Grazie a trattamenti innovativi è oggi possibile una maggior attenzione alla qualità di vita del malato

Verona, 12 ottobre 2012 - Quando due farmaci hanno efficacia sovrapponibile, la qualità di vita del malato diventa un elemento basilare nella scelta della terapia. Accade anche per il tumore del rene. Un primo studio clinico dimostra l’efficacia sovrapponibile di due farmaci innovativi, che agiscono soprattutto sulla neoangiogenesi indotta dal tumore stesso. In un altro sono gli stessi pazienti ad esprimere la preferenza di cura sulla base del proprio vissuto quotidiano. Per la prima volta assistiamo ad una vera e propria rivoluzione culturale nell’approccio alla malattia da parte degli oncologi: grazie a trattamenti innovativi più mirati e specifici, oggi è possibile una maggiore attenzione alla qualità di vita anche per una patologia che fino a qualche tempo fa non aveva cure efficaci aldilà dell’intervento chirurgico.


Il tuo parere vale, recitava una pubblicità di qualche tempo fa. Ed anche in medicina i pazienti vogliono “contare”, quando si tratta di sottoporsi alle cure. E lo fanno confidando le loro valutazioni agli oncologi che debbono individuare il farmaco più indicato per ogni singolo caso. La grande novità, una vera rivoluzione culturale nell’approccio alla malattia neoplastica, viene da uno studio denominato PISCES. Per la prima volta nella ricerca sui tumori del rene uno studio clinico non si è limitato a stilare una lista di effetti collaterali e a indicarne le percentuali, ma ha fatto la cosa più ovvia: ha chiesto ai diretti interessati se le differenze di tollerabilità fossero tanto significative da far loro preferire un farmaco piuttosto dell’altro per proseguire la terapia. Ovvero: quale, tra il farmaco A e il farmaco B, nella loro esperienza, gli ha provocato meno problemi?
La ricerca, presentata in anteprima a Chicago all’ultimo congresso American Society of Clinical Oncologia (ASCO) e oggi per la prima volta alla stampa, ha messo a confronto due farmaci, pazopanib e sunitinib, entrambi a somministrazione orale, indicati per il trattamento del carcinoma a cellule renali metastatico, una patologia che interessa in Italia il 30 per cento dei circa 8200 pazienti a cui ogni anno viene diagnosticata una neoplasia ai reni e un ulteriore 40 per cento nei successivi due anni.

Dei 126 su 168 pazienti inseriti nello studio che hanno completato il questionario, il 70 per cento ha espresso il proprio favore per pazopanib (commercializzato da GlaxoSimithKline con il nome di Votrient) il 22 per cento per sunitinib mentre l’8 per cento non ha manifestato alcuna preferenza. La condizione principale per un confronto di questo genere è logicamente la parità di efficacia dei farmaci presi in considerazione. Un dato che nel caso in questione era già emerso raffrontando in modo indiretto le evidenze degli studi registrativi dei due farmaci ma che oggi ha avuto conferma dai risultati dello studio di confronto diretto denominato COMPARZ, presentato all’inizio di ottobre a Vienna nel corso del congresso europeo di oncologia (ESMO). Pazopanib non solo si è rivelato efficace quanto sunitinib ma su 14 parametri di qualità di vita presi in esame 11 ne hanno evidenziato la superiorità rispetto a sunitinib.

