L’iniziativa, promossa dalla Società Italiana Medicina Narrativa, ha raccolto il supporto di numerose associazioni di medici e pazienti
Un progetto per non dimenticare, anzi per costruire una memoria collettiva dell’emergenza Coronavirus e per ripartire a fronte di un futuro incerto ma, si spera, più consapevole. È questo il succo di “R-Esistere” un’iniziativa partita dalla Società Italiana Medicina Narrativa (SIMeN) durante il lockdown per rompere il silenzio su un tema scottante come quello della salute individuale, oltre che pubblica, minacciata dal virus SARS-CoV-2. Osservatorio Malattie Rare ha intervistato la sociologa Stefania Polvani, da un anno presidente della SIMeN.
Dottoressa Polvani, come è nato il progetto R-Esistere?
L’idea è partita da un confronto con Mario Cerati, medico odontoiatra di Milano, e Marco Testa, cardiologo dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma, entrambi membri del Consiglio direttivo SIMeN. Quel silenzio così forte, nei giorni del lockdown, interrogava in particolar modo chi, come noi, è da sempre promotore di una cultura della comunicazione e del racconto. Ma poi abbiamo capito che anche un silenzio così forte rappresenta un modo di comunicare: il virus ha lasciato tutti senza parole, senza sapere cosa accadrà, quasi a corto di ossigeno.
Cosa avete fatto a quel punto?
Abbiamo deciso di pubblicare una raccolta di storie per accogliere e captare il punto di vista di quanti stavano sperimentando il COVID-19, in prima persona o in forma indiretta, come gli operatori sanitari e i familiari di persone colpite dal virus, ma anche di quelli che si stavano semplicemente interrogando su quel che stava avvenendo. Quando abbiamo iniziato a pubblicare le storie, eravamo chiusi nelle nostre case e non sapevamo cosa sarebbe accaduto di lì a poco. All’epoca, il progetto non aveva neppure un titolo, non avevamo ancora messo bene a fuoco la questione. Poi, insieme ai creativi dell’agenzia McCaNN Health Italy, che si è resa disponibile a darci una mano, l’idea si è concretizzata nel progetto R-Esistere, che oggi ha un passato, un presente e una prospettiva futura. R-Esistere ha il doppio significato di esistere e, appunto, di resistere. Ma la R sta anche per respiro, ricordo, racconto. Perché quando abbiamo cominciato sentivamo molto forte il tema della memoria, ma anche quello dell’ossigeno e delle terapie intensive.
Come si sviluppa il progetto R-Esistere?
Innanzitutto abbiamo aperto una piattaforma su cui ognuno poteva scrivere la propria storia. Nel frattempo, il progetto è cresciuto all’interno della rete della medicina narrativa, raccogliendo l’adesione e il supporto di importanti realtà nazionali, come Cittadinanzattiva Emilia-Romagna, Digital Narrative Medicine (DNM), Federsanità, Società Italiana di Farmacia Ospedaliera (SIFO), Osservatorio di Medicina Narrativa Italia (OMNI) e Sapienza Università di Roma. Oggi, R-Esistere ha assunto l’aspetto non di un progetto SIMeN, ma di un progetto di medicina narrativa più generale, che raccoglie sì storie di COVID-19, ma soprattutto storie di salute e malattia nel 2020. L’obiettivo, infatti, è quello di raccogliere le testimonianze delle persone al di là dei numeri: pazienti, familiari, operatori sanitari, lavoratori e anche malati di malattia rara, che avevano gli stessi bisogni di prima, ma più difficoltà nell’accesso ai luoghi di cura.
A che punto siete ora?
Oggi la raccolta di storie continua non solo sulla piattaforma R-Esistere, ma viene portata avanti anche dalle altre realtà. In questo contesto, la SIMeN ha dato la disponibilità a fare da coordinamento, attraverso gli strumenti della ricerca narrativa e qualitativa, per comprendere più a fondo cosa è successo dal punto di vista dei vissuti personali. In questo modo R-Esistere diventa un contenitore, un pretesto per fare una sintesi di quello che le persone avevano, hanno e avranno da raccontare rispetto a questa emergenza, che non riguarda solo il numero dei morti e dei ricoverati in terapia intensiva, ma anche il coraggio, l’incertezza e la necessità di cambiare completamente stile di vita, sovvertendo i canoni della salute come l’avevamo conosciuta finora.
Qual è il contributo specifico che la medicina narrativa può avere in un contesto come questo?
La medicina narrativa ha un prima e un post COVID-19. Nel 2014, la Consensus Conference promossa dall’Istituto Superiore di Sanità, ha stabilito le linee di indirizzo, definendo la medicina narrativa come una metodologia di intervento sulla pratica clinica, basata su competenze di ascolto, comunicazione e relazione. La narrazione, infatti, è uno strumento fondamentale per la personalizzazione e l’umanizzazione della cura. Credo che, grazie a un progetto come R-Esistere, potremo portare il significato delle storie anche al di là dei luoghi deputati alla cura della persona, dando un segno importante di quello che, in epoca di malattia, le testimonianze possono insegnare a tutti, e non solo a chi si ammala e a chi cura. Forse, in futuro, R-Esistere potrà fornire l’occasione per dimostrare come gli strumenti della medicina narrativa possano integrare la cosiddetta “evidence based medicine”. In altre parole, potremo capire meglio quanto le storie possano aiutarci a comprendere la realtà della malattia, della salute e della cura.
Quali sono i progetti della SIMeN per il futuro?
Il progetto più ambizioso è quello di fortificare la rete di quanti si occupano di medicina narrativa nel nostro Paese. Inoltre, stiamo lavorando sulla formazione e a breve partirà il primo corso italiano per diventare facilitatori di laboratori di medicina narrativa. Il corso, che si terrà da settembre a dicembre, sarà online, con qualche momento in presenza, se sarà possibile.
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