Della sindrome Antifosfolipidi (APS) abbiamo già parlato una settimana fa pubblicando uno studio relativo al ruolo della vitamina D condotto da una equipe di studio internazionale. Tra gli autori della pubblicazione c’è il Prof. Pierluigi Meroni, attualmente primario della Reumatologia dell’Istituto Ortopedico Pini di Milano. A seguito delle molte richieste arrivate da voi lettori ci siamo rivolti a lui per fare il punto sulla situazione partendo dal recente studio e dalle vostre domande soprattutto sul rischio di aborti ricorrenti e la predisposizione familiare alla malattia. Le notizie sono buone perché confermano l’utilità della vitamina D, la possibilità per le donne fertili di portare a termine una gravidanza con gli opportuni trattamenti e anche il prossimo arrivo di farmaci antitrombotici nuovi e lo sviluppi di approcci terapeutici sperimentali che fanno ben sperare. Il ruolo della vitamina D nella malattie autoimmuni era noto, quali sono le conoscenze che aggiunge questo studio?
1,25 diidrossicolecalciferolo [1,25(OH)2D3], è la forma biologicamente attiva di vitamina D3 sul metabolismo osseo. Più recentemente la stessa molecola si è rivelata in grado di manifestare un effetto sulla crescita e differenziazione di cellule della risposta immunitaria. Le cellule dell’immunità innata e adattativa esprimono infatti recettori per la vitamina D3 (VDR) e possono sia produrre che essere stimolate da 1,25(OH)2D3. E’ di recente acquisizione la cognizione di un complesso effetto della vitamina D3 sulle risposte immuni. La vitamina D3 agisce sia sui meccanismi di attivazione delle risposte immuni sia sui sistemi effettori. Dati preliminari riportano un deficit di vitamina D3 in malattie autoimmuni suggerendone un ruolo anche nello sviluppo dell’autoimmunità. In accordo con questa nuova ipotesi vi sono dati che dimostrano come la somministrazione di vitamina D3 inibisca lo sviluppo di malattie autoimmuni in modelli sperimentali animali. Studi epidemiologici recenti mostrano inoltre come il rischio di sviluppare malattie autoimmuni (come sclerosi multipla e diabete mellito di tipo 1) sia minore in coloro che assumono un supplemento di vitamina D3
Conoscere il ruolo che la vitamina D ha nell’espressione del Fattore Tissutale è utile solo per la prevenzione delle trombosi o potrebbe essere utile anche nella prevenzione degli aborti ricorrenti?
Non vi è alcun elemento che giustifichi un’azione diretta sugli aborti ricorrenti al momento attuale.
Professore proviamo a fare un punto sulla malattia. In primo luogo che cos'è la APS?
La Sindrome da Anticorpi anti-Fosfolipidi (la cui abbreviazione è APS - AntiPhospholipid Syndrome) è una patologia riportata sin dall’inizio degli anni 80 e caratterizzata dalla comparsa di trombosi arteriose e/o venose ed abortività in soggetti con una positività per anticorpi anti-fosfolipidi (aPL) in assenza di cause note per queste manifestazioni.
C'è una base familiare o genetica per la malattia?
La comparsa di anticorpi antifosfolipidi nell'ambito di componenti della stessa famiglia, con o senza manifestazioni cliniche della sindrome da antifosfolipidi (APS), è stata descritta sin dal 1980; studi familiari più estesi condotti successivamente hanno confermato l'esistenza di una predisposizione genetica nella APS sia nella forma primitiva che nella forma associata al lupus eritematoso sistemico
Qual è il meccanismo di base della malattia?
La APS è una malattia autoimmune legata ad un errore del sistema immune che aggredisce componenti del proprio organismo, incluse proteine legate a fosfolipidi. In condizioni normali, il nostro sangue deve essere fluido ma, in caso di alterazioni della struttura della cute e degli organi interni come ferite, ulcere, etc., deve essere anche in grado di coagulare. Infatti, un’eccessiva fluidità (come avviene ad esempio in malattie come l’emofilia o in caso di eccessivo uso di farmaci anticoagulanti) può portare a pericolose emorragie; per contro una diminuita fluidità determina la formazione di coaguli (trombi) dentro le arterie e/o le vene con blocco della circolazione sanguigna e sofferenza dei tessuti e degli organi da essa nutriti. Gli anticorpi anti-fosfolipidi (aPL) interferiscono con questa delicata bilancia spostandola a favore della coagulazione. Il risultato è che il rischio di sviluppare trombosi aumenta enormemente. Il legame degli anticorpi con queste proteine (fosfolipidi) altera, infatti, la normale fluidità del sangue favorendone la coagulazione. Diversi sono i meccanismi in gioco: a) gli anticorpi riconoscono i complessi proteina-fosfolipidi sulla superficie delle cellule endoteliali o di globuli bianchi del sangue, si legano ad essi ed alterano la funzione di queste cellule favorendo la coagulazione; b) gli anticorpi si legano ai complessi proteina-fosfolipidi che fanno parte della cascata della coagulazione, ne alterano le proprietà favorendo in ultima analisi sia la formazione del coagulo sia una sua più lenta risoluzione.
