Livia Cecagallina - paralimpiadi 2024

Classe 1999, questi sono i suoi primi Giochi olimpici, dove parteciperà alla gara di carabina “standing” ad aria compressa. “Ho dovuto aspettare di arrivare a 22 anni per sapere che soffrivo di Sindrome di Ehlers-Danlos”

“È una grandissima emozione, che mi dà la carica e mi sprona ad allenarmi per migliorare, definire e rifinire gli ultimi particolari”. Non nasconde l’entusiasmo Livia Cecagallina, che ha staccato il pass per Parigi a fine 2022 dopo i Mondiali di Al Ain, negli Emirati Arabi, dove si è conquistata il quinto posto nella finale di carabina in piedi (R4). Classe 1999, milanese, tiratrice professionista presso la sezione di Monza del Tiro a segno Nazionale, ai Giochi paralimpici l’atleta gareggerà nella specialità di carabina “standing” ad aria compressa per la categoria SH2, che comprende gli atleti che non hanno la forza per sostenere autonomamente l’arma. “Fino al 2019 ho gareggiato nella categoria dei normodotati, dove ho conquistato un secondo posto ai Campionati italiani”, racconta. “Poi ho dovuto sospendere la pratica sportiva perché il mio fisico non mi permetteva più di sostenere le posizioni richieste e all’inizio del 2022 sono entrata a far parte della squadra paralimpica”.

Livia Cecagallina ha la sindrome di Ehlers-Danlos, una patologia rara a trasmissione autosomica dominante e a esordio infantile, che coinvolge il tessuto connettivo ed è caratterizzata da iperestensibilità della cute, ampie cicatrici atrofiche e ipermobilità articolare generalizzata. “Poi c’è una lunga lista di comorbilità, che rendono la mia vita ancora più complicata”, aggiunge. “Sindrome da tachicardia posturale ortostatica, ipotensione ortostatica, neuropatia delle piccole fibre, gastroparesi e insufficienza intestinale cronica benigna, a cui si aggiungono altri disturbi di dubbia comorbilità, ovvero che non si sa se siano effettivamente collegati alla sindrome di Ehlers-Danlos, vale a dire emicrania basilare, midollo ematopoietico ipocellulato per l’età, sindrome da stanchezza cronica a seguito di un’infezione virale”.

Lo sport ha fatto sempre parte della vita di Livia. Tra i 5 e i 12 anni ha praticato karate, nuoto, pallavolo, equitazione, ginnastica artistica, tuffi. “Nel 2009 sono cominciati i primi problemi di salute e nel 2012 ho dovuto interrompere del tutto la carriera di sportiva”, spiega. Inizia così un periodo buio, in cui la passione per lo studio non riesce a colmare il vuoto determinato dall’essere stata costretta a rinunciare allo sport. Poi, nel 2014, finalmente l’incontro con il tiro a segno in una fiera dedicata ai giochi per bambini e ragazzi. Livia è lì con i suoi genitori, non ha mai pensato di sparare, ma prova e scopre di essere brava. “Mi hanno detto che avevo una buona mira e mi hanno chiesto se frequentassi il poligono”, ricorda. “A quel punto ho scoperto che il poligono di Milano era a pochi metri casa mia”.

L’avventura di Livia nel tiro a segno comincia nella categoria dei normodotati, ma col tempo la carabina diventa troppo pesante e mantenere a lungo la posizione si trasforma in un’impresa impossibile. “Ho chiuso con lo sport per i normodotati dopo un fantastico secondo posto individuale ai Campionati italiani assoluto e di categoria”, prosegue. L’euforia dopo la vittoria, infatti, non dura lungo, perché le condizioni di salute peggiorano al punto che la giovane atleta è costretta a sospendere di nuovo l’attività agonistica. “Nel 2021 il mio vecchio allenatore mi ha proposto di riprendere il tiro a segno nella categoria degli atleti paralimpici, ma ho potuto cominciare davvero ad allenarmi solo l’anno successivo, perché nel frattempo ho dovuto affrontare un’operazione salvavita”, prosegue. “La cosa bella è che dopo un mese che mi allenavo sono entrata in Nazionale”.

Livia ha ottenuto la diagnosi di sindrome di Ehlers-Danlos solamente nel 2021, all’età di 22 anni. Eppure le prime avvisaglie si erano presentate quando era ancora molto piccola. “All’inizio i sintomi non erano così tanto invalidanti, sembravo solamente una bambina molto elastica”, chiarisce. “I dottori però non credevano a quello che dicevo: sostenevano che i miei fossero dolori di crescita, che cercavo di procurarmi delle attenzioni, che volevo solo saltare ginnastica a scuola. Poi quando sono riusciti a dare un nome alla patologia sono arrivate a catena le diagnosi delle comorbilità”. Nel 2021 Livia ha cominciato ad avere anche problemi allo stomaco e all’intestino. Avvertiva crampi e nausea, ma soprattutto non riusciva a mangiare per via dell’immediato senso di sazietà che provava non appena ingeriva un po’ di cibo. Ancora una volta i medici non le hanno creduto: le addossavano la responsabilità dell’inappetenza, parlavano di anoressia nervosa. “Per fortuna non mi sono arresa e, nel 2022, la scintigrafia del transito esofageo e del reflusso gastro-esofageo ha messo in luce uno svuotamento dello stomaco molto rallentato. A ottobre 2022 ho subito un intervento per impiantare il Broviac, un catetere venoso centrale per la nutrizione parenterale. Il gastroenterologo mi ha detto che se fosse passato ancora qualche giorno, oggi non sarei più qui”.

Aver rischiato di morire ed essere riuscita a vivere ha segnato per Livia un punto di svolta. “È stata come una rinascita”, commenta. Da lì è decollata la sua carriera di atleta paralimpica e non solo. Oltre agli allenamenti e alle competizioni sportive, c’è lo studio che da sempre rappresenta un aspetto importante nella vita di Livia. Dopo la laurea in Mediazione linguistica, oggi sta ha studiando Psicologia clinica e della riabilitazione. “Mi piacerebbe poter aiutare le persone che, dopo un incidente o una malattia, vogliono riprendere in mano la propria vita e i propri sogni, magari anche attraverso lo sport”, precisa. E sulla sindrome di Ehlers-Danlos conclude: “Non mi piace chiamarla malattia, preferisco parlare di patologia. La malattia suggerisce l’idea di una persona bloccata a letto, che non riesce a muoversi. La patologia, invece, si può superare. Certo ci sono tante cose che non posso fare come le fanno gli altri”, aggiunge. “Ma fare le cose in maniera diversa non vuol dire dover necessariamente rinunciare ai propri obiettivi”. E anche sul concetto di normalità ha qualcosa da ridire: “La normalità prevede che tutti siano uguali, un concetto oggettivamente falso perché ognuno è fatto a modo suo e ognuno a suo modo è unico. Certo la disabilità ci pone dei limiti, ma non dobbiamo mai lasciarci fermare”.

 

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