L’intervista al Prof. Ortiz (Madrid)
La malattia di Fabry è una patologia rara, genetica e multisistemica. Si tratta di una malattia legata al cromosoma X, causata da una serie di mutazioni che possono determinare espressioni di patologia differenti. Infatti, a seconda del tipo di mutazione si manifesta un differente fenotipo: dal fenotipo asintomatico alle manifestazioni più severe, passando attraverso numerose sfumature di differente gravità.
Le raccomandazioni sul Management del paziente Fabry evidenziano che è importante differenziare il tipo di paziente per valutare quando iniziare il trattamento farmacologico. Ce lo ha spiegato Il Prof. Alberto Ortiz, Direttore di Nefrologia, Ospedale Universitario “Fundación Jiménez Díaz”, Madrid, e Professore di Medicina, Università Autonoma di Madrid, intervistato in occasione del Congresso Nazionale SIN (Società Italiana di Nefrologia) il 4 ottobre 2018.
“È necessario agire prima che si instauri il danno tissutale – ha spiegato Ortiz – in particolar modo è bene fare attenzione al fenotipo patologico al quale ci troviamo di fronte. Per le forme maschili classiche è bene iniziare la terapia il prima possibile. Per le pazienti donne e gli uomini che presentano un fenotipo patologico lieve è necessaria un’attenta sorveglianza, perché la terapia deve essere iniziata non appena si presentino i primi segni di malattia”. La tempistica di trattamento è molto importante perché quando si manifestano i primi sintomi vuol dire che è già in corso il danno a livello di tessuti e organi, compresi i reni.
Anche i pazienti che ottengono una diagnosi tardiva di patologia possono beneficiare della terapia. “Grazie ai dati provenienti dal registro del pazienti Fabry – prosegue Ortiz – sappiamo che i pazienti che hanno iniziato la terapia tardivamente (a causa di una diagnosi ritardata) mostrano una diminuzione del 50% del rischio di eventi clinici gravi, tra i quali la necessità di dialisi, eventi cardiaci e ictus”.
“Per quanto concerne la dose di farmaco da utilizzare, ci sono evidenze osservazionali che le alte dosi potrebbero pulire meglio i podociti che sono le cellule che se alterate promuovono la proteinuria e la progressione della malattia renale”, ha specificato il prof. Ortiz. “Alcuni recenti dati provenienti da uno studio canadese, che hanno confrontato le due terapie enzimatiche sostitutive disponibili per i pazienti Fabry (agalsidasi alfa 0,2mg/kg e agalsidasi beta 1mg/kg) hanno evidenziato che nei pazienti trattati col agalsidasi beta 1mg/kg si sono presentati un minor numero di eventi, in special modo a livello renale”.
“Per i pazienti con malattia di Fabry con alcune mutazioni specifiche esiste anche la possibilità della terapia orale – ha concluso Ortiz – che non è però attualmente somministrabile ai pazienti pediatrici e agli adulti con malattia renale avanzata. Per questo tipo di terapia non disponiamo oggi di studi clinici a lungo termine come quelli di cui disponiamo per la terapia enzimatica sostitutiva”.
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