Qual'è l'incidenza della malattia e in che fascia di età colpisce di più?
La malattia colpisce prevalentemente soggetti giovani fra i 20 ed i 40 anni. Le donne sono più frequentemente colpite, con una frequenza almeno tre volte superiore a quella dei maschi. Non si conosce la reale incidenza nella popolazione generale, tuttavia si ha un’idea relativa ad alcuni gruppi di persone: a) circa un terzo dei pazienti con malattie autoimmuni sistemiche (in prevalenza Lupus Eritematoso Sistemico o LES, sindromi lupus-simili) presentano la sindrome, b) circa il 15-20% delle donne con abortività ricorrente sono positive per anticorpi anti-fosfolipidi, c) circa la metà dei soggetti giovani (con meno di 50 anni) e con ictus cerebrale sono positivi per aPL.
Quante forme di APS esistono?
In poco più della metà dei casi la sindrome si presenta come entità a sé stante (forma Primitiva, PAPS) mentre nei restanti casi si associa (forma Secondaria, SAPS) ad altre malattie autoimmuni (LES). La forma primitiva rappresenta la causa più comune di trombofilia acquisita ed è responsabile di circa il 15-20% dei casi di tromboembolismo venoso (TEV), di circa un terzo degli ictus che colpiscono i pazienti con età inferiore ai 50 anni e del 10-15% di aborti ricorrenti. Stimando che il 2-5% della popolazione generale ha avuto un TEV, ne segue che il TEV associato alla PAPS colpisce fino ad un individuo su cento, numero del tutto considerevole.
La forma secondaria determina una significativa proporzione di TEV ed aborti nei pazienti con altre malattie autoimmuni, in particolare il LES. Infatti gli aPL sono presenti nel 30-40% dei pazienti con LES e circa un terzo di essi hanno manifestazioni cliniche della malattia da anticorpi anti-fosfolipidi (TEV, aborti). Esiste infine una forma spesso letale e molto aggressiva (APS Catastrofica) ma fortunatamente molto rara.
Quali sono i sintomi caratteristici della malattia?
Le manifestazioni cliniche della APS sono complesse ed in realtà i pazienti spesso interpellano Specialisti diversi (Internisti, Immunologi Clinici, Reumatologi, Ginecologi, Neurologi, Coagulologi) prima di giungere ad una corretta diagnosi. La principale manifestazione clinica della malattia (31.7%) è rappresentata, come accennato, dalle trombosi, specie a carico delle vene degli arti inferiori. Altri quadri sono costituiti dalla trombocitopenia (diminuzione delle piastrine), alterazioni cutanee (livaedo reticularis, pelle con aspetto ‘marmorizzato’ bianco e bluastro), ictus (13.1%), tromboflebiti superficiali, embolia polmonare, attacchi ischemici cerebrali transitori (TIA) ed anemia. E’ stata inoltre trovata una correlazione con l’emicrania, l’epilessia ed alcuni deficit cognitivi.
Quali sono gli aPL? Hanno tutti lo stesso valore in termini di rischio?
Gli aPL rappresentano un gruppo eterogeneo di anticorpi che riconoscono diverse molecole; tra i più importanti (e pertanto dosati nella pratica clinica) ricordiamo gli anti-cardiolipina (aCL), gli anti Beta2-glicoproteina 1 (Beta2-GPI). In aggiunta viene spesso valutato il cosiddetto Lupus AntiCoagulant (LAC), un fenomeno di laboratorio caratterizzato dall’allungamento dei tempi di coagulazione dovuto agli anti-beta2-GPI e ad altri anticorpi. Sebbene a positività di tutti e tre i test aumenta notevolmente il rischio trombotico, è chiaro che per la diagnosi di APS non è necessario che siano tutti positivi; è sufficiente anche uno solo di essi che resti positivo nel tempo. E’ inoltre da precisare che il titolo di questi anticorpi può orientare sul rischio, cioè a valori più elevati corrisponde un rischio ipotetico di manifestazioni cliniche maggiore.
