Chiara Lo Coco

I medici sospettano che abbia la sindrome di Ehlers-Danlos. Lei, a soli 18 anni, ha le idee molto chiare: vuole arrivare al diploma e aiutare le persone con disabilità

Ha 18 anni ma non li dimostra. Chiara Lo Coco, studentessa di un liceo linguistico di Palermo, ha le idee chiare e non si lascia cogliere facilmente di sorpresa. Appare determinata, consapevole, pacatamente combattiva, ben più matura della sua età anagrafica. È una studentessa, innanzitutto, e la sua storia, fatta di percorsi diagnostici tortuosi e sintomi che gli stessi medici stentano a comprendere, ruota intorno a quel luogo nel quale più di ogni altro si riconosce: la scuola.

“I miei professori sono stati i primi ad avermi creduto, quando molti dottori ancora diffidavano dei miei racconti perché apparivano troppo complessi”, spiega Chiara. Da pochi mesi le è stato diagnosticato un disturbo dello spettro ipermobile con sofferenza neurogena, mentre le indagini per la sindrome di Ehlers-Danlos di tipo simil-classico sono ancora in corso. “La malattia ha iniziato a manifestarsi piano piano all’inizio del liceo – racconta – insediandosi nella mia vita e cambiando gradualmente il mio corpo: la sindrome di Ehlers-Danlos è per lo più invisibile. La gente ha iniziato a notare qualcosa solo quando ho perso tanto peso, per via di tutto il dolore e tutta la fatica di cui non parlavo mai”.

La scuola per Chiara è tutto: dà il massimo, ottiene ottimi voti, non si assenta mai ed è stata per 3 anni rappresentante di classe. I docenti sono i suoi amici e i suoi mentori, gli ambienti scolastici il suo rifugio. È più casa della casa, forse il solo luogo dove Chiara si senta davvero a suo agio. “Ho cominciato il mio iter diagnostico perché avevo forti dolori ed ero un po’ goffa nei movimenti. La prima diagnosi è stata quella di fibromialgia, seguita subito dopo da quella di collagenopatia”, sottolinea. “I primi 2 anni di liceo, seppur con fatica, sono riuscita a finirli in presenza. Spesso dovevo rifugiarmi in bagno per i dolori e quando i professori mi mandavano da qualche parte in giro per la scuola dovevo necessariamente sedermi, respirare e ripartire. Ricordo che la mia classe era al secondo piano, e agli alunni era proibito fare uso dell’ascensore: come lo spiegavo che, per me, quelle 2 rampe di scale significavano perdere già in partenza moltissima energia?”.

Al terzo anno, con l’ausilio della carrozzina, Chiara spera di poter reggere meglio i ritmi, ma in poco tempo comprende che questi sono sempre più difficili da sostenere. Contestualmente, arrivano le prime diagnosi e il sospetto, sempre più forte, che i sintomi non possano dipendere solo dalla fibromialgia. “Facevo sempre più assenze e, seppur mantenessi una media elevata, avevo tanta paura di perdere l’anno. Nel giro di 2 mesi la situazione era talmente compromessa che riuscivo ad andare a scuola solo un giorno su 5, rimanendo a letto per i restanti giorni della settimana”. È il buon rapporto costruito nel tempo con gli insegnanti ad averla ‘salvata’. “La mia fortuna – prosegue – è stata avere professori che credevano in me, perché, diciamocelo, con una diagnosi di fibromialgia nessuno ottiene un permesso per assentarsi così spesso. Al secondo quadrimestre del terzo anno mi hanno proposto di aprire un piano didattico personalizzato, non differente a livello di contenuti né di modalità di verifica: semplicemente le mie assenze risultavano giustificate e non venivano conteggiate. Così mi presentavo a scuola un solo giorno per fare tutte le verifiche possibili. Tuttavia, in poco tempo anche la capacità di scrivere un tema, da sempre una delle le mie passioni, si andava affievolendo a causa dell’ipotonotrofia e della miotonia alle dita”.

Nel frattempo la malattia peggiora, la diagnosi di fibromialgia appare riduttiva e così Chiara, contro il parere del medico curante e degli specialisti fino a quel momento consultati, decide di approfondire: interpella una genetista e, nel giro di qualche mese, anche un fisiatra che, oltre a prendere la ragazza in carico per un percorso neurobilitativo, redige una diagnosi di sospetta sindrome di Ehlers-Danlos con ipostenia e ipotonotrofia muscolare, diagnosi che purtroppo è ancora da confermare. Secondo quanto riportato da Orphanet, il termine sindrome di Ehlers-Danlos comprende un gruppo eterogeneo di malattie ereditarie del tessuto connettivo caratterizzate, in generale, da iperlassità articolare, cute iperelastica e fragilità tissutale. Ma il caso di Chiara è più complesso e, accanto alla presunta Ehlers-Danlos, gli accertamenti parlano di una sorta di “confusione genetica” e rilevano uno sviluppo neurocognitivo diverso rispetto alla norma, tanto che la condizione di Chiara è stata inquadrata anche nell’ambito dei disturbi dello spettro autistico. “Con quest’ultima diagnosi si sono chiarite tante cose – riflette la ragazza – compresa la presenza di alcuni deficit a livello sociale che, come molte altre persone con autismo ad alto funzionamento, ero sempre riuscita a compensare in vario modo, ma non senza sforzo e fatica”.

Nei racconti di Chiara, però, la vera protagonista rimane sempre e comunque la scuola: il terzo anno del liceo linguistico finisce tra molte difficoltà, anche perché prima del sospetto di Ehlers-Danlos, la ragazza assumeva farmaci poco idonei alla sua reale condizione: si procedeva per tentativi, con conseguenti effetti collaterali. Il quarto anno le cose vanno un po’ meglio: nella sua scuola viene aperta una piattaforma per lo scambio di materiali didattici e la ragazza può svolgere le interrogazioni da casa. Poi c’è l’arrivo della didattica a distanza, dovuta alla diffusione del COVID-19: “Finalmente – spiega la ragazza – avrei potuto seguire più materie, si potrebbe pensare. Sì, se non fosse stato per gli impegni ospedalieri, come la fisioterapia tre volte a settimana, le frequenti acutizzazioni della malattia e le terapie farmacologiche, che i primi tempi mi impedivano di essere lucida durante le prime ore della giornata”. Ma la didattica a distanza, per Chiara, costituisce anche un’opportunità. È una ragazza che non si arrende facilmente e per lei pensare positivo non è solo un modo di dire: “Ora posso seguire permanentemente le lezioni da casa, non come i miei compagni di classe che, invece, la didattica a distanza la fanno a giorni alterni”.

Allo stesso tempo, e nonostante la giovane età, Chiara comincia a pensare al futuro: “Volevo diventare medico, ma non posso”, dice. “E così, contemporaneamente alla scuola, sto frequentando un corso di formazione per diventare coach professionista dell'International Coaching Federation. Voglio collaborare con le persone con disabilità e fare emergere il loro potenziale, partendo da quello che ciascuno ha per raggiungere il successo e un benessere duraturo e stabile”. Per questo, la ragazza ha da poco aperto un canale YouTube e un profilo su Linkedin e Instagram, ma anche la pagina Facebook “Chronically coaching Chiara”, nella quale dichiara il suo obiettivo: incontrare altre persone con disabilità e malattie croniche al fine di diffondere il valore dell’autoconsapevolezza e della comunità globale, e di promuovere l’importanza del fare ciò che è sotto il proprio personale controllo per condurre una vita piena e soddisfacente.

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