"Gravi lacune sul monitoraggio delle neoplasie. In alcune Regioni del Paese non ci sarebbe nessun registro"

I senatori del Movimento 5 stelle puntano il dito contro il ministero della Salute, dicastero ritenuto responsabile di non tenere in adeguata considerazione il monitoraggio relativo alla diffusione dei tumori.

“Il ministro della Salute Lorenzin è a conoscenza dell'attuale frammentarietà e disomogeneità dei registri tumori presenti sul territorio nazionale, in particolare per quanto riguarda la totale assenza degli stessi in molti territori che figurano tra i più colpiti dall'inquinamento ambientale e industriale?”, si chiedono i trentasette pentastellati – compreso il capogruppo Nicola Morra – firmatari di un'interrogazione a cui sarà chiamata a rispondere il ministro del Pdl.

“Questa mancanza è una grave violazione del fondamentale diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione”, spiega Paola Taverna, componente M5S della commissione Igiene e Sanità di Palazzo Madama.

“L'attuale quadro normativo va rivisto – proseguono i senatori grillini – perché sembra generare ostacoli considerevoli alla creazione dei registri tumori nelle Regioni che sono contemporaneamente sottoposte a piani di rientro e commissariate, costituendo, a parere degli interroganti, un'ulteriore violazione della Costituzione”.

I quesiti posti dal M5S ripropongono i temi relativi all'organizzazione del Sistema sanitario nazionale; complice l'attuale versione del Titolo V della Costituzione, si ha a che fare con ventuno ordinamenti diversi. Ogni Regione, comprese le Province autonome di Trento e Bolzano, decide tramite le proprie leggi ed i propri regolamenti come gestire ospedali, terapie o l'accesso dei farmaci sul mercato ospedaliero.

Una miriade di norme in grado di mettere in crisi anche gli analisti più esperti.

Tornando al caso particolare, i registri dei tumori sono finalizzati alla raccolta di informazioni sui malati di cancro residenti in un determinato territorio. Sono in grado di diventare particolarmente necessari – ai malati come alla comunità scientifica – perché in nessuna struttura ospedaliera italiana, pubblica o privata, c'è l'obbligo di archiviare i dati relativi alla diagnosi e alla cura dei tumori, il che li rende l'unico strumento in grado di assolvere al compito di sorvegliare l'andamento della patologia oncologica ricercando attivamente le informazioni ad essa connesse, codificandole, archiviandole e rendendole disponibili per studi e ricerche.

I registri tumori – così come spiegato dai senatori del MoVimento – si distinguono in due categorie, vale a dire i registri di popolazione e i registri specializzati: la maggior parte dei registri italiani sono registri di popolazione, i quali raccolgono i dati relativi alle malattie tumorali di tutti i residenti di un determinato territorio (può essere una singola città o un'intera regione, una provincia o un'Azienda sanitaria locale), permettendo di legare la raccolta di dati alla residenza, in tal modo la casistica raccolta non sarà selezionata, ma rifletterà la reale condizione di un territorio dove sono presenti tutte le fasce di età, tutti gli strati sociali, mentre i registri specializzati raccolgono informazioni su un singolo tipo di tumore oppure su specifiche fasce di età.

Secondo i dati riportati ufficialmente nel sito dell'AIRTUM (Associazione italiana dei registri tumori), aggiornati al 2013, attualmente nel nostro Paese solo circa 27 milioni di cittadini (pari al 47 % della popolazione totale) vivono in aree coperte dall'attività dei registri tumori accreditati dall'AIRTUM stessa, con una variazione delle dimensioni dei registri che oscilla tra zone corrispondenti a intere regioni, come l'Umbria, o quasi, come il Veneto, e dimensioni provinciali o addirittura corrispondenti esclusivamente a una singola città, come nel caso di Torino.

L'analisi dei registri attualmente esistenti, effettuata sempre dall'AIRTUM, dimostra inequivocabilmente che vi è una forte disparità tra le varie zone della penisola quanto alla copertura stessa, in quanto essa raggiunge nelle regioni del nord-est la considerevole percentuale del 69 %, in quelle del nord-ovest del 55 %, in quelle del meridione e nelle isole del 40 % e infine nelle regioni del centro, fanalino di coda, solo del 26 %.

I senatori vicini a Beppe Grillo citano anche il rapporto 2011 dell'Agenzia europea per l'ambiente (Eea) sull'inquinamento prodotto dagli stabilimenti industriali in Europa. Secondo il documento, più di 60 fabbriche italiane compaiono nella lista dei 622 siti più "tossici" del continente e molti di questi sono ubicati in province che attualmente risultano sprovviste di un registro tumori, né di popolazione né specializzato.

“Ad esempio – si legge nel testo dell'interrogazione – in Puglia il territorio della provincia di Brindisi risulta attualmente scoperto, nonostante vi sia la centrale Enel termoelettrica a carbone "Federico II" di Cerano, la seconda più grande del Paese dopo quella di Civitavecchia, che figura al 18° posto della classifica (prima tra le italiane) e, a partire da un esposto presentato dagli agricoltori locali, la procura di Brindisi abbia aperto un'inchiesta, nell'ambito della quale una perizia affidata a Claudio Minoia, direttore del laboratorio di misure ambientali e tossicologiche della fondazione Maugeri di Pavia, afferma che a contaminare i terreni, le colture, l'acqua e l'atmosfera sarebbe proprio la polvere del combustibile usato nella centrale”.

Altri casi di assenza dei registri – nonostante gli alti tassi di inquinamento atmosferico e del suolo – si registrano in Sardegna, Sicilia e nel Lazio.

Il ministero della Salute avrà ora l'onere di illustrare la propria posizione in merito alla spinosa questione.

Una cosa è certa, i continui tagli lineari – e gli ancora più severi piani di rientro – non possono andare a braccetto con un miglioramento della prevenzione. I Sistemi sanitari ragionali hanno il dovere di fare delle scelte in merito alla qualità della propria spesa. Sui registri dei tumori occorre una rapida inversione di rotta, a prescindere da quella che sarà la risposta del ministro Lorenzin.

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