Gli aPL determinano trombosi in tutti i pazienti?
Stiamo parlando di rischio, quindi la presenza di anticorpi anti-fosfolipidi non significa che ci sarà necessariamente una trombosi ma che l’aggiungersi di un altro fattore di rischio, che normalmente non indurrebbe di per sé la formazione di trombi, potrebbe scatenare un eccesso coagulativo con conseguenze cliniche che dipendono dalla sede del coagulo.
Se esso infatti si forma nelle arterie le conseguenze più importanti sono rappresentate dalla mancanza di ossigeno (ischemia) trasportato dal sangue negli organi a valle; ne conseguirà, ad esempio, infarto cardiaco se sono coinvolte le arterie coronarie, ictus se sono coinvolte le arterie carotidi o quelle intracraniche, etc. Se, per contro, il coagulo si forma in una vena profonda (tromboembolismo venoso, TEV), è possibile che si mobilizzi e che sia trasportato dal circolo sanguigno fino al polmone, con conseguenze anche gravi (embolia polmonare).
Essi devono essere quindi intesi come un importante fattore di rischio per eventi trombotici che, in aggiunta ad eventuali fattori transitori (es. immobilizzazione, interventi chirurgici importanti, insufficienza venosa cronica, etc.). Clinicamente la positività ad aPL determina quadri che vanno dalla cosiddetta “APS asintomatica”, a lieve trombosi venose superficiali fino al quadro della APS catastrofica (CAPS) caratterizzata da un grave coinvolgimento di multiorgano potenzialmente letale.
Quali rischi corrono le donne con APS in gravidanza?
Il rischio di aborti e l’elevata frequenza di gravidanze a rischio rappresenta uno dei problemi più importanti relativi a questa malattia. Circa il 70% delle donne positive per aPL presentano complicazioni (aborti ripetuti, ritardo di crescita del feto, morti endouterine). Ad oggi, infatti, gli aPL rappresentano il più frequente fattore di rischio trattabile di aborti e complicanze gravidiche quali la gestosi (pressione alta, insufficienza renale ed edemi). L’aumentata tendenza alla coagulazione, tipica della APS, è responsabile di una ampia quota degli aborti; infatti, in alcuni casi, le trombosi a livello della placenta determinerebbero un alterato apporto di sangue al feto con conseguente sua morte. L’abortività, specie quella nei primissimi periodi della gravidanza, è anche dovuta all’effetto degli anticorpi sulle cellule che formano la placenta e che determinano difficoltà dell’annidamento dell’embrione nell’utero materno. Dato che la malattia è più frequente nelle donne e compare prevalentemente nei soggetti giovani in età fertile, si comprende l’importanza della malattia in campo ginecologico.
E’possibile guarire? Esiste una terapia?
Sebbene esista la possibilità di negativizzazione degli aPL, sia spontanea sia in persone trattate con farmaci immunosoppressori, la questione di come questa possa essere interpretata è oggetto di discussione e non c’è un accordo generale in merito. Quindi le conseguenza pratiche di eventuali diminuzioni o scomparsa degli aPL devono essere discusse con il proprio medico e valutate singolarmente ed eventuali decisioni terapeutiche devono essere prese in accordo con la situazione generale del paziente. La terapia della APS si basa essenzialmente sul controllo della malattia di base nelle forme secondarie (SAPS) e sull’uso di farmaci che impediscono la coagulazione eccessiva (anticoagulanti e farmaci che impediscono l’aggregazione delle piastrine). Con l’uso di particolari anticoagulanti (eparina) che non sono dannosi per il feto e con l’aspirina a basse dosi si può evitare l’abortività ricorrente nella stragrande maggioranza dei casi.Un ulteriore miglioramento sarà possibile in tempi brevi non appena saranno disponibili nuovi farmaci anti-trombotici attualmente in studio.
A che punto è la ricerca?
La ricerca ha recentemente fornito molte informazioni sui meccanismi che determinano le manifestazioni cliniche della malattia, ha chiaramente identificato gli anticorpi anti-fosfolipidi quali i reali responsabili della malattia ed ha confermato il valore predittivo degli anticorpi in termini di comparsa delle manifestazioni della sindrome. Particolare attenzione si sta ultimamente accentrando nel determinare il corretto approccio ai pazienti con APS ed in particolare all’identificazione di fattori di rischio per la comparsa di eventi trombotici. Per questo sono necessari studi multicentrici che riescano ad includere grandi numeri di malati. Vi sono inoltre nuovi approcci terapeutici sperimentali che fanno ben sperare per un migliore trattamento della sindrome.
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