tanti malati in attesa di trapianto, una soluzione che talvolta rappresenta l’unica strada da percorrere per far fronte alle ingravescenti condizioni dell’organismo e al peggioramento della qualità di vita. Il trapianto di organo giunge spesso a costituire una tappa cruciale nel percorso di cura di un malato raro ma se gli organi non sono disponibili - e sono quindi rari - le possibilità di sopravvivenza precipitano. In questo senso rappresenta una notizia splendida quella del primo trapianto a Padova di un cuore fermo da più di 20 minuti su di un uomo di 45 anni affetto da scompenso cardiaco.

A guidare l’intervento è stato Gino Gerosa, professore di ordinario Cardiochirurgia dell’Università degli Studi di Padova e Direttore del Centro di Cardiochirurgia “Vincenzo Gallucci” presso l’Azienda Universitario-Ospedaliera di Padova. Infatti, lo scorso 11 maggio, il prof. Gerosa è entrato in sala operatoria per intervenire su un paziente con pregressa cardiopatia congenita, già sottoposto a ripetuti interventi chirurgici, inserito in lista di attesa per trapianto da circa 3 anni. Il suo caso resterà nella storia perché, per la prima volta in Italia, l’uomo ha ricevuto un cuore fermo controllato. Cosa significa questo? “In Italia il tempo di attesa per l’espianto di un cuore è di 20 minuti, durante i quali il tracciato dell’elettrocardiogramma deve rimanere piatto per certificare in maniera incontrovertibile la morte cardiocircolatoria del donatore”, spiega Gerosa. “Questa soglia è diversa in altri Paesi: ad esempio, nel mondo anglosassone l’attesa dopo lo stop del cuore è di cinque minuti. Il nostro obiettivo è stato quindi di superare questo ostacolo e, attraverso tecniche di conservazione e riperfusione estremamente avanzate, siamo riusciti a farlo”.

Ai venti minuti imposti per legge si sono aggiunti i circa 25 minuti precedenti, nei quali l’organo è rimasto a temperatura corporea in seguito all’interruzione del flusso sanguigno, prima di esser ricollegato a un sistema di apporto di sangue (un lasso di tempo che si definisce WIT, Warm Ischemia Time). “In questo periodo il cuore trapiantato ha vissuto momenti di sofferenza ischemica ma dopo essere stato riperfuso la sua funzionalità è stata accuratamente valutata e giudicata ottimale, perciò si è proceduto al trapianto”, prosegue Gerosa. “Abbiamo sovvertito il paradigma della medicina che affermava che non fosse possibile ricondizionare un cuore fermo per un periodo di tempo così lungo, garantendogli una ripresa contrattile e della funzionalità di pompa”.

Una notizia importantissima anche per i pazienti affetti da malattie rare, tra i principali candidati a un trapianto d’organo. “La procedura può avere un riflesso significativo per i pazienti colpiti da malattie cardiache rare esigenti la sostituzione del cuore, perché permette di incrementare il numero di cuori a disposizione”, spiega Gerosa. Cardiomiopatie e patologie congenite del cuore continuano a rappresentare le principali cause di trapianto e non mancano forme rare tra le malattie cardiache che comportano un’insufficienza d’organo tale da richiedere trapianto.

“In Italia, ogni anno circa 800 pazienti sono in lista di attesa per un trapianto, ma solo in un terzo di essi si effettua la procedura”, continua Gerosa. “In accordo con i dati della letteratura internazionale, grazie alla nostra procedura sarà possibile incrementare di circa il 30% il numero di trapianti. E questo è solo l’inizio per aiutare i pazienti con scompenso cardiaco che muoiono aspettando in lista”. Infatti, nel nostro Paese sono quasi 600mila le persone affette da scompenso cardiaco - come il paziente operato a Padova - e la mortalità tra quelle in lista di attesa per trapianto sfiora il 10%. Sono numeri che fanno ben comprendere il valore della procedura adottata a Padova. “Purtroppo e per fortuna insieme, i cuori da trapiantare oggi sono sempre meno”, commenta Gerosa. “Per fortuna perché significa che le politiche di adozione di dispostivi di protezione individuale come il casco hanno avuto il pregio di ridurre gli eventi di morte cerebrale post-traumatica. Di conseguenza, però, l’età media dei donatori è cresciuta, con maggior diffusione di fattori di rischio, fra cui diabete e ipertensione, che hanno un impatto negativo su organi come rene, fegato e cuore”.

Occorre, dunque, dare una risposta terapeutica ai pazienti con scompenso cardiaco avanzato e a tutti coloro per i quali il trapianto del cuore rappresenta il crocevia centrale dell’iter terapeutico. “La procedura da noi eseguita ci permetterà di aumentare il numero di cuori disponibili per il trapianto - conclude Gerosa - ma resteremo comunque al di sotto della soglia di necessità. Pertanto, dobbiamo anche continuare a impegnarci nello sviluppo di cuori meccanici artificiali di piccole dimensioni, con eccellenti livelli di biocompatibilità, tali da costituire un’opzione alternativa, ma altrettanto efficace, rispetto al trapianto classico”.

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