MARSIGLIA (FRANCIA) – La sindrome locked-in (chiamata anche “sindrome del chiavistello” o “pseudocoma”) è una condizione neurologica caratterizzata dalla paralisi di tutti e quattro gli arti, anartria, presenza di una prolungata apertura degli occhi, mantenimento delle funzioni cognitive e dall’uso di un codice primario di comunicazione che utilizza i movimenti oculari verticali o il battito delle ciglia. Anche se la mortalità nelle prime fasi è elevata (l’87% entro i primi 4 mesi nella sindrome di origine vascolare), una riabilitazione precoce e cure efficaci possono ridurre la mortalità.

Di conseguenza, una volta che il paziente diventa clinicamente stabile, nonostante le menomazioni fisiche gravi e persistenti, l’aspettativa di vita può essere nettamente migliorata con adeguate cure mediche. L’aspettativa di vita dei pazienti stabili, infatti, può essere molto lunga: l’83% vive per 10 anni, e il 40% per 20 anni. La prevalenza non è nota, ma è una condizione molto rara: fino al 2009, erano stati pubblicati in letteratura solo 33 casi.
Una migliore conoscenza della qualità di vita dei pazienti con sindrome locked-in ha dei riflessi positivi sulla gestione della loro cura, e aiuta i medici nella scelta degli interventi più appropriati. Un gruppo di ricercatori francesi ha eseguito uno studio su una popolazione di pazienti con sindrome locked-in, per descrivere il corso della loro qualità di vita in un periodo di 6 anni e per determinare i potenziali fattori predittivi di cambiamento della qualità di vita nel tempo.
Ai pazienti sono stati inviati dei questionari nel 2007 e nel 2013. Sono state registrate le seguenti informazioni: i dati socio-demografici, i dati clinici relativi alla sindrome, lo stato fisico/di handicap, lo stato psicologico, la qualità di vita auto-riferita e la reintegrazione nella vita. I risultati dell’indagine sono stati pubblicati sull’Orphanet Journal of Rare Diseases.
Tra i 67 pazienti inclusi nel 2007, 39 (il 58%) hanno ripetuto il questionario anche nel 2013. L’eziologia della sindrome locked-in, per 51 individui, era dovuta ad un ictus. Per quanto riguarda la produzione del linguaggio, il 77% dei pazienti comunicava preferibilmente tramite una scheda con un codice sì-no, mentre il 58% aveva dei dispositivi di comunicazione legati a un computer. La qualità di vita dei pazienti era relativamente soddisfacente rispetto a quella di altri malati in gravi condizioni. Ventuno individui (il 70%) hanno riportato una qualità di vita stabile o migliorata tra il 2007 e il 2013.

Gli stati fisici/di handicap nel 2007 non sono stati correlati alla qualità di vita 6 anni più tardi: avere una gastrostomia, una tracheotomia, una sonda urinaria permanente o la presenza di dolore cronico non sono stati fattori legati alla qualità della vita nel rilevamento del 2013. Le persone che hanno segnalato l’uso del codice sì-no, nel 2013 hanno riportato una qualità di vita significativamente più bassa rispetto ai non utenti di questo metodo, e le persone con sedia a rotelle elettrica, nel 2013, hanno segnalato punteggi di qualità di vita più alti rispetto a quelli senza questo supporto.

In contrasto con una diffusa opinione, le persone con sindrome locked-in segnalano un livello di qualità di vita relativamente soddisfacente che rimane stabile nel tempo, il che suggerisce che la vita con sindrome locked-in è degna di essere vissuta. La salvaguardia dell’autonomia e della comunicazione può aiutare questi pazienti a vivere una vita più normale possibile

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