Prof. Massimo Mannelli (Firenze): “non solo abbiamo riscontrato che alcuni sintomi, quali cefalea e palpitazioni, sono presenti solamente in un certo numero di individui, ma la sintomatologia riportata è la medesima che si osserva in un soggetto con crisi di panico”
Quando un tumore come il feocromocitoma viene definito dagli esperti 'il grande mimo' è naturale pensare che, prima ancora di curarlo, sia difficile diagnosticarlo. Sebbene tale nomignolo derivi dalle ambigue manifestazioni cliniche della malattia, per intuire quanto sia complesso il processo diagnostico del feocromocitoma è sufficiente considerare il fatto che il tumore insorge sulla base di una vasta gamma di mutazioni a carico di un lungo elenco di geni: sono circa 14 quelli attualmente identificati, per lo più sono associati a ben definiti quadri sindromici.
Sulla base di questa articolata varietà genetica, negli anni è apparso sempre più evidente quanto sia fondamentale offrire un’adeguata consulenza genetica alle persone affette da forme familiari di feocromocitoma e ai loro parenti. Ciò è doppiamente importante in presenza di tumori multipli, bilaterali o ricorrenti, che inducono a sospettare un’origine genetica della patologia. “Se in un individuo sottoposto ad esame si riscontra la presenza di una determinata mutazione in un gene, si può essere quasi certi di una correlazione genotipo-fenotipo”, spiega il prof. Massimo Mannelli, endocrinologo presso il Dipartimento di Scienze Biomediche Sperimentali e Cliniche “Mario Serio” dell’Università di Firenze. “In tal caso, si va a testare anche nei parenti la presenza della mutazione per quel gene. Altrimenti, a meno che non ci siano chiarissime indicazioni cliniche su quale sia il gene sospetto, si cercano le mutazioni a danno di tutti i geni implicati nella patogenesi della malattia. Oggi, grazie all’avanzamento delle tecnologie e con l’avvento delle tecniche di Next Generation Sequencing (NGS), è possibile costruire un pannello di tutti i geni di suscettibilità per il feocromocitoma ed effettuare lo screening in maniera contemporanea, con una notevole riduzione delle tempistiche di lavoro e dei costi”.
Tuttavia, a parte il fattore genetico, è quando si considera l'aspetto della corretta interpretazione dei sintomi che la diagnosi del feocromocitoma finisce per diventare un vero e proprio campo minato, principalmente a causa dell’elevata eterogeneità di questo tumore sul piano clinico. Innanzitutto, occorre chiarire che nel 90% dei casi il feocromocitoma si sviluppa nel surrene, mentre nel rimanente 10% dei casi la localizzazione è extra-surrenalica, e il tumore prende il nome di paraganglioma. Inoltre, dal punto di vista biochimico, il feocromocitoma si contraddistingue per la secrezione di catecolamine e peptidi vasoattivi. Nelle forme secernenti di tipo addominale e toracico, la diagnosi avviene molto spesso in maniera incidentale, quando le formazioni tumorali vengono casualmente evidenziate da esami di imaging come l'ecografia. “Per quel che riguarda le forme simpatergiche, ossia secernenti catecolamine, non esiste diagnosi clinica perché nella maggior parte dei casi esse vengono scoperte per caso”, chiarisce Mannelli. “La sintomatologia è legata proprio alla liberazione delle catecolamine, che agiscono sui recettori adrenergici, attivandoli e provocando così una crisi”. In tal caso, le manifestazioni sintomatiche più evidenti sono tachicardia, senso di palpitazione, sudorazione algida e crisi ipertensive che possono comportare anche cefalea improvvisa e attacchi di ansia dati dall’effetto delle catecolamine sul sistema nervoso centrale. Oltre al fatto che l’associazione di tutti i sintomi citati si riscontra solo nel 15% dei pazienti, il feocromocitoma si è guadagnato l’appellativo di 'grande mimo' in forza della sovrapponibilità dei suoi sintomi con quelli delle più comuni crisi di panico. “Non solo abbiamo riscontrato che alcuni sintomi, quali cefalea e palpitazioni, sono presenti solamente in un certo numero di individui – conferma Mannelli – ma la sintomatologia riportata è la medesima che si osserva in un soggetto con crisi di panico, un fenomeno decisamente più frequente e diffuso del feocromocitoma”. Un discorso a parte va fatto per i paragangliomi della regione testa-collo (HNPLG), nei quali solo una tumefazione a livello del collo può indurre il sospetto clinico di malattia, perché queste forme non presentano quasi mai una sintomatologia di tipo secretivo.
Alla luce di tutto ciò, non si può non evidenziare nella diagnostica clinica il punto debole della medicina contro il feocromocitoma, anche perché il personale medico spesso non conosce queste rare forme tumorali, un fattore che rende ancora più arduo diagnosticarle. Fortunatamente, però, la medicina di laboratorio si propone come un’arma essenziale per confermare l’eventuale sospetto clinico di malattia. “Per le forme secernenti, la diagnosi si basa sull’eccessiva, o comunque alterata, secrezione di catecolamine”, precisa Mannelli. “In particolare, le sostanze chimiche da ricercare sono la metanefrina e la normetanefrina, perché hanno il più alto indice di sensibilità e producono il più basso numero di falsi negativi”. Il dosaggio delle metanefrine può essere eseguito su sangue o su urine e, rispetto alle catecolamine, ha il vantaggio che sia la metanefrina che la normetanefrina vengono sintetizzate all’interno del tumore e rilasciate non in maniera episodica ma continua da parte del tessuto tumorale. Pertanto, l’accuratezza e la precisione diagnostica derivanti dall’uso delle metanefrine appaiono sicuramente maggiori di quelle delle catecolamine, il cui rilascio avviene in maniera intermittente, o dell’acido vanilmandelico, legato a una più alta percentuale di falsi negativi. Con valori nel range di normalità delle metanefrine diventa quindi possibile escludere automaticamente la presenza di feocromocitoma. “In presenza di un’alterazione della metanefrina oltre che della normetanefrina o, in rarissimi casi, solo della metanefrina, siamo praticamente certi di dover cercare il tumore nel surrene”, specifica Mannelli. “Infatti, il tumore surrenalico, come pure certamente il tumore extra-surrenalico, può secernere noradrenalina; ma se troviamo alterata anche la metanefrina possiamo essere sicuri che il tumore sia localizzato a livello del surrene”.
La terapia d’elezione per questa classe di tumori è sostanzialmente la chirurgia, più spesso laparoscopica, ma per citare un postulato dei clinici con esperienza in questo campo, “bisogna avere fretta di fare diagnosi di feocromocitoma, ma non bisogna avere fretta di operare”. La preparazione del paziente, che passa attraverso il ricorso a farmaci ad azione alfa-bloccante, è essenziale per abbassare i rischi in fase chirurgica, evitando le complicanze operatorie. Tale approccio farmacologico è necessario anche in presenza di forme maligne, o comunque non operabili. “Il feocromocitoma è una patologia tumorale che deve essere necessariamente trattata in centri di competenza”, conclude Mannelli. “La presa in carico del paziente deve essere ad opera di professionisti che lavorino in un contesto multidisciplinare. Affinché il paziente possa muoversi all’interno di un percorso strutturato, sono necessarie le figure dell’endocrinologo, del chirurgo, dell’anestesista, del genetista, del radiologo, del medico di medicina nucleare e dello psicologo. Soprattutto, sono imprescindibili una buona cultura medica e una consapevolezza continua della problematica”.
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