Lo studio ha vinto il bando “Research to Care” nella categoria riservata alle malattie rare
Si accende un barlume di speranza per le famiglie che convivono con una rarissima malattia, la gangliosidosi GM1, patologia degenerativa molto grave per la quale non esiste una cura e su cui, ad oggi, le ricerche in atto non sono molte. Ora, uno studio condotto dalla Clinica di Oncoematologia Pediatrica dell’ospedale universitario di Padova si appresta a coniugare elementi innovativi appartenenti al campo delle cellule staminali del sangue per la sperimentazione preclinica di un nuovo approccio di terapia genica specifico per la gangliosidosi GM1 infantile.
Il progetto di ricerca ha vinto il finanziamento di “Research to Care”, il bando sostenuto da Sanofi Genzyme che premia la ricerca indipendente più innovativa e promettente, arrivando primo tra 62 progetti in gara per le malattie rare. Altri 3 sono gli studi che si sono aggiudicati la vittoria nelle rispettive categorie di ricerca, l’onco-ematologia, l’immunologia e la neurologia, più un quinto progetto premiato come vincitore assoluto, per un totale di 5 programmi di ricerca che si divideranno i 500mila euro messi in palio quest’anno dal bando.
A guidare la sperimentazione sulla gangliosidosi GM1 è la milanese Alessandra Biffi, che dirige la Clinica di Oncoematologia Pediatrica di Padova, ritornata nel suo Paese dopo aver lavorato per diversi anni presso il Dana-Farber/Boston Children’s Cancer and Blood Disorders Center, negli USA, e aver diretto il programma di terapia genica. Nel gruppo di lavoro è presente anche un’altra ricercatrice italiana, rientrata da poco dalla Harvard Medical School, Valentina Poletti, che ha rappresentato il team di studio durante una cerimonia al Senato della Repubblica.
“Il progetto che proponiamo – ha dichiarato Alessandra Biffi – è lo sviluppo preclinico di una procedura di terapia genica ex vivo per la gangliosidosi GM1 infantile estremamente innovativa e promettente perché disegnata per andare ad agire sugli aspetti chiave della patologia, per anticipare quanto più possibile la disponibilità dell’enzima terapeutico per le cellule del sistema nervoso centrale, e per superare i limiti della terapia cellulare, attualmente unica forma d’intervento medico approvato, ma per molti pazienti non disponibile”.
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