Malattie rare non diagnosticate

Il primo progetto, quello americano, è stato istituito nel 2008; il più esteso è quello europeo (4.703 pazienti). Anche in Italia sono numerose le iniziative di successo

Le malattie rare, anche se singolarmente non sono comuni, colpiscono circa una persona su 16 nella popolazione generale. Poiché gran parte di queste patologie hanno una base genetica, ottenere una diagnosi molecolare accurata è fondamentale per la gestione delle cure, la consulenza e il supporto familiare e riproduttivo. Tuttavia, è stato stimato che almeno la metà delle persone affette da malattie genetiche rare non viene diagnosticata nonostante l'assistenza genetica clinica “standard”.

Negli ultimi quindici anni, per affrontare questo significativo numero di individui con malattie genetiche rare sospette ma non diagnosticate, sono stati avviati diversi programmi che integrano ricerca e assistenza clinica per ottimizzare i risultati diagnostici. Ora un gruppo di ricercatori ha esaminato la letteratura pubblicata su questi programmi, chiamati UDP (acronimo di Undiagnosed Diseases Programs), e dai risultati della revisione, pubblicata sull'Orphanet Journal of Rare Diseases, è emerso che nel mondo sono tredici i programmi a livello statale dedicati alle malattie senza diagnosi.

Progetti molto diversi, sia per la durata che per il numero dei pazienti arruolati: nel nostro Paese è attivo dal 2016 un programma chiamato Italian Undiagnosed Rare Diseases Network, coordinato dal Centro Nazionale Malattie Rare. Ma sono presenti diverse altre iniziative, pubbliche e private, che lavorano per lo stesso scopo e con risultati eccellenti: l'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù nello stesso anno ha attivato un ambulatorio dedicato ai bambini e alle famiglie con malattia senza diagnosi, che si è affiancato al già esistente ambulatorio per le malattie rare ottenendo un successo diagnostico vicino al 70%; altri esempi virtuosi sono il Programma per le malattie senza diagnosi di Telethon e l'operato della Fondazione Hopen.

L'iniziativa più estesa a livello mondiale è quella europea, chiamata Solve-RD, che fino al 2020 ha visto la partecipazione di 4.703 pazienti. Gli altri undici progetti si sono svolti o sono tuttora in corso negli Stati Uniti, in Canada, Giappone, Corea, Singapore, Sudafrica, Regno Unito, Belgio, Spagna, Svezia e Australia (nello stato di Victoria).

Il primo programma formale per le malattie non diagnosticate è stato istituito nel 2008 dai National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti a Bethesda, nel Maryland. Dato il successo, nel 2014 si decise di incrementare il numero dei centri attraverso la creazione dell’Undiagnosed Disease Network (UDN), finanziato sempre dai NIH, che oggi dispone di dodici siti clinici e di un centro di coordinamento, oltre a una biobanca centrale, nuclei di metabolomica e sequenziamento e due centri per lo screening di organismi modello.

L'UDN ha ottenuto un riconoscimento internazionale e ha contribuito allo sviluppo di numerosi altri programmi in tutto il mondo. In particolare, l'impulso è giunto ancora una volta dai NIH, che insieme alla Wilhelm Foundation, un'organizzazione di pazienti svedese che sostiene la ricerca sulle malattie non diagnosticate, hanno sponsorizzato due conferenze internazionali (Roma 2014 e Budapest 2015) per promuovere la creazione di programmi simili e il rafforzamento e la connessione fra quelli già esistenti.

Agli incontri hanno partecipato rappresentanti di 18 Paesi e questo sforzo di collaborazione ha gettato le basi per la nascita dell'Undiagnosed Diseases Network International (UDNI), un'organizzazione sovranazionale i cui obiettivi sono in linea con quelli dell’UDN statunitense e delle altre esperienze nel mondo, ovvero migliorare la diagnosi e la cura delle malattie rare, facilitare la ricerca e la condivisione dei dati e contribuire alla comprensione scientifica attraverso la collaborazione. L'UDNI è cresciuto fino a contare nel marzo del 2023 ben 145 membri provenienti da 41 Paesi, che si riuniscono ogni anno nel corso di conferenze internazionali.

La maggior parte dei programmi per le malattie senza diagnosi si basa su una serie di tappe fondamentali: il processo inizia con l'iscrizione al programma, seguita da una valutazione fenotipica completa e poi da una fase di test che può comprendere il sequenziamento genomico, la rianalisi di dati genomici precedentemente ottenuti o il potenziale utilizzo di altri strumenti diagnostici emergenti. In alcuni casi, la condivisione dei dati e la combinazione tra programmi nazionali e internazionali facilitano l’identificazione di individui simili. Ciò comporta uno stretto rapporto fra i ricercatori sulla base delle somiglianze fenotipiche e genotipiche dei casi, utile a massimizzare il potenziale di diagnosi e a favorire ulteriori ricerche. I riscontri (ad esempio, un nuovo gene o una variante genetica) possono anche essere valutati in organismi modello, per un'ulteriore convalida della patogenicità. Infine, i risultati generati dal programma, ovvero una diagnosi o un piano di follow-up, vengono restituiti al medico responsabile o alla persona affetta.

L'attuale panorama globale degli Undiagnosed Diseases Programs comprende iniziative a livello statale, nazionale e multinazionale che si caratterizzano come programmi ibridi di ricerca e clinica e offrono un percorso continuo per individui che hanno precedentemente ricevuto cure cliniche standard ma rimangono non diagnosticate. Ciò che costituisce l’assistenza clinica “standard”, così come i componenti di un singolo programma, varia considerevolmente ed è influenzato dalle risorse, dai finanziamenti e dalle competenze del personale.

Tuttavia, una delle principali caratteristiche di un UDP è quella di essere indipendente da una specifica malattia o da un gruppo di patologie: ciò contrasta con la moltitudine di iniziative di ricerca basate su un fenotipo, come i programmi diagnostici per le epilessie genetiche. Gli UDP differiscono anche dai normali Servizi di Genetica, che forniscono assistenza clinica a soggetti con una sospetta condizione monogenica. Tuttavia, è riconosciuto che in diversi centri di genetica il confine tra la diagnostica clinica e la ricerca è molto sfumato, e che spesso i medici offrono informalmente delle opzioni “ad hoc” alle persone in cerca di una diagnosi.

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