E' passato un anno dalla diganosi che le dava uno o al massimo due anni di vita ma la piccola Ludovica, 4 anni appena compiuti,  non solo non è diventata, come prevede il decorso della malattia, cieca e immobile, ma va anche all'asilo. Grazie ad dottor Bruno Bembi di Udine e alla sua equipe che hanno attivato per lei una terapia fuori protocollo a base di Miglustat.

“Rassegnatevi, per vostra figlia non ci sono cure, le restano uno o due anni di vita. E’ inutile portarla in giro per ospedali”. Roberta, racconta come se fosse ieri il giorno della diagnosi fatta a sua figlia Ludovica, tre anni non ancora compiuti.  Malattia di Tay-Sachs di tipo giovanile, questo il verdetto dopo mesi di analisi, una disfunzione metabolica rarissima. In Italia ne nascono circa 3 all’anno, Ludovica è probabilmente l’unica al mondo ad avere la specifica mutazione genetica che i medici hanno trovato. Dal giorno della diagnosi un anno è già passato. Ludovica non solo è viva e pochi giorni fa ha compiuto 4 anni, ma, contrariamente al normale decorso della malattia, ha ricominciato a dire alcune parole, si muove un po’ meglio, ha più forza e gli elettroencefalogrammi mostrano un deciso miglioramento. Tutto questo grazie alla tenacia della sua famiglia, che non si è rassegnata, e al dottor Bruno Bembi di Udine che ha deciso di sottoporla ad una terapia sperimentale fuori protocollo: il Miglustat.

“Da quando Ludovica ha cominciato il Miglustat non solo la progressione della malattia si è arrestata ma la piccola sta meglio. Purtroppo prima di arrivare alle diagnosi e prima di arrivare a Bembi sono passati molti mesi durante i quali Ludovica è peggiorata. Se tutto si fosse svolto più velocemente oggi starebbe anche meglio”.
“Ludovica è arrivata da me in uno stadio iniziale della malattia – racconta il dottor Bruno Bembi – e questo ha permesso di fare la terapia, ma non sempre è così, molti arrivano in una fase troppo avanzata. I casi di Tay Sachs sono pochissimi, per conoscere bene la malattia sarebbe indispensabile costruire una rete di centri di riferimento che permetta ai medici di stare un comunicazione e collaborare”. Ma per la malattia di Tay Sachs in Italia un centro di riferimento non c’è, ci sono solo alcuni ospedali che effettuano i test genetici per la diagnosi e nulla più. Troppo pochi i malati: non c’è nemmeno un’associazione per loro, come invece accade per i malati di altre malattie rare. E questo ritarda la diagnosi e rende difficile arrivare in breve tempo a chi potrebbe dare un aiuto.
“Quando notai che qualche cosa non andava in Ludovica – racconta la mamma Roberta -  che allora aveva due anni, ero in attesa di un secondo figlio. La maggior parte dei dottori diceva che le mie erano solo ansie e che Ludovica poteva essere solo una bimba dalla crescita più lenta. Ma io sono una fisioterapista e il mio occhio allenato mi diceva che c’era qualche cosa di più”. Le cose precipitano quando Ludovica comincia ad avere frequenti e fortissime crisi epilettiche: al Bambino Gesù di Roma le diagnosticano una epilessia mioclonica, che generalmente è sintomo di una malattia metabolica. “I primi accertamenti hanno dato esito negativo ma a quel punto la regressione di Ludovica era diventata evidente, stava in silenzio, non riusciva a rialzarsi da terra e non riusciva a battere le mani. I medici brancolavano nel buio”. Dopo 4 mesi di accertamenti andati a vuoto la grande intuizione. “Un giorno – racconta Roberta - la neurologa di Ludovica ha incontrato il dott. Enrico Bertini che, quasi come un dr. House italiano, ha consigliato di fare la ricerca di uno specifico enzima, uno di quegli esami che vista la rarità e la scarsissima diffusione di questa malattia in Italia non si fa quasi mai.” E siamo arrivati così al giorno della diagnosi, il giorno in cui per la famiglia di Ludovica, che nel frattempo ha avuto un altro bimbo, tutto cambia.
“Era il giugno del 2009, lì è cominciata la mia lotta per cercare ogni possibilità di cura per mia figlia, qualcosa che se anche non l’avesse guarita per sempre potesse rallentarne il decorso. Anche se i medici ci dicevano di rassegnarci una mamma non può”.
Una delle prime persone a cui la famiglia chiede aiuto è il rabbino capo di Roma, Di Segni: la malattia è particolarmente diffusa tra gli ebrei e infatti in Israele ci sono dei medici che conoscono bene la malattia. E poi ancora Cambridge e New York. Da tutti è arrivata la stessa risposta: “andate dal dottor Bruno Bembi, ad Udine, è lui uno dei massimi esperti”. Una risposta ben diversa dal perentorio ‘rassegnatevi’ detto al momento della diagnosi. Eppure sembra che i medici che hanno in cura la piccola siano scettici, non riescono – così dicono – a rintracciare Bembi, non sanno che da anni studia questo tipo di malattie e può attivare una terapia sperimentale con un farmaco che sembra riuscire ad arrestare la malattia. Si tratta appunto del Miglustat, un ‘farmaco orfano’, cioè uno di quelli che vengono prodotti per un numero esiguo di pazienti.
“Ho trovato il suo numero sul web e la a sua equipe mi ha risposto subito anche se era agosto – racconta Roberta – Siamo andati e hanno cominciato a fare immediatamente tutte le analisi necessarie per valutare se Ludovica potesse essere idonea alla sperimentazione, che per fortuna sono state positive. Prima peggiorava velocemente, da quando fa questa terapia le condizioni si sono prima stabilizzate e poi sono cominciate a migliorare, Ludovica ha ripreso a camminare se sostenuta, riesce a mangiare, vede – cosa che non sarebbe stata possibile se la malattia avesse continuato a progredire ai ritmi di prima – e  ha smesso anche di aver bisogno del pannolone”. Tre volte a settimana la bimba va anche all’asilo grazie alla presenza di maestre di sostegno. “Mi chiedo spesso – dice Roberta - come starebbe ora Ludovica se avessi seguito il consiglio di rassegnarmi. E penso che se mi avessero messo in contatto più velocemente con il dottor Bembi oggi Ludovica starebbe ancora meglio. Ma quando una malattie è rara o rarissima noi genitori siamo soli” . Lo sa bene Roberta che la terapia di sua figlia non è la cura, nel protocollo che ha firmato è scritto nero su bianco che ogni sei mesi bisognerà valutare le condizioni e decidere se continuare o meno, ma vuole raccontare la sua storia perché possa essere utile ad altri bambini, perché i medici sappiano che almeno una terapia sperimentale esiste. “Voglio far conoscere il più possibile la storia di mia figlia – dice -  magari ci sono altri ricercatori che studiano questa malattia e che possono aiutare Ludovica e domani altri come lei”. “Bisogna fare attenzione a non dare false speranza – dice il dottor Bembi – Il Miglustat non è la cura per la malattia, però ne rallenta la progressione e questo non è dimostrato solo dal caso di Ludovica ma da tutto uno studio clinico conclusosi un anno fa”.



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