I neuroni ne hanno un bisogno costante anche da adulti, lo dimostra uno studio sui topi
Per quanto sulla sindrome di Rett ci siano ancora molte domande aperte è pressoché unanime che nella malattia sia coinvolta una mutazione del gene MECP2 che esprime la relativa proteina. Per ora i meccanismi attraverso cui questa disfunzione nella proteina causa la regressione delle capacità motorie e intellettive dei malati – nella quasi totalità dei casi bambine – non erano del tutto noti. Il contributo per fare un po’ di chiarezza viene ora da uno studio pubblicato su Science e condotto al Baylor College of Medicine e del Texas Children's Hospital per capire il collegamento tra la proteina e il danno. Un danno che non sarebbe tanto una neurodegenerazione quanto una incapacità dei neuroni di ‘dialogare’ correttamente tra loro, come recentemente ha provato uno studio italiano finanziato da Telethon.
I ricercatori americani sono ora così giunti alla conclusione che i neuroni hanno bisogno di questa proteina in maniera costante e in quantità ben determinate. A provocare il malfunzionamento è, infatti, tanto un eccesso di questa quanto il fatto che, ad un certo punto, questa venga a mancare: in entrambe i casi i sintomi ricadono per lo più nello spettro della spasticità e dell’autismo.
Il dubbio a cui si da una risposta, fino ad ora irrisolto, era infatti se il neurone ne avesse bisogno per sempre oppure se fosse sufficiente che questa fosse presente nel periodo dello sviluppo e se ne potesse poi fare a meno nell’età adulta. La risposta sembrerebbe, appunto, che il neurone ne ha un bisogno costante per tutta la sua esistenza e, se glie la si sottrae, si trova esattamente nelle stesse condizioni del neurone che non l’ha mai avuta.
Questo è stato dimostrato facendo un esperimento su dei topi geneticamente modificati in modo da poter sottrarre la proteina: quelli a cui è stata sottratta hanno sviluppato gli stessi sintomi di quelli che erano stati fatti nascere senza, tra cui anche movimenti tipici delle zampe, simili al movimento che le bambine affette dalla sindrome di Rett fanno con le mani. I topi nati senza la proteina, inoltre, sono morti circa dopo 13 settimane, mentre quelli a cui sono stati sottratti, similmente, sono morti circa dopo 13 settimane dall’eliminazione. Ciò implica anche che, come hanno sottolineato gli stessi ricercatori, se si potesse rimettere la proteina la dove manca e dove dunque ce ne sarebbe bisogno, si potrebbe evitare il malfunzionamento dei neuroni. Questo però sarà possibile solo quando si sarà esattamente capito come questa proteina agisce nella cellula e quando ci sarà dunque la capacità, conoscendone i meccanismo di funzionamento, di darne la quantità ottimale ai pazienti.
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