Più attenzione al parere del paziente
“Oltre ai tradizionali parametri di efficacia clinica – spiega il prof. Giacomo Cartenì, , primario della U.O. di Oncologia Medica dell’Ospedale Cardarelli di Napoli - sono in costante aumento le ricerche che mirano a valutare le differenze nel profilo di tossicità tra le diverse terapie disponibili. Lo studio Pisces, in particolare, ha inteso indagare se le differenze di tollerabilità tra due farmaci utilizzati nella comune pratica clinica fossero tanto significative da condurre un paziente a preferirne uno piuttosto dell’altro per la prosecuzione del trattamento. Va subito precisato che la condizione principale di questo tipo di indagini è che i farmaci messi a confronto abbiano la stessa efficacia. A quel punto la parola può e deve passare al diretto interessato, anche perché la percezione che può avere un medico sull’impatto di una determinata terapia non è la stessa che ha chi la assume e la sperimenta nella propria quotidianità. Ogni storia è diversa e non può essere raccontata solo dalle differenti percentuali di effetti collaterali che vengono solitamente registrate negli studi. Un paziente, per esempio, potrebbe preferire e sopportare una tossicità pesante ma di breve durata rispetto ad un numero maggiore di effetti collaterali meno gravi ma di lunga durata. E se non glielo chiedo direttamente non lo saprò mai”.

Il disegno dello studio è molto semplice. 168 pazienti con carcinoma a cellule renali metastatico sono stati randomizzati per ricevere, in prima linea e in cieco (cioè senza conoscere il nome del farmaco somministrato) un trattamento con pazopanib per 10 settimane, cui hanno fatto seguito 2 settimane di wash-out (assenza di terapia), seguite da altre 10 settimane di cura con sunitinib e viceversa. L’endpoint primario, cioè la preferenza dei pazienti, misurata dopo 22 settimane di cura, è stato valutato utilizzando una particolare batteria di misurazioni (Test di Prescott). 126 sui 168 pazienti hanno completato il questionario di preferenza. Nel 70% dei casi pazopanib è stato indicato come il farmaco che ha dato meno problemi, quindi meglio accettato, sunitinib nel 22%. Solo un 8% non ha  riscontrato differenze significative  e non ha espresso un parere.
Nello studio, la stessa domanda sulla preferenza è stata fatta agli specialisti oncologi: anche in questo caso 6 su 10 hanno indicato pazopanib come farmaco di preferenza contro 22 che si sono espressi a favore di sunitinib e 19 che non hanno indicato alcun farmaco..

Fondamentale l’efficacia clinica
Lo studio COMPARZ (COMParing the efficacy, sAfety and toleRability of paZopanib vs. sunitinib) ha messo a confronto l’efficacia in termini di periodo libero da progressione di malattia (PFS o Progression Free Survival) e tollerabilità dei due farmaci. A questo proposito sono stati randomizzati 1110 pazienti che hanno ricevuto il trattamento con pazopanib (800 milligrammi al giorno) o sunitinib (50 milligrammi al giorno) per quattro settimane, seguite da due settimane di non trattamento. La terapia è poi proseguita in entrambi i gruppi fino a quando i pazienti non hanno manifestato progressione di malattia, tossicità non accettabile o il desiderio di abbandonare lo studio. L’obiettivo primario di valutazione è stata la PFS. Altri obiettivi secondari dello studio sono stati la sopravvivenza totale, il tasso di risposta obiettivo alle cure, la durata della risposta, la qualità della vita e l’impatto dei sintomi .

“Lo studio COMPARZ – conferma la prof.ssa Cora Sternberg, direttore del Reparto di Oncologia Medica dell'Azienda Ospedaliera San Camillo - Forlanini di Roma -  ha dimostrato la non inferiorità di pazopanib rispetto a sunitinib per quanto riguarda il periodo libero da progressione di malattia. La PFS media è stata di 8,4 mesi nei pazienti trattati con pazopanib contro i 9,5 dei pazienti trattati con sunitinib. Il tasso di risposta obiettivo è invece risultato del 31 per cento nei pazienti in terapia con pazopanib e del 25 per cento nel braccio sunitinib. Per quanto riguarda la sopravvivenza totale media, abbiamo registrato 28,4 mesi nei pazienti del braccio pazopanib e 29,3 mesi nei pazienti seguiti con sunitinib. In termini di qualità della vita – prosegue Sternberg – sono stati presi in considerazione 14 aspetti, relativi a 4 diversi strumenti di misurazione di questo parametro (ad esempio: astenia, secchezza della bocca, indolenzimento delle mani e dei piedi). Per 11 parametri su 14 pazopanib è risultato superiore a sunitinib. Gli eventi avversi più comuni sono risultati, infine, sostanzialmente sovrapponibili”.

