Un’innovativa terapia sperimentale testata nei topi ha mostrato benefici motori che durano fino a otto mesi
Due sono gli aspetti della malattia di Huntington che ormai molti lettori di Osservatorio Malattie Rare hanno imparato a conoscere: da una parte i sintomi motori che contraddistinguono la condizione, definiti come “corea”, termine che in medicina indica una sequela di movimenti rapidi e asimmetrici che insorgono improvvisamente e sono al di fuori del controllo del malato; dall’altra le grandi difficoltà che scienziati e ricercatori hanno da sempre dovuto fronteggiare nel tentativo di trovare una terapia efficace per la patologia. In merito a questo secondo punto, i buoni risultati ottenuti in un nuovo studio preclinico, sebbene estremamente preliminari, accendono quantomeno un barlume di speranza.
Una specifica versione della rivoluzionaria tecnica di editing genomico nota come CRISPR, valsa il Premio Nobel per la Chimica a Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier, è stata oggetto di uno studio svoltosi a cavallo tra la Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora e l’Università della California, che ha visto protagonista un gruppo di medici e neurobiologi impegnanti nella ricerca di un trattamento in grado di contrastare la malattia di Huntington. Le conclusioni della loro ricerca - pubblicate dalla rivista Nature Neuroscience - hanno messo in evidenza le potenzialità di un nuovo costrutto genico, Cas13d-CAGEX, pensato per prendere a bersaglio la mutazione genetica che caratterizza la patologia.
In pratica si tratta di una nuova versione del celebre strumento di editing genomico CRISPR-Cas9, attraverso cui si punta a ridurre i trascritti di mRNA legati alla forma dannosa della proteina huntingtina: infatti, nella malattia di Huntington, l’abnorme espansione delle triplette CAG nel gene HTT determina la sintesi di una forma tossica di questa proteina, che contribuisce all’inevitabile progressione della patologia. Sebbene numerose siano state le soluzioni pensate per ridurre l’mRNA mutato o i livelli stessi dell’huntingtina tossica, gli esiti ottenuti non sono stati quelli sperati.
Invece, il trattamento sperimentale che i ricercatori statunitensi hanno testato su un modello di topo è riuscito a ottenere una significativa riduzione dei trascritti di mRNA associati all’huntingtina tossica, con benefici sul piano della funzionalità motoria che si sono mantenuti per periodi prolungati di tempo. Si tratta di un approccio potenzialmente meno rischioso di CRISPR-Cas9 (la sicurezza del costrutto si è rivelata molto buona) ma ci sarà bisogno di test molto più approfonditi prima di poter dire se sarà o meno efficace anche su pazienti umani. Farsi prendere da facili entusiasmi sarebbe quindi un errore, anche se l’investimento sulle terapie avanzate rappresenta attualmente la più grande speranza contro malattie neurodegenerative come la Huntington.
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