La comunità scientifica italiana chiede che si possano destinare alla ricerca scientifica gli embrioni non idonei per una gravidanza. La discussione di ieri al Senato

In Italia la legge 40 del 2004 all'art. 13 vieta qualsiasi tipo di sperimentazione sugli embrioni umani, anche quelli non idonei per una gravidanza e destinati alla distruzione. La legge “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” è nata con l’intento di disciplinare la procreazione medicalmente assistita (PMA) ma ha suscitato da subito un grande dibattito, tra cui il referendum andato a vuoto nel 2005, e una serie di ricorsi. In undici anni di legge ci sono stati tre interventi della Corte Costituzionale che hanno cancellato cinque divieti, l’ultimo divieto è caduto nel 2015 con l’autorizzazione all’accesso alla fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili con una malattia genetica, e una condanna da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Adesso in corso di esame rimane l’ultimo pilastro: il divieto assoluto di ricerca sugli embrioni. “Dobbiamo uscire dal contesto della fecondazione assistita ed entrare adesso nel contesto della ricerca scientifica”, ha dichiarato Gianni Baldini docente di biodiritto all’Università di Firenze. Le ragioni per cui la comunità scientifica italiana chiede che si possano destinare alla ricerca scientifica gli embrioni non idonei per una gravidanza sono molto semplici e oggettive. Prima di tutto, l’attuale divieto ostacola il diritto alla salute, diritto sancito dal art. 32 della Costituzione, e la possibilità di sviluppo di terapie per patologie che oggi non hanno nessun trattamento a disposizione. Terapie che potrebbero nascere proprio dalla ricerca condotta sulle cellule staminali embrionali, cellule che per la loro origine embrionale non possono essere generate nei laboratori italiani. Secondo punto, la richiesta degli scienziati è sugli embrioni non vitali, o anche detti sovrannumerai, che non potranno mai essere impiantati per generare un bambino e che sono destinati alla crioconservazione a tempo indeterminato o distruzione.

A questo riguardo, in Italia esiste un Registro Nazionale PMA costituito nel 2005 dall’Istituto Superiore di Sanità a seguito dell’entrata in vigore della legge 40. Nel Registro sono raccolti tutti i dati riguardanti i centri che svolgono la fecondazione medicalmente assistita, tra cui anche un censimento degli embrioni crioconservati, e più nello specifico un censimento mirato agli embrioni crioconservati definiti in “stato di abbandono”. Gli embrioni in stato di abbandono sono quelli per cui vi è una rinuncia scritta per un futuro impianto da parte della coppia genitoriale o per cui il centro di riferimento documenta un’impossibilità di poter ricontattare la coppia. Ad oggi i dati del Registro Nazionale PMA riportano 3.862 embrioni crioconservati ufficialmente abbandonati e 6.279 embrioni crioconservati che sono stati definiti in stato di abbandono perché le coppie non sono rintracciabili, considerati al momento in standby. Parliamo quindi di circa 10.000 embrioni sovrannumerari conservati in Italia. “Mi auguro che questi dati possano essere utilizzati per fornire una base per una discussione costruttiva riguardo alla tematica della ricerca sugli embrioni”, ha dichiarato Giulia Scaravelli Responsabile del Registro Nazionale PMA.

All’incontro, la voce della scienza è stata rappresentata da due luminari a livello internazionale della ricerca sulle cellule staminali: Michele De Luca, Direttore del Centro di Medicina Rigenerativa dell’Università di Modena e Reggio emilia e Co-Presidente dell’Associazione Luca Coscioni, ed Elena Cattaneo, Senatrice a vita e Direttrice del Centro di Ricerca sulle Cellule Staminali dell’Università di Milano. Michele De Luca ha illustrato l’origine delle cellule staminali embrionali utilizzate per la ricerca che, di fatto, non derivano da un embrione, bensì da una blastocisti che è in una fase di sviluppo precedente. “La blastocisti è un progetto di embrione che non diventerà mai tale se non viene impiantata. Tutto il dibattito etico parte in realtà da un presupposto sbagliato”, ha sottolineato De Luca.