Una rivoluzione culturale nell’approccio alle cure


“Lo studio Pisces – commenta ancora il prof. Cartenì – ha un merito che prescinde dai risultati. Per la prima volta viene chiesto al paziente un parere sulla terapia. Si tratta di una rivoluzione culturale, figlia anche della disponibilità delle terapie orali. L’avvento dei farmaci somministrabili attraverso questa via ha cambiato radicalmente la posizione del malato, che non è più costretto a subire il trattamento, come nel caso dei farmaci iniettivi, ma, paradossalmente, non essendo sotto controllo diretto del medico, può anche decidere di non assumerli. Per questo è fondamentale il confronto: occorre infatti che il paziente sia convinto di ciò che prende. Tanto più che parliamo di persone spesso anziane, magari con difficoltà di ordine sociale, perché sono sole o comunque non hanno parenti che le possono seguire. Se il malato è consapevole, protagonista della cura, se può scegliere quella che verifica lo fa stare meglio, è più facile che segua anche le indicazioni del medico. Credo che lo studio Pisces abbia aperto una strada – conclude il prof. Cartenì - Studi come questo saranno sempre più frequenti, perché a fronte di farmaci con uguale efficacia dovrà essere il paziente ad esprimere la sua opinione”.

“La misurazione dei risultati della terapia secondo i valori e le prospettive del paziente – spiega il dott. Giuseppe Recchia, direttore medico e scientifico di GlaxoSmithKline Italia - rappresenta una evoluzione delle modalità di sviluppo del farmaco coerente con l’evoluzione della società e del ruolo che il paziente sta assumendo nelle decisioni terapeutiche. Il paziente può infatti giudicare la propria salute (Qualità della Vita correlata alla salute) e può esprimere preferenze tra trattamenti alternativi (Patient Preference) e può infine esprimere giudizi sul grado di soddisfazione per le cure e la assistenza ricevuta (Patient Satisfaction). Nello sviluppo di Pazopanib basato sul valore sono state utilizzate sia la misurazione della Qualità della Vita comparativa nello studio Comparz che la valutazione delle preferenze del pazienti tra 2 alternative terapeutiche nello studio Pisces, con risultati favorevoli in entrambi i casi. In accordo a quanto indicano i proponenti di questo nuovo modello  di sviluppo del farmaco basato sul valore, non si tratta di informazioni formali, utili solamente a documentare in modo accademico il profilo del farmaco, ma di informazioni necessarie per orientare le decisioni di cura del paziente e pertanto in grado di determinare variazioni dei percorsi di cura ed assistenza precedentemente adottati”.

In Italia sono circa 8200 le persone che ogni anno devono affrontare una diagnosi di carcinoma renale, neoplasia che rappresenta un 2-3 per cento di tutti i casi di tumore, con una tendenza però all’aumento. Si tratta di una malattia prevalentemente maschile, con un’incidenza doppia rispetto alle donne e che interessa soprattutto gli anziani: due terzi delle persone ha più di 65 anni. Si tratta di un tumore non particolarmente frequente, spesso asintomatico, e per questo difficile da scoprire. Uno su due viene infatti individuato per caso, attraverso un’ecografia o una Tac addominale. Con il risultato che circa il 30% dei pazienti mostra segni di metastasi già alla diagnosi e circa il 40 per cento le svilupperà in seguito, solitamente nell’arco di due anni.

 

Seguici sui Social

Iscriviti alla Newsletter

Iscriviti alla Newsletter per ricevere Informazioni, News e Appuntamenti di Osservatorio Malattie Rare.

Sportello Legale OMaR

Tumori pediatrici: dove curarli

Tutti i diritti dei talassemici

Le nostre pubblicazioni

Malattie rare e sibling

30 giorni sanità

Speciale Testo Unico Malattie Rare

Guida alle esenzioni per le malattie rare

Partner Scientifici

Media Partner


Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento. Maggiori informazioni