Christian, 15 anni, affetto da sindrome NEDAMSS

Deterioramento cognitivo, disordini del movimento, perdita del linguaggio e crisi epilettiche: sono i sintomi principali di questa patologia, che conta circa 100 casi nel mondo

Serena ha 47 anni, Mattia 34, Alessia 22, Christian 15, e i più piccoli sono Aurora e Tommaso, 10 anni. Detengono il triste primato di essere i primi in Italia ad essere stati colpiti da una malattia rarissima: circa 100 casi in tutto il mondo. Il suo nome è NEDAMSS, acronimo inglese che descrive i sintomi tipici di questo disturbo del neurosviluppo: deterioramento cognitivo, disordini del movimento, perdita del linguaggio e crisi epilettiche. La causa di questa condizione autosomica dominante, scoperta solo nel 2018, è una mutazione nel gene chiamato IRF2BPL.

Fino ad oggi sono state identificate almeno 33 varianti della malattia, che comportano un'estrema varietà di sintomi ma comunque una grave disabilità: la NEDAMSS può presentarsi nell'infanzia come nell'adolescenza o nell'età adulta, e il deterioramento può colpire prevalentemente la sfera motoria, quella cognitiva oppure entrambe.

In Italia, i genitori dei bambini e dei ragazzi affetti dalla patologia stanno cercando di sensibilizzare le istituzioni e gli istituti di ricerca, affinché si possano avviare delle sperimentazioni e trovare una terapia. Se queste famiglie si sono incontrate è per merito del gruppo Facebook “IRF2BPL Parent Support Group, ma esiste anche un sito, creato da una coppia di genitori tedeschi e tradotto in sei lingue, che comunica tutte le novità sugli studi in corso. Che non sono molte, in realtà, ma qualcosa negli ultimi anni si sta muovendo, come dimostrano le ricerche avviate dalla dr.ssa Loren Pena del Cincinnati Children's Hospital Medical Center (Ohio), dal dr. Pawel Lisowski del Max Delbrück Center for Molecular Medicine di Berlino e dalla fondazione americana Stand by Eli.

Anche in Italia sta per iniziare una ricerca, finanziata grazie al Bando Congiunto Fondazione Cariplo e Fondazione Telethon 2022. Il progetto, che durerà due anni, farà luce sui meccanismi molecolari alla base della sindrome e potrà portare a identificare nuovi bersagli terapeutici e composti farmacologici utili per questa malattia, che attualmente non ha alcun trattamento efficace.

L'aspetto peggiore di questa condizione è che può manifestarsi anche diversi anni dopo la nascita, in bambini apparentemente sani che poi regrediscono in poco tempo: dal giocare con le bambole e correre dietro a un pallone, presto si ritrovano a muoversi solo con una sedia a rotelle, e la loro vita viene completamente rivoluzionata.

È quello che è successo a Christian: fino all'età di 10 anni correva, andava in bicicletta e giocava a calcio, anche se già qualche segnale – come l'iperattività e i disturbi del linguaggio – si era presentato. “Poi ha iniziato ad avere delle difficoltà a camminare: inciampava, cadeva”, racconta la mamma, Laura. “Quando siamo partiti per le vacanze non ha voluto portare con sé la bici, come faceva sempre, e mi è sembrato molto strano. Al ritorno a scuola i professori mi dissero che aveva problemi nella manualità, e che la situazione stava peggiorando”. Iniziano gli accertamenti, allo Stella Maris di Pisa e al Meyer di Firenze, dove nel 2020 l'analisi genetica dell'intero esoma porta alla diagnosi di NEDAMSS.

Oggi Christian ha 15 anni e frequenta il liceo scientifico con l'insegnante di sostegno; per muoversi deve usare la carrozzina e i genitori hanno adeguato l'appartamento alle sue nuove necessità. “Capisce tutto, e per questo soffre ancora di più: vorrebbe solo tornare alla sua vita di prima. Per lui non c'è una cura: prende il bacoflene per alleviare la rigidità della muscolatura, fa fisioterapia e attività in piscina, ma la vita sedentaria e lo scarso controllo degli impulsi l'hanno fatto ingrassare molto, e ora pesa 85 chili. Quando arrivò la diagnosi eravamo in piena pandemia, era il marzo 2020: è stato un incubo, ancora più terribile perché non potevamo ricevere un abbraccio o un po' di confronto da nessuno”, ricorda Laura.

Anche Aurora, 10 anni, è nata apparentemente sana e ha avuto una crescita normalissima fino ai 5 anni: già a 10 mesi camminava da sola, poi ha sviluppato il linguaggio nei tempi previsti e ha frequentato tranquillamente i primi due anni di asilo. Era una bambina vivace e piena di vita. Poi ha iniziato a manifestare i primi sintomi: perdeva l'equilibrio, cadeva spesso, e nel giro di un anno ha perso la capacità di camminare e il linguaggio è iniziato a regredire. I genitori hanno girato numerosi ospedali in cerca della diagnosi, che è arrivata solo cinque anni dopo. Adesso Aurora si muove in carrozzina e ha bisogno di aiuto per mangiare e per vestirsi. “Comunica con i gesti, con gli sguardi e con i sorrisi, ma è molto intelligente, capisce e si fa capire”, raccontano i genitori. “Nonostante la sua condizione è una bambina serena, socievole e sempre allegra”.

