Davvero la clonazione umana è sempre più vicina? A cosa servirebbe replicare un individuo? Interrogarsi è legittimo, ma le parole degli esperti possono evitare inutili allarmismi
La pecora Dolly è stata la prima ad insegnare al mondo intero, più di vent’anni fa, cosa fosse la clonazione; soprattutto, ha rappresentato la prova vivente che questo processo di riproduzione di un individuo fosse possibile. Dopo di lei ci sono stati molti altri esemplari di varie specie: pecore, mucche, maiali, cani, gatti e conigli. Persino le scimmie, così vicine all’uomo sulla scala evolutiva. Infatti, solo tre anni dopo Dolly è stata la volta di Tetra, femmina di macaco prodotta nei laboratori dell’Oregon Health and Science University attraverso un processo di scissione embrionale. Perché, dunque, Zhong Zhong (ZZ) e Hua Hua (HH), le due scimmiette clonate dai ricercatori dell’Accademia Cinese delle Scienze di Shanghai, stanno destando un tale interesse mediatico in tutto il mondo? Che cosa le rende così speciali?
Tralasciando l’evidente ironia per la quale queste copie perfette potessero essere prodotte solo in Cina, la risposta mescola elementi di politica, economia e ricerca pura. Da una parte, la Cina rappresenta la nuova frontiera della ricerca scientifica, concedendo spazi e opportunità di sviluppo a metodiche rivoluzionarie quali, ad esempio, la CRISPR-Cas9, che nel campo dell’editing genomico si sta rivelando di notevole interesse. Rispetto a Stati Uniti o Europa, dove sono in vigore le restrizioni di un’autorità regolatoria nazionale, in Cina è molto più rapido far approvare l’utilizzo di protocolli di sperimentazione innovativi, cosa che rende, per certi versi, più semplice investire in questo genere di ricerca. D’altra parte, il protocollo scelto dai ricercatori cinesi supera alcuni problemi di riprogrammazione del materiale genetico che anni prima avevano costituito un ostacolo alla clonazione dei primati.
Esistono, infatti, diverse tecniche di clonazione somatica animale: la scissione embrionale, grazie a cui si induce l’embrione a dividersi ottenendo due individui geneticamente identici, la fusione cellulare e il trapianto nucleare in ovocita denucleato. Per ottenere ZZ e HH è stata scelta una variante di quest’ultimo metodo, grazie a cui il nucleo della cellula somatica di un individuo è stato trasferito nell’ovulo di un altro e indotto a differenziarsi fino a poterlo impiantare nell’utero di una madre surrogata. La tecnica, nota come trasferimento nucleare di cellula somatica (SCNT), è più facile a dirsi che a farsi perché, negli anni scorsi, sono stati osservati molti problemi: soprattutto, il DNA del nucleo donatore deve assomigliare il più possibile a quello di un embrione giovane. Tale difficoltosa operazione è stata risolta dai ricercatori di Shanghai ricorrendo al nucleo dei fibroblasti in coltura, che è più simile a quello di un embrione. In aggiunta a ciò, come conferma il prof. Giuseppe Novelli, direttore della U.O.C. Laboratorio di Genetica Medica del Policlinico Universitario di Tor Vergata, nonché rettore della stessa Università, lo studio apparso sulla rivista Cell segna il passo “non solo per la clonazione, ma anche per i modulatori epigenetici, cioè i due fattori che i ricercatori hanno utilizzato per modificare la cromatina”.
“Perché fino ad oggi non ha funzionato la clonazione nei primati, che invece ha funzionato bene in una serie di altri mammiferi?”, argomenta Novelli. “Perché la cromatina, durante lo sviluppo embrionario dei primati è più complessa nella struttura e nell’organizzazione. Gli scienziati cinesi hanno scoperto che facendo un’iniezione di un RNA, della lisina demetilasi, si riesce ad aprire meglio la cromatina, o meglio a lasciare aperte alcune zone del genoma che sono siti di regolazione dell’attività genica. E questo induce il differenziamento. Questo è importantissimo perché apre un mondo sulle cellule staminali, sulla medicina rigenerativa. Fa capire come la lisina demetilasi e la tricostatina (un inibitore usato anche dai cinesi) riescano ad indirizzare le cellule in una direzione piuttosto che in un’altra. Se l’epigenetica, insomma, è il ‘vestito’ che indossano i geni, loro hanno utilizzato un meccanismo per togliere questo vestito o alcune sue parti”.
