La dr.ssa Anna Bersano (“Besta”): "La terapia consiste in una rivascolarizzazione tramite bypass, e l'aspettativa di vita dipende dall'esito dell'intervento chirurgico"
MILANO – Nuvola di fumo: è questo, in giapponese, il significato di “moyamoya”. Così, infatti, appaiono ai raggi X i piccoli vasi sanguigni del cervello nelle persone colpite da questa rara sindrome. Una malattia silenziosa e letale, con una frequenza molto bassa: 0,19 casi su 100.000 (0,1 su 100.000 nei paesi occidentali, nei pazienti colpiti da ictus), in aumento perché oggi può essere diagnosticata con maggiore facilità grazie alla risonanza magnetica.
“Il sintomo principale è l'ictus: gli adulti presentano più frequentemente ictus ischemici ed emorragici, mentre i bambini presentano più frequentemente eventi ischemici; altri sintomi sono la cefalea, le crisi epilettiche, la depressione e i disturbi cognitivi. In alcuni casi la malattia può essere scoperta in pazienti che si sottopongono a una risonanza magnetica cerebrale per la cefalea”, spiega la dr.ssa Anna Bersano, dell'U.O. Malattie Cerebrovascolari della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico “C. Besta” di Milano, che custodisce un database sulla patologia e prende in carico circa 10 nuovi casi all'anno affetti da sindrome di Moyamoya.
La causa non è nota, ma si sospetta che alcuni fattori genetici possano influire sull'insorgenza della malattia. Più frequente nelle donne, e con un'età media di 30 anni alla diagnosi, spesso è associata ad alcune sindromi ereditarie come la neurofibromatosi, la sindrome di Down o l'anemia a cellule falciformi. È nota anche l’associazione con alcune malattie autoimmuni. Per convenzione si parla di sindrome di Moyamoya quando la malattia si associa ad altre condizioni e di malattia di Moyamoya quando la condizione è idiopatica.
“È una malattia molto caratteristica: i pazienti presentano una stenosi progressiva delle arterie carotidi interne o delle branche prossimali di queste arterie, che con il tempo possono chiudersi: per compensare questa condizione si sviluppano circoli collaterali, costituiti da vasi neoformati o preesistenti, molto fragili, che possono essere responsabili di emorragie cerebrali”, continua la dottoressa.
“Il gold standard per la diagnosi è l'angiografia, oppure in alternativa la diagnosi può essere fatta attraverso l'angio-risonanza magnetica. L'unica terapia efficace al momento attuale è quella chirurgica, che consiste in una rivascolarizzazione tramite bypass, diretta (si attacca l'arteria cerebrale media ad un'arteria più superficiale) o indiretta (si prende un pezzo di tessuto vascolarizzato e si ribalta sull'area non ben perfusa). I dati sull’aspettativa di vita, sia nei pazienti non operati che su quelli sottoposti a intervento di rivascolarizzazione, sono ancora scarsi nei pesi occidentali”.
Dal 2014 la dr.ssa Bersano ha creato, in collaborazione con una decina di altri centri oltre che con l’U.O. di Neurochirurgia II e le U.O. di Neuropsichiatria Infantile e di Neurologia dello sviluppo dell’Istituto “C. Besta”, un network italiano che prevede la raccolta di un ampio numero di casi di pazienti affetti da malattia o sindrome di Moyamoya per definire meglio la storia naturale della malattia, e di campioni di sangue per comprendere meglio la patogenesi e i fattori genetici coinvolti nella malattia. L'iniziativa, chiamata Progetto GENOMA e iniziata nel 2014, è stata presentata ai primi di marzo all'ISO Stroke Forum di Napoli.
L'U.O. Malattie Cerebrovascolari del “Besta”, centro di riferimento in Lombardia per le malattie neurologiche rare, può inoltre contare su due importanti collaborazioni: una con la European Moyamoya Initiative, una rete europea di centri esperti, e l'altra con il professor Peter Vajkoczy, neurochirurgo della Charité di Berlino, che è un importante centro di riferimento per la malattia Moyamoya.
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