La mia vita con l’ipercolesterolemia familiare
Traduzione a cura di Francesco Fuggetta
Non ricordo un periodo della mia vita senza la parola colesterolo. Le immagini, le spiegazioni e le sensazioni rispetto a questa parola sono cambiate nel corso degli anni, ma è sempre stato lì. Sono affetta da ipercolesterolemia familiare (FH). I miei livelli di lipoproteine a bassa densità (o colesterolo “cattivo”) non sono mai stati “desiderabili”, e ho degli xantomi – depositi giallastri di colesterolo sotto la pelle – intorno agli occhi, dietro le ginocchia e sotto le braccia. Mio nonno ha avuto un attacco di cuore fatale a 30 anni e mia madre ha affrontato un intervento chirurgico a cuore aperto a 42. Questi sono i fatti, e solo scrivere queste semplici frasi mi fa venire le lacrime agli occhi e mi provoca terrore. Questa storia, però, non riguarda i fatti. Questa storia va al di là delle lipoproteine a bassa densità, degli inibitori PCSK9 e delle statine. Questa è la mia storia, quella di una persona che deve giocare con le carte che le sono state servite.
Il mio primo esame del sangue è stato quando avevo circa 9 anni. Non era buono. Mentre l’esatta ripartizione sfugge alla mia memoria, sono certa che il livello di colesterolo totale fosse di 420. Mia madre piangeva, il che mi ha fatto piangere. Non avevo idea del perché questo fosse un fatto triste, ma quando sei una bambina e la tua mamma piange, piangi con lei. Non ricordo che il medico fosse comprensivo, perché di solito non lo erano.
Sono cresciuta in Florida, e i miei genitori non hanno mai avuto l’assicurazione sanitaria. Per fortuna, lo Stato ha offerto un piano di salute per i bambini delle famiglie a basso reddito, chiamato Healthy Kids. Da una parte questo mi ha permesso di andare dal medico, dall’altra i parametri del programma indicavano che potevo semplicemente visitare l’ospedale e qualunque medico fosse presente nella sua residenza pediatrica in quel momento. Ogni nuovo medico e ogni nuova serie di esami di laboratorio significavano reazioni di disapprovazione, dinieghi e prediche sulla mia dieta. I miei genitori hanno cercato di prendersene cura con le conoscenze che avevano. Mia madre ha perso il padre da bambina, e non aveva grandi aspettative per la sua stessa vita, quindi sapevano che si trattava di qualcosa di grave. Abbiamo seguito le diete, ma senza medicine approvate, per un bambino non c’era molto altro da fare. Nessuno aveva nuove risposte, e i medici ci hanno offerto scarso aiuto.
I miei ricordi delle visite mediche, da bambina non sono cosparsi da lecca-lecca e adesivi. Le odiavo. Odiavo tutti loro. Ad ogni visita mia mamma doveva rispiegare che suo padre e i suoi fratelli erano morti per questa causa, e che stavamo cercando di fare del nostro meglio. Loro annuivano, ma spesso mi sentivo come se non stessero ascoltando, come se non gli importasse, perché loro erano persone occupate e importanti. Poi si rivolgevano a me. Durante le ripetute lezioni e spiegazioni sulla piramide alimentare, la mia mente vagava in luoghi orribili. Soffocavo le grida pensando cose come “questo è così ingiusto”, “forse non dovrei mai avere figli, perché non voglio che affrontino questo”, e “non voglio morire”. I medici mi guardavano diventare visibilmente sconvolta e non mi hanno mai offerto una parola gentile. Mai. Anche un semplice “non è colpa tua” avrebbe significato tanto. La pubertà è già abbastanza dura per una ragazza, senza gli effetti aggiuntivi del dover sentire le parole “colesterolo” e “grassi” in ogni occasione. Inutile dire che sto ancora lottando con i miei problemi di immagine corporea.
Quando fu il momento di andare al college, ero troppo grande per restare nel programma Healthy Kids. Senza assicurazione sanitaria e con il budget di una studentessa, non avevo la possibilità di permettermi le statine. A quel punto, però, ero così stufa dei medici e del sistema sanitario, che decisi di ignorare il problema. Nulla di ciò che avevo fatto fino a quel momento era mai stato abbastanza buono, ed ero convinta che non lo sarebbe mai stato. Sviluppai gli xantomi, che coprivo con l’abbronzatura e il trucco. Di tanto in tanto facevo gli esami del sangue presso il centro medico della scuola e archiviavo i risultati senza eccessive preoccupazioni. Facevo finta che tutto fosse normale e parlavo con poche persone del mio colesterolo.
Poi ebbi il mio primo lavoro. Avevo accettato un posto su una nave da crociera. Ero al settimo cielo, ma poi mi dissero che era necessario un esame medico per essere sicuri che fossi idonea al servizio. Questo significava medici. Li avevo evitati per gli ultimi quattro anni, e ora un medico era tutto ciò che stava tra me e il lavoro dei miei sogni. Ho preso tutti i soldi che avevo ricevuto per la laurea e ho pagato di tasca mia i test e gli esami. Mi sono seduta ancora in un altro ambulatorio in attesa di un altro medico. Ero molto nervosa e in ansia al pensiero di un’altra ramanzina. E se il mio colesterolo avesse rivelato che non ero abbastanza sana per andare in mare? Ero pronta a difendermi contro il nemico – il medico.
