Giancarlo Caletti

Nonostante sia nota da 140 anni, la patologia è ancora sottodiagnosticata e poco conosciuta: l’intervista al prof. Giancarlo Caletti (Bologna) 

Fu scoperta nel 1882 dal pediatra inglese Samuel Gee, eppure ancora oggi, 140 anni dopo, sono pochi i medici a conoscerla e a diagnosticarla: stiamo parlando della sindrome del vomito ciclico (CVS), spesso conosciuta come sindrome periodica dell’infanzia (denominazione coniata nel 1933 da Wyllie e Schlesinger). Fino al 1988, infatti, si pensava che solo i bambini fossero colpiti da questa patologia, ma anno dopo anno si cominciò a riconoscere questo quadro clinico anche fra gli adulti. A parlarne è il prof. Giancarlo Caletti, Gastroenterologo e Professore dell’Alma Mater Università di Bologna, nonché tra i massimi studiosi della sindrome in Italia.

“La CVS – spiega il prof. Caletti – è definita una sindrome perché ha un insieme di sintomi che variano da persona a persona. Ciò che accomuna tutti coloro che ne soffrono, sono gli episodi ricorrenti di forte nausea e vomito, che richiedono spesso l’ospedalizzazione, intervallati da periodi di benessere, talvolta anche lunghi. In Italia sono pochi i gastroenterologi che la conoscono, io ho cominciato ad interessarmene quando ho riscontrato questo disturbo in mio figlio e sono dovuto andare negli Usa per studiarla meglio”.

Gli episodi sintomatici – prosegue il prof. Caletti – sono caratterizzati da 4 fasi. La prima è definita “Fase inter-episodica o intervallo di benessere”, un periodo che può durare anche molte settimane o mesi, in cui non si verificano episodi di vomito e il paziente sta relativamente bene. La seconda è la “Fase pre-vomito”, che dura da qualche minuto fino ad un massimo di qualche ora, nella quale il paziente inizia a percepire l’arrivo dell’episodio acuto. Qui subentra la nausea, di intensità variabile, e il paziente, ancora per poco, è ancora in grado di assumere medicine per bocca. La terza è la “Fase del vomito”: la nausea è intensa e persistente, il vomito è ripetuto ed è accompagnato da altri sintomi, quali il dolore addominale, uno stato di prostrazione, e torpore. Talvolta a questi sintomi è associata anche l’emicrania, infatti quest’ultima e la CVS hanno molti fattori patogenetici in comune e in questi casi la CVS può anche essere chiamata “emicrania addominale” o “epilessia addominale”. In questo stadio, che può durare da alcune ore ad alcuni giorni, è praticamente impossibile ingerire e trattenere qualcosa, compresi i farmaci per via orale. Infine, vi è la “Fase di ricupero e ripresa”, dove la nausea diminuisce fino a terminare, ed ecco che ricompare l’appetito. Si torna ad essere in grado di ingerire qualcosa e le forze ritornano progressivamente normali.”

“In generale – spiega Caletti - i fattori che possono scatenare gli episodi di vomito sono gli stessi nei bambini che negli adulti e possono essere di origine interna o esterna: lo stress psicologico o l’eccitazione (anche per eventi positivi), le cinetosi (mal d’auto, di mare e di aereo), la carenza di riposo notturno, banali infezioni come un raffreddore o un’influenza, digiuni prolungati e grandi sforzi fisici. Pare che anche alcuni cibi possano influenzare negativamente chi ne soffre, quali la cioccolata, i formaggi, il glutammato di sodio, la caffeina, la liquirizia ed il vino rosso. Inoltre, in alcune donne, la crisi si può manifestare in concomitanza del ciclo mestruale”.

