I genitori si sono opposti alla decisione del giudice inglese, che nega alla bambina la possibilità di essere assistita in Italia, all'Ospedale Bambino Gesù. Ma non è bastato
Nottingham (Regno Unito) – La concessione della cittadinanza italiana e la disponibilità dell'ospedale Bambino Gesù non sono bastate: venerdì scorso un tribunale inglese ha disposto lo stop ai trattamenti che tenevano in vita Indi Gregory e sabato la bambina è stata trasferita sotto scorta di polizia dal Queen's Medical Centre dell’Università di Nottingham, dove era ricoverata, a un vicino hospice. Lì le è stata gradualmente interrotta la ventilazione assistita ed è stata affidata a strumenti alternativi, con la somministrazione di farmaci palliativi per alleviarne le sofferenze. L'agonia è durata un giorno e mezzo e si è conclusa all'1.45 di lunedì mattina, le 2.45 ora italiana. “La mamma l'ha tenuta con sé per i suoi ultimi respiri”, ha riferito il papà. La bambina, di 8 mesi, era nata con una rara e grave malattia mitocondriale, degenerativa e – a detta degli specialisti inglesi – incurabile.
I genitori Dean Gregory, 37 anni, e Claire Staniforth, 35, avevno chiesto almeno che potesse tornare nella loro casa a Ilkeston, nel Derbyshire, ma anche questa opzione non è stata ritenuta praticabile. Secondo quanto riportano i media UK, il giudice dell'Alta Corte di Londra, Robert Peel, ha concluso che l'estubazione e le cure palliative al domicilio della famiglia sarebbero state “praticamente impossibili” e “contrarie al migliore interesse di Indi”, e ha accolto quanto sostenuto dai medici, ovvero che se i genitori avessero scelto di non lasciarla in ospedale, sarebbe dovuta essere estubata in un hospice.
I PRECEDENTI: CHARLIE GARD E ALFIE EVANS
Una vicenda che riporta alla mente altri due tragici episodi, che hanno riguardato due bambini inglesi nati con una malattia simile a quella di Indi: quello di Charlie Gard nel 2017 e quello di Alfie Evans nel 2018. In entrambi i casi l'Ospedale Bambino Gesù si offrì di accogliere i bambini (come per Indi, probabilmente solo per cure palliative), ma dopo un'intensa battaglia legale e mediatica, i giudici britannici decisero di impedire il loro trasferimento e di interrompere il supporto vitale. Charlie morì poco prima di compiere un anno, e Alfie a pochi giorni del suo secondo compleanno.
LA PREMIER MELONI: “ABBIAMO FATTO TUTTO IL POSSIBILE”
“Abbiamo fatto tutto quello che potevamo, tutto il possibile. Purtroppo non è bastato. Buon viaggio piccola Indi”, ha scritto sui social la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. La bambina, lo scorso 6 novembre, aveva ricevuto la cittadinanza italiana al termine di un Consiglio dei ministri straordinario. “Dicono che non ci siano molte speranze per la piccola Indi, ma fino alla fine farò quello che posso per difendere la sua vita, e per difendere il diritto della sua mamma e del suo papà a fare tutto quello che possono per lei”, aveva scritto in quell'occasione Giorgia Meloni.
Un ultimo tentativo c'era stato anche negli ultimi giorni, con il console italiano a Manchester, Matteo Corradini, che in qualità di giudice tutelare della bimba aveva emesso un provvedimento d'urgenza il quale riconosceva l'autorità dei tribunali italiani in questo caso. Il provvedimento autorizzava il trasferimento immediato di Indi al Bambino Gesù di Roma e l'adozione del piano di cure specialistiche dell'ospedale italiano, e nominava curatore speciale della bambina il direttore generale della struttura, Antonio Perno. Questo sulla base del fatto che sotto la legge italiana, il console italiano a Manchester ha il potere di operare come giudice e può emanare provvedimenti di emergenza.
I MEDICI INGLESI: “NON POTEVAMO FARE ALTRO PER LEI”
I medici che avevano in cura Indi, come riporta la BBC, nei giorni scorsi avevano riferito al giudice che la bambina era “chiaramente angosciata, agitata e dolorante” e che, pur potendo l'estubazione avvenire ovunque in teoria, le sue cure successive sarebbero dovute essere “gestite da professionisti qualificati con risorse a disposizione per affrontare le complicazioni e ridurre al minimo il disagio”. In sostanza, avevano ribadito di non poter fare altro per lei.