Elena Cattaneo ha focalizzato l’attenzione sull’importanza di poter accedere a linee di cellule staminali embrionali per portare avanti la ricerca in determinati campi della biomedicina e delle applicazioni terapeutiche. Un esempio lampante arriva da una ricerca svedese condotta sul Parkinson. Tra il 2011 e il 2014, un gruppo di ricercatori dell’Università di Lund ha sviluppato un protocollo per produrre in laboratorio neuroni dopaminergici, i neuroni che degenerano con il progredire del Parkinson, partendo da cellule staminali embrionali. Queste cellule derivano da blastocisti, prodotte dalla fecondazione in vitro, che non vengono utilizzate dalla coppia e che vengono destinaste alla ricerca invece che alla distruzione. Se trapiantati in topi modello per la malattia, queste cellule neuronali sono in grado di rilasciare dopamina, indurre un recupero funzionale del topo e, sorprendentemente, funzionano così bene da generare una rete di ramificazioni nervose che si connettono con i neuroni endogeni del topo. Questo studio ha posto le basi per lo sviluppo di una possibile terapia cellulare per il Parkinson che permetta un recupero dei circuiti neuronali. Adesso gli scienziati stanno progettando una sperimentazione clinica da avviare sull’uomo. “Questo è un esempio di ricerca scientifica di altissimo livello che in Italia, al momento, non è possibile fare. E questo è assolutamente irragionevole e culturalmente inaccettabile - ha dichiarato Elena Cattaneo - Fare ricerca non vuol dire garantire una cura per i pazienti ma sicuramente vuol dire costruire una strada in più per cercare di raggiungere il traguardo”.

In Italia con il divieto di ricerca sugli embrioni non si scherza, la legge prevede multe dai 50.000€ ai 150.000€, fino alla reclusione da 2 a 6 anni per chi si azzarda a derivare cellule staminali da embrioni derivanti da fecondazioni in vitro. E a questo si accompagna un paradosso tutto italiano, poiché le staminali embrionali non possono essere generate in Italia ma possono essere importate dall’estero per poi condurre la ricerca nel nostro Paese. Come se il valore etico di un embrione anglosassone fosse inferiore a quello italiano. E mentre in Italia laboratori di eccellenza come quello di Elena Cattaneo sono costretti a importare linee cellulari embrionali dall’estero, dal 1 febbraio scorso la Human Fertilisation and Embryology Authority (Hfea) - l`ente britannico responsabile della regolamentazione degli studi sulla fertilità e sugli embrioni - ha autorizzato l’utilizzo della tecnica di editing genomico Crispr per modificare il Dna in embrioni sovrannumerari al solo scopo di ricerca di base. La finalità di tale ricerca è di capire quali fattori possano migliorare l’efficacia della fecondazione assistita, e di conoscere meglio i meccanismi alla base dei primissimi stadi dello sviluppo embrionale.

“Dopo undici anni di battaglie stiamo ancora affrontando un divieto che in altri Paesi è completamente superato – ha dichiarato Filomena Gallo, Segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni -  La legge 40 ci ha resi secondi solo al Costarica per proibizioni in materia di ricerca e di accesso a tecniche per favorire la nascita di nuovi bambini”. Nel contesto europeo, Svezia, Regno Unito e Belgio sono i 3 Paesi in cui è permesso sia l’utilizzo di embrioni umani a scopo di ricerca scientifica sia la creazione degli stessi embrioni a tal fine. In altri 14 Paesi è permessa la ricerca sugli embrioni sovrannumerari. Nella maggior parte di queste Nazioni il parlamento delega la valutazione e la regolamentazione di tematiche scientifiche a organi specifici creati ad hoc, come ad esempio l’Hfea britannico. Sono gli esperti che valutano la fondatezza scientifica e la possibile attuazione di una scoperta o di una tecnologia. In Italia invece i tribunali stanno ancora una volta colmando il vuoto della politica che, come sempre, è indietro rispetto alla scienza.

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