Sul piano tecnico, quindi, la ricerca che ha condotto alla nascita di ZZ e HH appare decisamente rivoluzionaria. Ma qual è il significato della clonazione degli animali? Perché tanto impegno per produrre la copia di una scimmia? La risposta dell’universo scientifico è che la clonazione sia utile per creare modelli animali impiegabili in protocolli medici, ad esempio di terapia genica. Le tempistiche di approvazione di nuovi farmaci sono molto lunghe e questo perché spesso non si dispone dei modelli animali appropriati. La creazione di soggetti animali con un profilo genetico noto che possa essere ulteriormente modificato al fine di generare modelli di malattia molti simili a quelli degli uomini potrebbe offrire considerevole vantaggio all’interno di programmi di cura di tumori o di patologie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson, per cui è difficile trovare una cura.
A dispetto di tutto ciò, il mondo intero guarda alla clonazione delle due scimmiette cinesi come al primo passo verso la clonazione dell’uomo. È davvero possibile? Mentre il Vaticano non esprime condanne ufficiali alla clonazione animale, il fatto che essa possa essere interpretata come l’anticamera della clonazione umana è motivo di seria preoccupazione. In molti rievocano gli scenari immaginari descritti ne "Il sesto giorno", noto film di fantascienza interpretato da Arnold Schwarzenegger, in cui gli esseri umani venivano clonati per produrre ‘organi di ricambio’ e materiale per trapianti. “Questo non succederà mai”, chiarisce Novelli. “Fare un clone di se stessi che impiega anni e anni a crescere, pensando che se un giorno ci si dovesse ammalare, si avrebbe a disposizione un pezzo di ricambio, non ha senso. E’ molto più logico pensare che tra qualche decennio, con la terapia genica, saremo in grado di curare le malattie senza dover ricorrere ai cloni. Forse, allora, costruiremo gli organi con l’ingegneria genetica in laboratorio. Ma la clonazione umana non si farà mai perché è immotivata e soprattutto inutile”.
Negli ambienti scientifici, l’ipotesi della clonazione umana non viene minimamente ventilata, e rimane quindi confinata alla fantasia degli sceneggiatori. “Fare la clonazione degli umani è immotivato da un punto di vista scientifico e anche inutile. A che serve fare uomini tutti uguali? Per molti anni a venire la riproduzione umana continuerà ad avvenire attraverso una cellula uovo fecondata da uno spermatozoo; i figli si continueranno a fare così perché così si aumenta la variabilità genetica, che è importante per l’evoluzione della specie”, rimarca Novelli. “Ottenere uomini che si riproducono per clonazione non avrebbe senso perché, dopo qualche generazione, la specie morirebbe; avremmo tutti il DNA uguale e questo porta a morte”. Appare preferibile, alla luce di ciò, continuare a riprodursi nella maniera canonica e lasciare che la ricerca progredisca per consentirci di vivere meglio e più a lungo. Tuttavia, come ogni progresso scientifico, anche questo potrebbe essere usato, almeno in linea teorica, in maniera distorta, non eticamente giustificabile, per fini che ben poco hanno a che vedere con un progresso che apporti benefici all’umanità. E’ qui che entrano in gioco le norme, con i loro limiti, divieti e sanzioni. Norme che non dovrebbero essere vincolanti fino al punto di rendere impossibile, troppo costosa o troppo lenta la ricerca, né troppo labili da permettere qualsiasi cosa: è una sfida difficile, ma che deve essere affrontata, ascoltando, auspicabilmente, la voce degli esperti in materia, senza lasciarsi prendere la mano da pregiudizi e timori infondati.
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