I meccanismi fisiopatologici della sindrome, tutt’oggi, sono ancora sconosciuti ma al vaglio ci sono due ipotesi. La prima – precisa il prof. Caletti – è rintracciabile nei fattori sopra citati che vanno ad alterare l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, attivando un ormone del sistema nervoso centrale chiamato CRF (Corticotropin Releasin Factor): quest’ultimo gioca un ruolo importantissimo nel mediare le alterazioni del sistema nervoso autonomo (attivazione del sistema simpatico ed inibizione del nervo vago), che influenzano la motilità del tubo digerente, in particolare lo svuotamento gastrico. Inoltre, il fatto che il livello del CRF sia più alto all’alba e nelle prime ore del giorno, spiegherebbe la predominanza dei primi sintomi in concomitanza al risveglio mattutino. In estrema sintesi, la CVS, secondo questa ipotesi, sembrerebbe causata da uno sbilanciamento del sistema nervoso autonomo simpatico che rende i pazienti più suscettibili a rispondere in modo esagerato agli stimoli al vomito provenienti dal cervello. La seconda ipotesi fisiopatologica, invece, si basa sulla presenza di una disfunzione dei mitocondri all’interno della cellula che porta ad un deficit dell’energia cellulare e così contribuisce ulteriormente al malfunzionamento del sistema nervoso autonomo. In questo caso, rimangono in circolo troppi radicali liberi che stimolano il centro del vomito: accumulandosi, si arriva al loro trabocco e si innescherebbe così la sindrome”.

“Di recente – racconta Caletti – ho riscontrato anche un nuovo tipo di vomito ciclico in alcuni pazienti soprattutto in età adolescenziale, che sembrerebbe dovuto ad un uso eccessivo e cronico di marijuana. La si definisce “iperemesi da marijuana”, ed è caratterizzata dalla necessità di questi soggetti di fare docce o bagni caldi per attenuare il vomito ed il dolore addominale. La prima cura, ovviamente, sta nel cessare immediatamente il consumo della cannabis”.

La diagnosi di questa patologia, che arriva spesso in ritardo di anni, anche di oltre 20, avviene per esclusione. Non esiste infatti – spiega Caletti - un esame di laboratorio che consenta una diagnosi di CVS. Normalmente sono sufficienti poche analisi quali l’emocromo completo, la glicemia, gli elettroliti, gli enzimi pancreatici, il test di gravidanza, l’esame delle urine e una radiografia diretta dell’addome, un’ecografia addominale completa, per escludere patologie organiche importanti alla base della nausea e del vomito”. 

Per quanto riguarda la cura, esistono dei trattamenti profilattici, per evitare le crisi, sia delle terapie d’urto, da attuare al momento dei primi sintomi. Solitamente, per prevenire gli episodi – prosegue l’esperto - vengono prescritti gli antidepressivi triciclici (TCA), in particolare l’amitriptilina a basso dosaggio o in caso di intolleranza a questa, la doxepina. Nei casi più resistenti, ai TCA, viene associato il topiramato. La cura degli episodi acuti, invece, consiste innanzi tutto nel prevenire la disidratazione legata alla perdita di liquidi con il vomito profuso, nel bloccare il vomito e nell’eliminare il dolore addominale. Nella fase acuta, i tradizionali antiemetici non hanno alcuna efficacia e sono consigliate fleboclisi di destrosio con potassio ed antiemetici come la prometazina e lorazepam ogni 3 ore. Anche la L-carnitina e il coenzima-Q sono stati co-somministrati con buoni risultati.”

I farmaci efficaci – conclude Caletti – esistono e, se opportunamente utilizzati, possono portare a guarigione o almeno a lunghissimi periodi di benessere. L’importanza sta tutta nella diagnosi il più precoce possibile, e nel non interrompere la terapia di profilassi prima del tempo, ovvero non prima dei 12-18 mesi, e avendo l’accortezza di scalare il dosaggio dei farmaci prescritti prima di cessarne del tutto l’assunzione”. 

Leggi anche: “Sindrome del vomito ciclico, in Italia esiste un’associazione di pazienti”.

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