Matteo Parenzan - Paralimpiadi 2024

Classe 2003, a 17 anni è volato alle Paralimpiadi di Tokyo e a 20 era già campione mondiale ed europeo nel tennistavolo. “La miopatia nemalinica non mi ha impedito diventare autonomo”

Andava ancora alle scuole elementari Matteo Parenzan quando impugnò per la prima volta una racchetta. Durante i momenti di riposo, soprattutto d’inverno quando era più difficile uscire in cortile, i ragazzi giocavano a ping pong nel corridoio della scuola. “E lì scoprii con sorpresa che ero bravo, che me la cavavo bene tanto quanto i miei compagni di classe e che, all’occorrenza, riuscivo anche a batterli. Era una cosa bellissima, che mi dava gioia e motivo di orgoglio. Ero come loro e potevo vincere”. Il prossimo 2 settembre Matteo Parenzan sarà a Parigi, impegnato nel primo torneo singolare di tennistavolo ai Giochi Paralimpici 2024.

Arriverà nella Capitale francese con gli occhi del mondo paralimpico puntati su di lui per la lunga serie di successi raggiunti in soli pochi anni. Classe 2003, triestino, campione del mondo e d’Europa nel tennistavolo, ha già partecipato alle Paralimpiadi di Tokyo nel 2021 dove, ancora minorenne, ha sfilato come portabandiera alla cerimonia finale. Matteo gioca nella categoria 6, che racchiude gli atleti con la disabilità più grave tra quelli con capacità deambulatoria, ma difficoltà nei movimenti degli arti o nell’equilibrio. La causa della sua disabilità è in una malattia rara chiamata miopatia nemalinica, che provoca debolezza muscolare, ipotonia e assenza o riduzione dei riflessi tendinei profondi e che, secondo uno studio finlandese, colpisce 1 nato ogni 50mila.

“La miopatia nemalinica può presentare vari livelli di gravità, e io sono stato colpito in maniera molto lieve”, racconta a Omar. “Sono autonomo, posso camminare e posso guidare. Certo, soffrendo di ipotonia muscolare, devo stare attento a non stancarmi troppo prima di allenarmi e dosare con attenzione gli allenamenti, puntando più sulla qualità che sulla quantità”. Matteo ha cominciato praticare seriamente il tennistavolo nel 2013 e, un anno dopo, all’età di 11 anni, era già nella Nazionale giovanile paralimpica. Poi nel 2015 il primo campionato europeo giovanile a Varazdin, in Croazia, dove ha conquistato il bronzo individuali e nel 2017 è diventato campione italiano assoluto a Lignano, titolo finora riconfermato ben 7 volte. Fin da subito ha dovuto imparare a conciliare lo sport con la vita scolastica, familiare e sociale, in un working progress ancora in essere. “Andavo a scuola fino al venerdì e il pomeriggio stesso partivo per il Centro federale di Lignano”, racconta. “È stata un’esperienza importante, perché ho avuto la possibilità di confrontarmi con atleti internazionali molto più grandi di me e di vedere come agivano nella vita oltre che nello sport.”

Fin da subito è chiaro che ha stoffa e, soprattutto, che riesce a gestire lo stress e la pressione. “Sono volato a Tokyo che avevo ancora 17 anni, a 19 ho vinto i Mondiali e a 20 gli Europei”, dice ancora. “Non avrei mai pensato di poter raggiungere questi risultati. È una vita dura, che molto ti dà e molto ti toglie. Gli allenamenti sono intensi, hai poco tempo da dedicare alla vita privata e agli amici, ma ne vale la pena perché lo sport ti regala emozioni fortissime”. Oggi Matteo Parenzan studia Scienze politiche dell’amministrazione all’Università di Trieste, perché non vuole rinunciare alla vita oltre lo sport e vuole costruirsi una buona carriera per il futuro. Nel frattempo si allena per i Giochi due volte al giorno, cercando di mantenere una buona forma fisica e un buon equilibrio mentale per affrontare gli avversari. “Devo prepararmi per Parigi, dove arrivo con una grande responsabilità. Cercherò di giocare al meglio le mie carte senza pensare di dover vincere a tutti i costi, ma con l’idea di dare il meglio che posso”. Perché il valore dello sport va oltre il risultato di una gara, fosse anche la più prestigiosa. E per Matteo è un modo di vivere che ti cambia la mente e anche il corpo. “La mia malattia non ha una cura, lo sport per me è quella medicina che la scienza non è riuscita a trovare”, conclude. “Oltre alle soddisfazioni per i risultati, l’attività sportiva mi ha portato anche enormi benefici fisici: a 8 anni non riuscivo a salire 5 gradini di fila, a 21 posso salire 2 piani di scale. Praticare tanto sport mi ha permesso di aumentare la forza necessaria a fare cose basilari come camminare, prendere un autobus, aprire una bottiglia d’acqua: sono gesti che si danno sempre per scontati, ma che per me fino all’età di 7 anni erano proibiti. Oggi, invece, sono autonomo e questo, forse, è il traguardo più bello”.

 

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