Le nuove sperimentazioni sulla sclerosi multipla hanno riempito di speranza i pazienti e la comunità scientifica. Al centro dell’attenzione, in particolare, sono stati i tre studi sul farmaco ocrelizumab, i cui risultati sono stati presentati in occasione del 31esimo Congresso dell’ECTRIMS (Comitato Europeo per il Trattamento e la Ricerca sulla Sclerosi Multipla), che si è svolto a Barcellona con la presenza di oltre 8.000 partecipanti.
Qui abbiamo incontrato la professoressa Maria Giovanna Marrosu, una delle maggiori esperte di sclerosi multipla a livello nazionale. Professore ordinario di Neurologia all’Università di Cagliari, dirige la scuola di specializzazione in Neurologia e il Centro Sclerosi Multipla dell’ospedale Binaghi del capoluogo sardo.
Professoressa, la malattia si manifesta in tre forme: ci può spiegare in che modo si differenziano?
Ci sono tre tipi di decorso: una è quello della forma recidivante remittente, caratterizzata da attacchi, con disfunzioni del sistema nervoso, quindi perdita di una funzione, che può essere la vista o la sensibilità, che però poi viene recuperata: questa è la fase della remissione. Gli attacchi possono ripresentarsi nel corso del tempo, anzi molto spesso si ripresentano, con gli stessi sintomi, oppure diversi, però sempre di alterazione del sistema nervoso. Queste remissioni possono essere spontanee, per cui il paziente perde la vista e poi la recupera spontaneamente, oppure possono essere dovute a una terapia specifica che viene fatta nelle fasi acute perlopiù il cortisone. Nel corso del tempo, questi ripetuti attacchi causano una disfunzione neurologica permanente, cioè una disabilità, e il paziente non recupera più, ma può andare incontro – in genere nella storia della malattia dopo una quindicina d’anni dall’inizio – ad una progressione della disabilità, che può essere motoria, dell’equilibrio, della coordinazione e così via. Questo decorso viene chiamato secondariamente progressivo. In questa fase le terapie che noi abbiamo a disposizione sono poco efficaci. La maggior parte dei pazienti si trova nella prima o nella seconda fase, a seconda del periodo di osservazione. Poi esiste un altro tipo di decorso, che interessa circa il 10 per cento dei pazienti, e che è caratterizzato da una lenta e progressiva perdita delle funzioni neurologiche fin dall’inizio: questa è la forma progressiva primaria, e per questi pazienti non abbiamo mai avuto a disposizione alcuna terapia.
Per le prime due forme, quali sono le opzioni terapeutiche?
Il cortisone, che però si usa solo negli attacchi. Per quanto riguarda invece le terapie modificanti il decorso della malattia, ne abbiamo quasi una decina: dagli interferoni al copaxone, dagli anticorpi monoclonali al Gilenya.
Proprio qui a Barcellona sono stati presentati tre studi sul farmaco ocrelizumab, che risulta efficace per tutte e tre le forme di malattia.
I due studi OPERA hanno utilizzato ocrelizumab nelle forme recidivanti remittenti, nelle quali ha dimostrato di essere più efficace rispetto all’interferone ad alte dosi nel ridurre le ricadute e la progressione della malattia: presto, quindi, avremo un farmaco efficace che si aggiungerà a quelli già disponibili. Poi però c’è stato un terzo studio, chiamato ORATORIO, che ha riguardato le forme progressive primarie e al quale ho partecipato con alcuni pazienti sardi. Ovviamente lo studio è stato abbastanza esteso: in tutto il mondo ha arruolato 732 pazienti. In questo caso non si è misurato, come negli altri due studi, il numero e la diminuzione delle ricadute, bensì il rallentamento nella progressione della malattia, e a distanza di sei mesi si è visto che c’era una diminuzione nel tasso di progressione, a dimostrazione di un effetto benefico del farmaco su questo tipo di pazienti. Ocrelizumab sarà quindi la prima terapia che avremo a disposizione per questo gruppo di persone.
Quanto tempo ci vorrà per arrivare ad avere il farmaco in commercio?
Nella maggior parte dei casi i pazienti affetti dalla forma progressiva primaria raggiungono una disabilità tale che per deambulare necessitano del doppio bastone nel giro di 5-6 anni, e della sedia a rotelle nel giro di dieci anni. È insomma un quadro abbastanza importante, e considerata la mancanza totale di terapie, è possibile che le autorità regolatorie optino per un percorso accelerato: credo che passerà almeno un anno. Poter dire finalmente a questi pazienti, dopo la diagnosi, che hanno una possibilità, sarà una notizia splendida.
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