La storia di Tommaso, anche lui 10 anni, è simile: da quando ne aveva 8 ha iniziato a perdere l'equilibrio e ad avere le vertigini. Poi, uno dopo l'altro, sono comparsi gli altri sintomi: rigidità alla gamba sinistra, distonia, mioclono, spasticità, scialorrea ed eloquio rallentato. “Camminare diventava per lui sempre più faticoso e ora per spostarsi ha bisogno di una carrozzina o di un deambulatore. Anche gli arti superiori stanno diventando molto rigidi e mancano totalmente di motricità fine”, spiega la mamma.

Nel caso di Mattia, invece, l'esordio della malattia è stato precoce dal lato cognitivo, con un ritardo presente fin dai primi anni di vita, ma ben più tardivo da quello motorio. In età prescolare ha avuto un isolato episodio convulsivo, ma le crisi epilettiche si sono ripresentate nell'adolescenza, con frequenti cadute facilitate dalla stimolazione luminosa. A 24 anni sono iniziati i tremori alle gambe, che si sono estesi poi anche agli arti superiori; il suo equilibrio è diventato sempre più precario finché, a 27 anni, ha smesso di camminare. Al momento è costretto a usare il deambulatore per muoversi fra le mura domestiche (ma sempre con la presenza e l'assistenza del padre, per evitare possibili cadute), mentre all'esterno è d'obbligo l'uso della carrozzina. “Mio figlio oggi ha 34 anni e presenta un quadro clinico molto complesso, dominato da ritardo cognitivo, epilessia, disturbi del movimento, atassia, tremore, anartria e disfagia. Soffre inoltre di obesità, sindrome dell'intestino irritabile e disturbi gastrointestinali”, racconta il papà, Renato. “Le difficoltà di deambulazione hanno influenzato negativamente anche la sua autostima e la sfera psicologica”. Per lui la diagnosi è arrivata a 30 anni, con il sequenziamento dell'intero esoma effettuato presso un centro di ricerca a Odense, in Danimarca: la variante del gene IRF2BPL presente in Mattia è unica nel suo genere e non è mai stata registrata in alcun database internazionale.

Ancora diverso è il fenotipo di Serena, che convive con la malattia da 47 anni. Lei cammina, ma dalla nascita ha un grave ritardo mentale. A livello fisico ha delle lesioni muscolari, problemi di linguaggio, di vista e di coordinamento dei movimenti, oltre a soffrire di epilessia farmacoresistente. “Per non farla stare sempre a casa, le abbiamo attivato un inserimento lavorativo in una mensa scolastica, per qualche ora”, spiegano i genitori. “I medici hanno ritenuto, per il momento, di non comunicarle la diagnosi e noi siamo d'accordo. Non riuscirebbe a gestire psicologicamente una notizia del genere”.

Infine Alessia, 22 anni: la ragazza è nata alla 37a settimana con un taglio cesareo urgente, per sofferenza fetale dovuta al distacco della placenta. La sua crescita è sempre stata un po' indietro rispetto agli altri bambini della sua età, e a 11 mesi le è stata riscontrata microcrania e oxicefalia (ridotto sviluppo del cranio con forma appuntita o conica), oltre a problemi alla vista. A 2 anni, mentre aveva la febbre, si verifica il primo episodio convulsivo. Da quel momento iniziano le valutazioni cliniche, dalle quali emerge un ritardo cognitivo; con la crescita si notano ancora di più le difficoltà di linguaggio e coordinazione, e a scuola ha bisogno dell'insegnante di sostegno. “Alessia ha due fratelli, Jacopo di 11 anni e Jonas di 10, che sono molto affettuosi con lei”, racconta la mamma. “Con loro abbiamo fatto un bellissimo percorso di 'sibling' che li ha aiutati a confrontarsi con altri ragazzi che, come loro, hanno fratelli e sorelle con disabilità”. Poi, nel 2021 arriva la diagnosi: “Non vi nascondo che ho fatto un pianto liberatorio: erano anni che cercavo di capire il perché delle cose che vedevo. Questo destino fa male – pensavo – ma almeno adesso potremo muoverci su un terreno più solido e dare a nostra figlia tutte le risorse necessarie per raggiungere l'autonomia. Invece non c'è una cura, e in questi anni ho dovuto superare tante difficoltà per far valere i diritti di Alessia, per trovare un senso a tutto questo e per avere la forza di fare un sorriso e continuare a vivere”.

Chiunque volesse fare una segnalazione riguardo alla sindrome NEDAMSS, oppure mettersi in contatto con le famiglie dei pazienti, può inviare una e-mail al seguente indirizzo di posta elettronica: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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