Il professor Antonio Giulio de Belvis: “Questo nuovo PDTA è stato concepito alla luce di quanto stabilito dalla recente legge quadro sulle malattie rare”
Aveva appena sei anni Luca (nome di fantasia) quando per la prima volta ha incontrato il ‘signor Wilson’; un incontro che avrebbe potuto essergli fatale ma che, grazie ai progressi della ricerca e delle terapie, non gli ha impedito, pochi giorni fa, di arrivare all’esame di maturità, bello come il sole. A ricordare la storia di Luca e della sua malattia di Wilson è Salvatore Dilorenzo, Presidente dell’Associazione Nazionale Malattia di Wilson, intervenuto a un workshop su questa malattia rara organizzato dal professor Antonio Grieco, Direttore Medicina Interna e Trapianto di Fegato della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS (FPG-IRCCS), per fare il punto della situazione sull’argomento e presentare il PDTA (Percorso Diagnostico-Terapeutico Assistenziale) dedicato a questi pazienti all’interno dello stesso Policlinico Gemelli. Il workshop, realizzato con il supporto non condizionato di Orphalan, è stato condotto da Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio Malattie Rare (OMaR).
“Non si tratta del primo percorso che la Fondazione Policlinico Gemelli realizza per le persone con malattia rara”, sottolinea il professor Antonio Giulio de Belvis, direttore UOC Percorsi e Valutazione Outcome Clinici, FPG-IRCCS. “È sicuramente però il primo per la rilevanza che si dà alla transizione del paziente dall’età pediatrica a quella adulta ed è il primo della ‘nuova era’ della legge quadro sulle malattie rare, che prevede finalmente la realizzazione di reti tra i centri spoke e gli hub come il Gemelli e la costruzione di piani personalizzati di percorso, anche per ogni paziente affetto dalla malattia di Wilson”.
“La corretta e precoce diagnosi della malattia di Wilson – afferma la dottoressa Annalisa Tortora, dirigente medico presso il CEMAD del Gemelli – resta una sfida per gli epatologi, che va perseguita per garantire l'inizio tempestivo della terapia e dunque una vita normale e senza complicanze a tutti i pazienti. L'obiettivo che ci si è posti con la realizzazione di un percorso dedicato, e con un team multidisciplinare, è quello di porre il paziente al centro, per rispondere alle esigenze cliniche e guidarlo anche nelle fasi più delicate, come il momento del passaggio dall'età dell'adolescenza a quella dell'adulto."
“Il rischio di chi si occupa di malattie rare – ha ricordato introducendo i lavori il professor Rocco Bellantone, Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università Cattolica e Direttore del Governo Clinico, FPG-IRCCS – è di perseguire l’eccellenza, dimenticandosi magari della persona. Un rischio che non corrono né il Policlinico Gemelli né l’Ospedale Bambino Gesù, due istituzioni saldamente unite dalle comuni radici cattoliche”.
“Il paziente con malattia rara – sottolinea il professor Antonio Gasbarrini, Ordinario di Medicina Interna all’Università Cattolica e Direttore del Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche della Fondazione Policlinico Gemelli – è un paziente diverso dagli altri; nei tre anni di attività del nostro ambulatorio di malattie rare gastroenterologiche dell’adulto si sono affidati a noi 700 pazienti, affetti da 35-40 malattie diverse. Un impegno umano e scientifico totalizzante da parte dei medici che li assistono. Per l’epatologo, la malattia di Wilson è la malattia rara per antonomasia”.
L’incontro è stato introdotto dalla lettura magistrale del professor Massimo Zuin, Ordinario di Gastroenterologia dell’Università di Milano, che ha ricordato come la prima descrizione della malattia di Wilson risalga al 1912. Solo nel 1995 è stato scoperto il difetto genetico alla base di questa condizione, una mutazione del gene ATP7B che causa un deficit di escrezione del rame dal fegato nella bile e una sua difettosa incorporazione nella ceruloplasmina, la proteina deputata al trasporto del rame stesso nel sangue. La malattia si trasmette con modalità autosomica recessiva e ha una prevalenza di un caso ogni 30.000 persone (ma in alcune regioni del Sud Italia e in Sardegna si può arrivare a un caso ogni 5.000-8.000 persone). A causa di questa patologia, il rame si accumula soprattutto nel fegato e nel cervello, gli organi più colpiti. Alla diagnosi, la maggior parte dei pazienti presenta un interessamento epatico di varia gravità, che può andare dalla steatosi alla cirrosi epatica. Un 40% circa dei pazienti esordisce con sintomi neurologici (sindrome Parkinson-like, pseudosclerosi, sindrome distonica) associati o meno a interessamento epatico. “Fondamentale è la diagnosi precoce – sottolinea il professor Grieco – per consentire una terapia tempestiva che permetta di controllare e a volte anche di far regredire i sintomi, garantendo a questi pazienti una buona aspettativa di vita”. Purtroppo, però, i ritardi diagnostici possono essere considerevoli perché la patologia è poco conosciuta.
