Grazie alla segnalazione di AIG e l’intervento di OMaR e Cittadinanzattiva, si è fatta chiarezza
La vicenda della donna calabrese affetta malattia di Gaucher alla quale era stata chiesta una autodichiarazione di ISEE inferiore a 25mila euro, per poter ricevere gratuitamente in farmacia – come sempre avvenuto in precedenza - la terapia prescritta per la sua patologia, è stata finalmente chiarita. Ieri una telefonata all’Associazione Italiana Gaucher (AIG), che aveva segnalato la storia, e una PEC indirizzata ad Osservatorio Malattie Rare hanno fornito le spiegazioni necessarie. Spiegazioni sollecitate direttamente dalla Regione Calabria, dopo che OMaR aveva sollevato il caso – raccontato qui – e che insieme a Cittadinanzattiva aveva mandato delle PEC formali. A dare atto di quanto accaduto è ieri sera è stata la dottoressa Paola Franco De Gregorio, responsabile dell’UOS Farmacia Distrettuale Esaro-Pollino, che abbiamo sentito al telefono oltre a riceverne spiegazioni scritte: si sarebbe trattato di un clamoroso errore di comunicazione interna nel sistema sanitario calabrese, che alle prese con il piano di rientro chiede l’ISEE sì, ma solo per i farmaci di fascia C, come avviene anche in alcune altre regioni d’Italia.
“L'Allegato 7 – ha spiegato la dott.ssa – Paola Franco De Gregorio – viene richiesto ai pazienti solo per il rilascio di farmaci di fascia C che non presentano indicazione in scheda tecnica per la patologia rara e altri prodotti che rappresentano prestazioni extra-LEA, che costituiscono un livello di assistenza ulteriore, e che pertanto possono essere garantiti, con fondi propri, solo dalle regioni che si trovano in condizioni di equilibrio finanziario e non da quelle soggette a piano di rientro. È stato dunque un errore da parte della farmacia territoriale, probabilmente legato a un cambio recente di normativa regionale, quello di chiedere la compilazione dell’Allegato 7 per il Cerdelga, che è farmaco di fascia A. Una volta constatato che il farmaco era classificato in fascia A e la diagnosi rientrava tra le indicazioni autorizzate – spiega ancora la dott.ssa – ho chiesto alla collega della farmacia territoriale di Castrovillari di chiarire alla paziente che non avrebbe dovuto presentare alla CAFDM (Commissione Aziendale del Farmaco e dei Dispositivi Medici) un'istanza tramite Allegato 7, in quanto si poteva continuare ad erogare il farmaco direttamente in distribuzione diretta, in base al piano terapeutico in corso di validità. Quest'ultimo chiarimento probabilmente non è stato trasferito alla paziente in maniera tempestiva, a causa della mole di utenti che afferiscono quotidianamente alla farmacia territoriale e all'aggravio di lavoro che purtroppo precede i periodi di ferie, anche se la terapia non è stata mai interrotta e la paziente è stata in ogni caso rassicurata, dalla farmacista, sulla continuità del trattamento. In conclusione, l'episodio accaduto altro non è stato altro che un fatto increscioso dovuto ad un ritardo nella comunicazione da parte del farmacista al paziente, per come già precedentemente specificato”.
Allarme rientrato, dunque, per questa specifica paziente, ma resta tuttavia impossibile non constatare come una comunicazione superficiale abbia creato, in modo ingiustificato, preoccupazione e allarme in una persona affetta da una malattia rara e cronica, quando invece sarebbe importante aver cura di gestire e spiegare queste cose, che toccano in modo forte la salute ma che rischiano di mettere a rischio anche il bilancio familiare, con grande chiarezza. Quello di Cosenza, purtroppo, non è un caso isolato: ogni settimana ad Osservatorio Malattie Rare, allo Sportello Legale oppure tramite segnalazioni di una delle circa 450 associazioni dell’Alleanza Malattie Rare, arrivano segnalazioni di richieste strane, burocrazie perverse che rendono insostenibile il peso della malattia, e quasi sempre alla base ci sono due fattori: una scarsa conoscenza a livello territoriale delle norme che riguardano malattie rare e farmaci orfani e una discrepanza di comportamenti e moduli tra regioni, che rendono complicato raccordare quanto richiesto da centri specializzati fuori regione con quanto concesso e concepito dai servizi della propria regione di appartenenza. Un secondo labirinto in cui i pazienti devono addentrarsi dopo aver già vissuto tutta l’odissea che porta alla diagnosi, e quindi al relativo percorso di presa in carico, che dovrebbe essere chiaro ed uniforme sul territorio nazionale, ma nei fatti non lo è.
Seguici sui Social