Tredici centri italiani, coordinati da Rossella Tupler dell’Università di Modena e Reggio Emilia, hanno valutato il patrimonio genetico di oltre 1000 persone

Uno studio finanziato da Telethon rimette in discussione le basi genetiche della distrofia facio-scapolo-omerale, malattia caratterizzata da debolezza muscolare progressiva che interessa in particolare i muscoli della faccia, delle spalle, delle braccia e, in alcuni casi, anche degli arti inferiori. Pubblicata sull’American Journal of Human Genetics, la ricerca è stata coordinata da Rossella Tupler dell’Università di Modena e Reggio Emilia e ha visto la partecipazione di tredici centri clinici di riferimento per questa patologia, ancora priva di una terapia specifica.

I meccanismi della malattia, che in genere comincia a manifestarsi tra i 20 e i 30 anni, sono del tutto peculiari. All’inizio degli anni Novanta è stato dimostrato come in buona parte dei pazienti mancasse una porzione del cromosoma 4 (4q35), che contiene una serie di ripetizioni di una precisa sequenza di Dna, ciascuna delle quali presenta una copia del gene DUX4. Negli anni successivi è stato messo a punto un test per “contare” il numero di queste ripetizioni e consentire così la diagnosi anche dal punto di vista genetico. Nel 2002 proprio Tupler collaboratori, grazie a un finanziamento Telethon, ha dimostrato che questa regione, ribattezzata D4Z4, regola altri geni, come una sorta di “interruttore”: gli scienziati hanno quindi ipotizzato che la sua parziale perdita portasse a una mancata regolazione dell’attività di geni importanti.

Nella scienza, però, non sempre tutto procede in modo lineare. Negli anni, analizzando il Dna dei pazienti, i ricercatori hanno riscontrato che non tutti gli individui che presentavano una perdita di D4Z4 manifestavano i sintomi della malattia. Hanno quindi ipotizzato che l’insorgenza dei sintomi dipendesse dalla compresenza di altre alterazioni, localizzate anche in altre zone del genoma: sono state così identificate una serie di varianti genetiche “corresponsabili”. Nel 2010 è stato pubblicato uno studio che mostrava come particolari varianti genetiche stimolassero l’espressione di DUX4, un gene normalmente “spento”. Sulla base di questi risultati si è ipotizzato che l’anomala attivazione di DUX4 risultasse tossica per il muscolo, portando così alla malattia. Tuttavia rimanevano troppe eccezioni per spiegare con un modello universale la manifestazione dei sintomi della distrofia facio-scapolo-omerale: esemplare in questo senso il caso di due gemelli omozigoti - descritto proprio da Tupler nel 1998 sul Journal of Medical Genetics - che pur condividendo l’intero patrimonio genetico erano l’uno in carrozzina e l’altro completamente privo di sintomi.

Così i ricercatori hanno voluto vederci chiaro. «Abbiamo analizzato il Dna di 253 pazienti presenti nel Registro italiano per la distrofia facio-scapolo-omerale, realizzato proprio con il contributo di Telethon, e lo abbiamo messo a confronto con quello di oltre 800 individui sani di origine italiana e brasiliana» spiega Tupler. «Il risultato è stato sorprendente: in circa il 3 per cento degli individui sani abbiamo trovato una delezione di D4Z4 e in un terzo di questi anche la compresenza di quelle varianti corresponsabili. Questo significa che quella che fino ad oggi abbiamo ritenuto essere la “firma genetica” della malattia non è sufficiente a identificarla». Basta pensare infatti che il 3 per cento della popolazione normale significa, nel nostro Paese, quasi 2 milioni di persone: i malati censiti, però, sono soltanto tremila!

«Il nostro studio, frutto del lavoro di oltre tre anni, non vuole certo rinnegare quanto dimostrato finora, ma piuttosto porre l’attenzione sulla necessità di affinare la definizione delle basi genetiche di questa malattia, che evidentemente non sono ancora state chiarite del tutto. La diagnosi genetica ha infatti ripercussioni importanti sulla vita dei pazienti e sulle loro scelte future, così come sulla valutazione della prognosi da parte dei medici che li seguono: è quindi fondamentale che sia quanto più accurata e predittiva possibile. Non escludiamo, inoltre, che alla luce di questi risultati alcune diagnosi effettuate in passato vadano decisamente riviste». Questa la conclusione di Tupler che, con lo studio proposto contribuisce, grazie all’apporto di Telethon, a gettare nuova luce su una patologia, la distrofia facio-scapolo-omerale, che nonostante la rarità incide non poco sul benessere dei pazienti e delle loro famiglie.

 

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