Ampia la disponibilità a partecipare a studi clinici sui nuovi trattamenti, ma servono anche maggiori informazioni: l’indagine del Campus di Ematologia “Cutino” di Palermo
La talassemia – che fa parte della più ampia famiglia delle emoglobinopatie – è una malattia ereditaria che provoca una riduzione dell’emoglobina, la proteina che trasporta l’ossigeno nell’organismo attraverso il sangue. I pazienti che ne sono affetti soffrono di un’anemia cronica che può essere anche molto grave. Negli ultimi trent’anni, tuttavia, si è assistito a un sensibile miglioramento della prognosi: la storia naturale della malattia è completamente cambiata, la qualità di vita dei pazienti è migliorata e l’aspettativa di vita si è accresciuta. Questi importanti risultati sono stati possibili grazie a delle terapie che oggi sono definite convenzionali (come le trasfusioni di sangue e i farmaci ferrochelanti), a cui si stanno affiancando anche nuove terapie avanzate, prima fra tutte la terapia genica.
Ma in che modo i pazienti si avvicinano ai trattamenti di ultima generazione e quanto ritengono efficaci le terapie convenzionali? Per rispondere a queste ed altre domande, riportiamo i principali contenuti dello studio “Il paziente al Centro”, condotto dalla Fondazione Franco e Piera Cutino, ente del terzo settore impegnato nell’assistenza ai pazienti affetti da talassemia e altre malattie ematologiche in cura al Campus di Ematologia “Cutino” del Presidio Ospedaliero “V.Cervello” di Palermo. L’indagine è stata coordinata dalla dottoressa Lorella Pitrolo, pediatra del Campus di Ematologia “Cutino”, con il supporto della psicologa e psicoterapeuta Sonia Iannello.
Dottoressa Pitrolo, quale esigenza vi ha spinti alla realizzazione dello studio “Il paziente al Centro”?
Il Campus di Ematologia “Cutino” è stato inaugurato nel 2013 e, a distanza di 7 anni, volevamo conoscere l’opinione dei pazienti riguardo l’organizzazione interna, la qualità delle cure erogate, l’assistenza infermieristica e il comfort percepito durante le ore di degenza necessarie per le terapie trasfusionali e per il monitoraggio dei danni d’organo. Abbiamo ritenuto importante eseguire questa indagine per comprendere come eventualmente migliorare i servizi erogati. Inoltre, abbiamo cercato di rilevare l’eventuale propensione del paziente ad un cambio di terapia o ad iniziare un percorso sperimentale, ad esempio quello sulla terapia genica.
Quale tecnica avete utilizzato per eseguire questa indagine?
Abbiamo utilizzato un questionario - elaborato dal nostro team e somministrato ai pazienti dalla dottoressa Iannello, tramite interviste individuali - strutturato in modo tale da sollecitare gli utenti a comunicarci i loro bisogni e le loro difficoltà. Il questionario è stato proposto a pazienti con talassemia major, talassemia intermedia e drepanocitosi. Sono stati intervistati, durante la loro permanenza in ospedale, 112 pazienti, di cui 62 donne e 50 uomini, di età compresa tra 17 e 68 anni. Tutti i pazienti coinvolti nello studio, a prescindere dalla diagnosi, eseguono terapia trasfusionale periodica e, al proprio domicilio, la terapia ferrochelante con uno dei tre farmaci oggi disponibili.
Dottoressa Iannello, può indicarci quali risultati principali sono emersi dallo studio?
Una prima questione che ritenevamo utile indagare è stata la qualità assistenziale percepita dai pazienti, e per farlo abbiamo chiesto loro di valutare diverse dimensioni dell’assistenza. Il rapporto medico paziente, infatti, si configura come il più importante valore che incide sulla compliance terapeutica, ossia sul grado di aderenza alla terapia: maggiore è l’alleanza terapeutica tra il medico e il paziente e maggiore è l’adesione al trattamento da parte di quest’ultimo. Dalle interviste è emerso che una larga maggioranza dei pazienti valuta ottima o discreta la professionalità del personale sanitario, la qualità delle visite mediche, l’accoglienza e la disponibilità all’ascolto. Tra i fattori particolarmente apprezzati c’è la stabilità del personale sanitario, rimasto pressoché invariato nel corso degli anni. Quest’ultimo aspetto, soprattutto in un reparto che segue pazienti cronici, è fondamentale, poiché consente ai pazienti di costruire, giorno dopo giorno, un attaccamento e quindi una relazione positiva, una ‘buona alleanza’, con l’equipe sanitaria che li segue fin dall’inizio della loro storia in ospedale. Anche per tale motivo, l’ospedale è vissuto e definito dalla maggior parte dei nostri pazienti come una “seconda famiglia”. Nello specifico, dai dati rilevati sulla compliance terapeutica, emerge che oltre l’80% dei pazienti sostiene che il piano del trattamento incide positivamente sulla qualità della loro vita, mentre solo il 16% sostiene di non sentire alcun beneficio.
Nel vostro studio avete anche rilevato la disponibilità dei pazienti a seguire terapie non convenzionali. Può dirci che dati sono emersi?
Sì, abbiamo deciso di indagare anche questo aspetto, chiedendo espressamente ai pazienti quale fosse la loro disponibilità a partecipare a studi clinici su terapie non convenzionali. Il riscontro è stato estremamente positivo: il 63% dei pazienti ha dichiarato di aver già partecipato negli ultimi anni a questo tipo di studi, proposti dall’equipe medica; un ulteriore 14% di utenti, pur dichiarando di non aver mai partecipato, dimostra un’apertura a prendere parte a futuri protocolli di terapia non convenzionale. Questi dati esprimono una forte fiducia nel personale medico, ma anche una marcata dimensione psicologica di propensione al cambiamento.
Per quanto riguarda la conoscenza che i pazienti hanno sulle terapie sperimentali, come la terapia genica, che riscontro avete registrato?
Abbiamo ritenuto importante valutare anche questo aspetto, e i dati emersi ci dicono che solo una piccola minoranza dei pazienti, il 12%, dimostra di essere aggiornato sui recenti studi di terapia genica. Il 74% non ha informazioni aggiornate e il 14% non ha proprio idea di cosa rispondere. Tuttavia, durante l’intervista, 68 pazienti hanno affermato verbalmente il bisogno di essere maggiormente informati, mentre 44 hanno messo per iscritto la loro esigenza di voler conoscere maggiormente gli esiti degli ultimi studi sulla terapia genica, in particolar modo sui rischi e sulle probabilità di guarigione, sui criteri di inclusione al trattamento e sulla durata dello stesso. Risultati, questi, su cui riflettere attentamente.
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