La Dr.ssa Rovelli del San Paolo di Milano

La Dr.ssa Rovelli: “Una malattia invalidante dal punto di vista sociale e certamente sottodiagnosticata”

 Si tratta di una malattia metabolica dovuta all’incapacità del nostro corpo di produrre un enzima normalmente deputato alla degradazione di una sostanza, la trimetilammina. I pazienti che ne soffrono accumulano questa sostanza, normalmente assunta attraverso l’alimentazione poiché presente in diversi cibi (tra cui soprattutto pesce e crostacei), rilasciandola poi attraverso il sudore, le urine e il respiro che acquisiscono così un caratteristico odore di pesce marcio, da cui il nome evocativo di “Sindrome dell’odore di pesce”.

La trimetilaminuria (TMAU) consiste in un difetto genetico ereditario dovuto a mutazioni a carico del gene FMO3 – spiega la Dr.ssa Valentina Rovelli, pediatra metabolista dell’Equipe Medica dedicata alla cura e assistenza dei pazienti affetti da Malattie Metaboliche presso la Pediatria dell’Ospedale San Paolo di Milano, ASST Santi Paolo e Carlo, diretta dal Dr. Giuseppe Banderali. Da un punto di vista strettamente medico, ad oggi non sono noti rischi certi strettamente associati allo stato di salute del paziente affetto, ciononostante la malattia può diventare estremamente invalidante, specie da un punto di vista sociale. L’odore emanato dai soggetti affetti può infatti essere percepito dagli altri come fortemente fastidioso, portando i pazienti che ne soffrono ad essere isolati, talvolta emarginati, sostanzialmente lasciati soli e quindi soggetti al rischio di sviluppare patologie psichiatriche quali depressione, disturbi d’ansia o dell’umore e analoghi”.

“Ciò che colpisce, soprattutto, è che non sempre i pazienti ne risultano consapevoli, vale a dire che non sempre i pazienti percepiscono il disturbo come tale: magari non gli è mai stato segnalato, magari la famiglia ne risulta talmente abituata che non vi fa caso. Questo può far si che, una volta superato il contesto familiare, all’ingresso in Società, il soggetto affetto si trovi improvvisamente a fare i conti con un isolamento inatteso, dal suo punto di vista inspiegabile, possibilmente quindi foriero di difficoltà di accettazione e comprensione dei relativi meccanismi di sviluppo. L’inconsapevolezza, in questi casi, può risultare controproducente: comprendere il proprio stato di malattia può permettere agli individui affetti di mettere in atto tutta una serie di provvedimenti specifici, soprattutto alimentari che, ove guidati in modo corretto da un adeguato team di medici e dietisti, risultano in grado di ridurre se non talvolta del tutto eliminare la problematica”.

“Questo disturbo presenta una grande varietà fenotipica – continua l’esperta – ci sono persone che emanano odori lievi e solo in seguito all’assunzione di determinati cibi, ad esempio dopo aver consumato elevati quantitativi di pesce, altri che ne emanano di ben più accentuati, magari anche senza assumere pesce ma per esempio carne o latticini. La crescita, con le variazioni ormonali ad essa connesse, può risultare un fattore trigger nello scatenare in modo più accentuato tali manifestazioni. Soprattutto il periodo dell’adolescenza può risultare determinante: periodo peraltro estremamente delicato proprio per lo sviluppo psicosociale. È proprio per questa ragione che ancor più in un periodo tanto delicato risulta fondamentale saper identificare, diagnosticare e trattare questa patologia, prima che l’eventuale isolamento sociale che ne può conseguire possa determinare danno sulla vita del paziente affetto”.

La Sindrome dell’odore di pesce è quindi risolvibile con la dieta?
“La letteratura sul tema è scarsa, quello che possiamo dire con certezza è che un regime alimentare controllato può migliorare decisamente le cose. Si tratta sostanzialmente di ridurre/eliminare l’assunzione dei cibi più ricchi di trimetilammina, integrando adeguatamente l’alimentazione con i giusti supplementi di macro e micronutrienti in base alle necessità specifiche del singolo paziente. I cibi più ricchi di questa sostanza sono, oltre al pesce, i crostacei, la carne rossa, i latticini, le uova, i fagioli ed alcuni altri ortaggi ma ogni paziente può risultare diverso dall’altro in termini di necessità di provvedimenti”

Esistono centri specializzati?

“Attualmente non esiste un registro di patologia e i pazienti italiani ai quali la diagnosi è stata confermata geneticamente ci risultano essere nell’ordine di poche decine. Presso il nostro centro di recente è stato però registrato un notevole incremento di richieste di consulenza a questo proposito, forse anche grazie a internet e al fatto che se ne parli sempre più di frequente. Per questa ragione abbiamo deciso di implementare i servizi già ad oggi presenti presso la nostra struttura, realizzando un percorso dedicato ai pazienti affetti da trimetilaminuria, fatto di un team multidisciplinare di medici e dietisti che stanno sempre più approfondendo questa malattia metabolica, al fine di fornire un servizio sempre più efficace e in grado di significativamente migliorare l’outcome clinico del paziente”.

La diagnosi è possibile?

“Si, mediante prelievo ematico è possibile identificare le mutazioni a carico del gene FMO3, normalmente deputato alla trascrizione dell’enzima flavina monoossigenasi, di conseguenza porre diagnosi di trimetilaminuria. Tale servizio è attivo presso il nostro Laboratorio di Genetica, previa effettuazione di consulenza presso il nostro Ambulatorio di Malattie Metaboliche Congenite”.

“L’obiettivo è quello di garantire una presa in carico completa del paziente, elaborando piani assistenziali validati e condivisi che portino anche alla realizzazione di eventuali PDTA (“percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali”), basati su una crescente conoscenza dei pazienti e delle peculiarità che li caratterizzano, inoltre in grado di favorire il processo necessario al raggiungimento  di codici di esenzione dedicati ad oggi non ancora disponibili”.

 

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