Entrò, e rimasi sorpresa. Era giovane e aveva una t-shirt rock and roll sotto il camice bianco. Era diverso, ma io non avevo intenzione di farmi sottomettere in un falso senso di sicurezza. Poteva sembrare figo, ma era ancora armato con i miei esami e una laurea in medicina. Si presentò, mi chiese del mio nuovo lavoro, e diede un’occhiata alla mia cartella. Mi guardò con calma e disse: “quindi hai quella che è chiamata ipercolesterolemia familiare”. Gli chiesi di ripetere e così mi spiegò in termini semplici che si tratta di una condizione in cui il fegato non funziona come quello di tutti gli altri e che è questo il motivo per cui ho avuto problemi di colesterolo per così tanto tempo. Aveva un nome. Con George, finalmente aveva un nome. Era una vera e propria condizione, con un nome vero e proprio che la gente riconosceva!
Per anni, sono stata portata a credere che fosse solo il colesterolo alto, perché è così che è. Era un caso del destino genetico che non aveva bisogno di spiegazioni, come avere i capelli rossi o le fossette. Con due lunghe parole, questo medico mi ha dato la conferma di cui avevo avuto bisogno per tutta la vita. Mi ha ricordato della dieta e dell’esercizio fisico per necessità e ha concluso che avevo bisogno di una medicina “che spacca”. A 22 anni, ho finalmente avuto un medico che mi ha fatto sapere che non era tutta colpa mia. Questo è tutto ciò che ho sempre voluto: un po’ più di compassione. Avevo bisogno di un po’ più di “cura” nella cura del paziente, invece che sentenze su un ipotizzato stile di vita malsano. Questo medico finalmente mi ha dato l’assistenza di cui avevo bisogno fin dall’inizio.
Non c’era da ignorare il problema, ora. Avevo superato la paura delle visite dal medico, ma ancora non sapevo che la paura sarebbe continuata con le visite in farmacia. Il mio nuovo lavoro, anche se fantastico, non offriva l’assistenza sanitaria ai dipendenti a contratto. I farmaci che abbassano il colesterolo non sono economici. Non sono nemmeno vicini all’essere economici. Non sono adiacenti al buon mercato, nemmeno nella stessa città del buon mercato. Soprattutto quando il tuo medico dice che hai bisogno di quella marca “che spacca”. Anche se i farmacisti della mia vita sono stati più comprensivi e simpatici dei medici, è ancora imbarazzante piangere nell’ambulatorio del medico e poi di nuovo in farmacia.
C’erano un sacco di programmi di cura del paziente per gli anziani o per le persone a basso reddito, ma io non rientravo in alcuno di questi. La mia risposta? La carta di credito. Compravo le mie medicine con la carta di credito e pregavo di poterle poi pagare in qualche modo. Questo ha solo intensificato il risentimento per la mia condizione. Per evitare di avere un attacco di cuore a 30 anni, ho dovuto andare in rosso con la carta di credito, mentre le persone con la magica assicurazione sanitaria potevano avere quelle stesse pillole per quasi nulla. Non mi è mai sembrato giusto.
La mia esperienza è stata che il mondo della salute può essere spaventoso, solitario, freddo e confusionario. Ho trovato alleati in una manciata di medici, un lipidologo, e nella FH Foundation, ma c’è voluto molto tempo per trovarli. Ho 28 anni e per la prima volta nella mia vita mi sento fiduciosa nel modo in cui la mia assistenza sanitaria sta andando. Mentre una parte di questo ha a che fare con la ricerca di nuovi medici, gran parte di ciò è dipeso dal fare di me stessa il difensore della mia salute. Leggo articoli. Monitoro e conservo i risultati dei miei esami del sangue, e faccio tante domande.
I medici sono una grande risorsa, ma non sanno tutto. L’80% per cento dei cardiologi non sono neanche a conoscenza della prevalenza dell’ipercolesterolemia familiare, e il 90% delle persone con questa malattia non sono diagnosticate. La gente spende ore nella scelta della sua auto, dei suoi beni immobili, anche di quale televisore si intona meglio al suo soggiorno, ma poi prende come oro colato tutto ciò che un medico dice. Questo viaggio nell’ipercolesterolemia familiare mi ha insegnato tanto, ma la cosa più grande che ho scoperto è la consapevolezza e l’apprezzamento per questo corpo in cui vivo. È la cosa più importante che possiedo, e certamente so meglio come funziona lui della mia Toyota.
L’ipercolesterolemia familiare è per sempre. Si tratta di una condizione permanente e ci penso tutti i giorni. Non fa male, ma si fa conoscere negli xantomi sui miei occhi, o nel portapillole che rifornisco ogni domenica, ma queste sono le carte che mi sono state servite. Ci sono giorni in cui posso ancora sentire quei medici della mia infanzia, e mi biasimo per i risultati di laboratorio negativi. Odio ancora spiegarlo ai nuovi amici, per paura di essere giudicata. Mi arrabbio ancora per il prezzo assurdo dei farmaci contro il colesterolo, ma sono ancora qui, e per questo sono davvero grata alla vita.
Mackenzie Ames, Elon University, 4821 Edgerton Ct, APT 809, Raleigh, NC 27612
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Pubblicato sulla rivista “Circulation: Cardiovascular Quality and Outcome”.
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