E’ stato questo uno dei temi del convegno “L’Etica nelle scelte di politica sanitaria” in memoria di Rosario Bentivegna
“Non me la prendo con l’armata, ma con i parecchi Brancaleoni: grandi e piccoli ambiziosi, spesso improvvisati, o incompetenti, o disonesti (non si è disonesti solo quando si ruba, e comunque i modi di rubare sono tanti), pronti, per conquistare o conservare poltrone anche modeste, a cavalcare tutte le tigri della demagogia, dei cedimenti agli opposti corporativismi, del clientelismo; spesso scelti nello stuolo dei portaborse, e cioè dei falliti politici o professionali”. Sono queste le parole che hanno aperto ieri, alla Camera dei Deputati, il convegno “L’Etica nelle scelte di politica sanitaria” organizzato in ricordo di Rosario Bentivegna, medico del lavoro. Queste parole risalgono al 1984 ma, a quasi 30 anni di distanza, suonano attuali.
Ricordano, se ce ne fosse bisogno, che il nostro paese non è investito solo da una questione di legalità, ma, appunto, anche di etica, parola che potrebbe anche far sorridere a fronte delle pesanti vicende giudiziarie ma che deve essere rivalutata, soprattutto in un settore, come quello medico sanitario, dove scelte anche legali, ma prive di una forte ragione etica, possono segnare il confine tra buona sanità e malasanità, tra salute e malattia e talvolta tra vita e morte dei pazienti.
Ad intervenire sono stati in tanti, da Patrizia Toraldo di Francia, compagna di una vita del medico-partigiano, a Giuseppe Palumbo, Presidente della Commissione Affari Sociali della Camera, e ancora Antonio Fortino, capo della segreteria del Ministro della Salute e Vera Lamonica, segretario confederale della CGIL con delega alla salute. Oltre alle istituzioni ampia è stata la partecipazione di medici e dirigenti sanitari. Tra questi il dottor Salvatore Di Giulio, direttore del Dipartimento di Trapianti dell'Ospedale S. Camillo - Forlanini Spallanzani di Roma il cui intervento ci ha particolarmente colpito in quanto va direttamente a toccare un tema caro a tante persone affette da malattie rare, patologie che talvolta, soprattutto quando non diagnosticate precocemente, comportano danni permanenti e necessitano di un trapianto d’organi, pensiamo ai pazienti con Fibrosi Cistica che necessitano di polmoni nuovi o ai pazienti con sindrome di Alport che spesso vanno incontro al bisogno di un rene nuovo. Bisogni non sempre facili da soddisfare perché, come ha detto chiaramente Di Giulio “benché negli ultimi dieci anni si sia registrato un numero sempre crescente di trapianti effettuati sul territorio nazionale, ancora oggi i pazienti in lista d’attesa sono molti, il tempo medio di attesa alto e la mortalità in lista d’attesa per fegato, polmoni e cuore è elevata”. Ed è proprio a questo punto che entra in gioco l’Etica.
“Le gravi insufficienze d’organo - ha infatti spiegato Di Giulio - rappresentano il massimo handicap della salute relegando chi ne soffre nell’attesa di una donazione e di un trapianto. Il programma di trapianto d’organo rappresenta una delle più alte espressioni organizzative del Servizio Sanitario Nazionale per l’elevato numero di persone, di competenze, di luoghi e di interazioni connessi con il processo di donazione e trapianto. La complessità organizzativa del sistema trapianti si sviluppa in un contesto ricco di valenze etiche per le spinte in territori presidiati dalla ricerca, per la determinazione nel controllo del rischio clinico e per la meravigliosa rinascita alla vita che la donazione degli organi consente . Il programma di trapianti deve rappresentare un impegno costante per il Servizio Sanitario, soprattutto in questo periodo di revisione della spesa in cui il fragile confine fra cura e ricerca rischia di essere infranto dalle terapie a basso costo con riduzione degli investimenti nella ricerca . La ricerca, invece, è parte integrante di un programma di trapianti e deve poggiare su una solida ed efficace gestione della parte clinica e di laboratorio. Questo configura un impegno eticamente rilevante del Servizio Sanitario Regionale e di quello Nazionale in termini di scelte di politica sanitaria: sappiamo, infatti , che la donazione d’organi non ha raggiunto ancora i livelli ottimali attesi dal confronto con altri Paesi - anche se l’Italia figura ai primi posti in Europa – e che molto dipende da problemi organizzativi nella sanità e dai finanziamenti connessi”.
Uno dei fattori limitanti la disponibilità alla donazione sono le opposizioni dei familiari nel caso in cui la persona deceduta non abbia espresso la volontà di donare quando era in vita; infatti la legge consente il prelievo d’organo solo nel caso sia stata espressa esplicitamente questa volontà . “Ci si aspetta - ha detto il medico - che in un futuro breve si potrà essere chiamati ad esprimersi in occasione del rilascio dei documenti pubblici. Purtroppo, per ora, osserviamo che le opposizioni aumentano dove minore è la fiducia nel servizio sanitario o dove , a torto o a ragione, impera la malasanità percepita. La formazione del personale per il riconoscimento di una dimensione etica che esalti la generosità nei rapporti umani in ospedale e la solidarietà con le famiglie e con i pazienti è un elemento centrale nelle scelte di politica sanitaria. L’aumento dell’età media dei donatori deceduti durante la degenza, la complessiva riduzione della mortalità dei ricoverati in Ospedale e il benvenuto abbattimento della mortalità da traumi della strada (uso casco e cintura) sono i principali fattori responsabili della minore disponibilità di organi provenienti da soggetti giovani . Questo impone la necessità di incrementare la donazione da donatore vivente (rene e parte di fegato) con i rilevanti problemi etici sollevati dalla individuazione del donatore, libera da condizionamenti, dalla accurata valutazione della spontaneità del suo atto e della assenza di traffico d’organi”.
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