“La malattia di Wilson – ricorda il professor Zuin – andrebbe sempre sospettata nei soggetti con alterazioni epatiche o disturbi del movimento o neuropsichiatrici di causa sconosciuta. Gli esami per confermare il sospetto diagnostico sono il dosaggio della ceruloplasmina plasmatica, del rame urinario e del rame epatico, nonché il test genetico; meno importante, in quanto assente nella metà dei casi, è la ricerca dell’anello di Kayser-Fleischer in corrispondenza della giunzione sclero-corneale. I risultati dei test, da affidare a laboratori specializzati, vanno valutati tutti insieme e combinati con l’esame clinico del paziente. Il test genetico, che nell’adulto è considerato di conferma, nel bambino è ‘nobilitato’ a test diagnostico”. All’orizzonte anche due analisi più sofisticate: la speciazione di tutte le proteine contenenti il rame e la misurazione dei peptidi di ATP7B nel sangue, un test, quest’ultimo, che potrebbe essere adottato anche per lo screening neonatale. E, a proposito di screening, gli esperti hanno sottolineato come questo sia d’obbligo nei parenti di primo grado dei pazienti.
Sul fronte della terapia, quella farmacologica è affidata ai sali di zinco (soprattutto in età pediatrica) e ai chelanti del rame: alla vecchia (e ormai quasi introvabile) D-penicillamina, negli ultimi anni si sono affiancati i nuovi chelanti come la trientina tetracloridrato. “Nelle forme più avanzate di cirrosi e insufficienza epatica – ricorda il professor Grieco – il trapianto di fegato offre una chance di guarigione a questi pazienti”. “Ma la speranza della terapia del futuro – ricorda il professor Giuseppe Maggiore, dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma – è affidata, come è già avvenuto per altre patologie, alla terapia genica”.
Il PDTA Wilson del Policlinico Gemelli recepisce le raccomandazioni del Testo Unico sulle Malattie Rare, licenziato lo scorso novembre e “atteso da vent’anni”, ricorda la dottoressa Domenica Taruscio, Direttrice Centro Nazionale Malattie Rare dell’Istituto Superiore di Sanità. “Questa legge nasce per tutelare il diritto alla salute delle persone con malattia rara, assicurando uniformità di prestazioni e terapie su tutto il territorio nazionale, l’aggiornamento dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e dell’elenco delle malattie rare, nonché il potenziamento della Rete Nazionale Malattie Rare. Prevede, inoltre, che i centri di riferimento nazionale organizzino un PDTA personalizzato. Un’attenzione particolare viene riservata, infine, al tema della transizione del paziente dalle strutture pediatriche a quelle dell’adulto”.
“Tutti i partecipanti all’incontro – conclude il professor Grieco – hanno convenuto sull’importanza di coinvolgere maggiormente i medici di medicina generale e i pediatri di base per una corretta iniziale impostazione del programma diagnostico-terapeutico della malattia di Wilson, che vede nella diagnosi precoce il momento chiave per garantire una vita normale ai pazienti che ne sono affetti. E la Fondazione Policlinico Gemelli, con il suo PDTA, è pronta a rispondere a tutte le attese”.
“Con l’entrata in vigore del Testo Unico Malattie Rare – sottolinea Ilaria Ciancaleoni Bartoli – la definizione dei percorsi e la loro personalizzazione diventano centrali e sono un diritto del paziente e un dovere per i centri di riferimento. Centri che, però, dovranno ora essere soggetti a revisione e costante verifica, per assicurare che veramente siano in grado di dare a chi è affetto da una malattia rara quello di cui ha bisogno. Questa è la teoria che alcuni centri virtuosi, come il Gemelli, stanno già applicando, ma occorre che diventi la pratica in tutto il Paese. E perché questo accada è necessario che vengano emanati i decreti e i regolamenti attuativi del Testo Unico. Su questo, purtroppo, le istituzioni sono già in ritardo”.
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