Keith Girling, direttore medico del Nottingham University Hospitals NHS Trust, aveva dichiarato di essere consapevole del fatto che “è un momento incredibilmente difficile per Indi e la sua famiglia, e i nostri pensieri sono con loro. A seguito della decisione dell'Alta Corte, la nostra priorità – aveva assicurato – rimarrà quella di fornire a Indi cure specialistiche adeguate alle sue condizioni e in linea con le indicazioni della Corte, sostenendo la sua famiglia in ogni modo possibile”.
IL PAPÀ: “LE HANNO TOLTO ANCHE LA DIGNITÀ DI MORIRE IN CASA”
“La vita di Indi è finita all'1:45. Io e Claire siamo arrabbiati, con il cuore spezzato, pieni di vergogna”. Sono le parole di Dean Gregory, il padre, in un messaggio ai suoi avvocati. “Il servizio sanitario nazionale e i tribunali non solo le hanno tolto la possibilità di vivere, ma le hanno tolto anche la dignità di morire nella casa di famiglia a cui apparteneva. Claire l'ha tenuta con sé per i suoi ultimi respiri”, ha aggiunto. “Sono riusciti a prendersi il corpo e la dignità di Indi, ma non potranno mai prendersi la sua anima. Hanno cercato di sbarazzarsi di lei senza che nessuno lo sapesse, ma noi ci siamo assicurati che fosse ricordata per sempre. Sapevo che era speciale dal giorno in cui è nata”.
I genitori avevano fatto di tutto per evitare questo epilogo: “Sono solo concentrato sul salvare la vita di mia figlia e fare ciò che è nel migliore interesse di Indi. Lei merita una possibilità”, aveva spiegato il papà alla BBC, dopo l'ultima pronuncia del giudice. “Ha un Paese che si offre di pagare per tutto: dobbiamo solo portarla lì, così non costerà nulla all'ospedale o al governo”, obiettava il papà. “Tutti pensano: 'perché non la lasciano andare?'. Non hanno nulla da perdere”, rifletteva Dean Gregory, che si era detto sicuro del fatto che Indi avrebbe potuto essere salvata, se avesse avuto il permesso di viaggiare in Italia. “Come padre non ho mai chiesto o implorato nulla in vita mia – aveva detto, disperato – ma ora prego il governo britannico di aiutarmi a salvare la vita di nostra figlia”. Purtroppo, le sue parole non sono state ascoltate.
IL BAMBINO GESÙ: “SIAMO AL SERVIZIO DELLA VITA”
L'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, sempre in prima linea in questa vicenda, aveva chiarito il suo punto di vista con le parole del suo presidente, il prof. Tiziano Onesti. “Come già capitato in passato, abbiamo dato una disponibilità umanitaria e istituzionale, perché ci è stata chiesta dalla famiglia e dal governo italiano. Ma non c'è nessun giudizio sulla sanità o sui medici inglesi, per i quali c'è massimo rispetto e totale apprezzamento per il lavoro che svolgono, pur esprimendo sensibilità diverse”, ha sottolineato Onesti, giovedì scorso, in un'intervista al quotidiano Avvenire.
“Il Bambino Gesù è un ospedale che accoglie e che cura, e non possiamo esimerci dall'accogliere l'appello dei genitori raccolto dalle nostre Istituzioni ai massimi livelli. La nostra è una disponibilità totale a servizio della vita, è questo il messaggio culturale ed educativo che deve passare, al di là della vicenda delicatissima. In un momento storico in cui c'è la guerra, noi ci sentiamo ancora di più per la vita”, ha proseguito il presidente del Bambino Gesù. “Io comprendo la speranza dei genitori nel portare la bimba qui in Italia, magari per salvarla, però noi siamo molto cauti e molto obiettivi. Il percorso clinico fatto in Inghilterra è pienamente condivisibile. Cerchiamo di assicurare un finale diverso coinvolgendo i genitori, anche grazie al supporto di una funzione bioetica dedicata”. Per Indi, invece, così come per Charlie Gard e Alfie Evans, un lieto fine non c'è stato.
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