Prof. Luca Quartuccio: “All’impatto della malattia si aggiungono problematiche psicologiche, percorsi diagnostici lunghi e sofferti e terapie spesso correlate a effetti collaterali importanti”
Le vasculiti ANCA-associate, rare malattie multifattoriali caratterizzate da un’infiammazione dei piccoli vasi sanguigni, incidono sulla qualità di vita dei pazienti sia dal punto di vista fisico che della salute mentale. Le difficoltà si presentano fin dall’inizio: come per tutte le malattie rare, la diagnosi è spesso sofferta e necessita della collaborazione di più specialisti. Si tratta, infatti, di patologie estremamente variabili, con una sintomatologia generica e manifestazioni cliniche che dipendono dagli organi coinvolti. La diagnosi è spesso considerata un traguardo, ma è più realistico immaginarla come il punto di partenza di un percorso terapeutico lungo e, purtroppo, non sempre facile. Ne abbiamo parlato con il prof. Luca Quartuccio, Coordinatore Rete delle Malattie Rare Reumatologiche del Friuli Venezia Giulia.
Nelle persone affette da vasculiti ANCA-associate i vasi sanguigni di piccolo calibro vengono danneggiati da un processo di infiammazione che può comportare danni a reni, polmoni, pelle, cuore, occhi, apparato otorinolaringoiatrico, distretto gastrointestinale e sistema nervoso. Come definito dal nome, sono patologie associate ad anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili (ANCA): normalmente prodotti dal nostro sistema immunitario, questi anticorpi possono attaccare specifiche proteine costituenti di un sottogruppo di globuli bianchi, provocando infiammazione vascolare. In base a come si manifesta la malattia e al tipo di ANCA coinvolto, le vasculiti ANCA-associate sono classificate in tre tipi: granulomatosi con poliangioite (GPA), poliangioite microscopica (MPA) e granulomatosi eosinofilica con poliangioite (EGPA).
“Le vasculiti ANCA-associate hanno quadri clinici molto diversi tra loro, pur presentando un tratto in comune, cioè gli ANCA”, spiega il prof. Quartuccio. “La GPA, ad esempio, è caratterizzata da sintomi che coinvolgono prevalentemente l’area del viso-cranio, mentre la MPA manifesta problematiche a livello polmonare e renale, oltre a neuropatia. La EGPA è la forma meno frequente e quella meno spesso associata ad ANCA: è una malattia che coinvolge gli eosinofili [un tipo di globuli bianchi, N.d.R.] producendo molta infiammazione a livello sistemico e all’interno degli organi, e tra i sintomi fondamentali per la diagnosi c’è l’esordio dell’asma in età adulta. Sono malattie gravi e spesso difficili da identificare: infatti, quando queste patologie esordiscono acutamente, e richiedono un ricovero in terapia intensiva, i clinici si ritrovano nella difficoltà di dover distinguerle da casi di gravi infezioni, per via di sintomi molto simili”. Fortunatamente la ricerca va avanti, non solo nella definizione dei biomarcatori di malattia e nella dimostrazione di efficacia di nuovi farmaci, ma anche nell’identificazione di elementi specifici che consentano di arrivare precocemente a una diagnosi.
Di solito, il medico che per primo intercetta la persona affetta da vasculite ANCA-associata è lo specialista dell’organo da cui parte la malattia, oppure il medico di base. “La diagnosi viene spesso fatta in malattia in fase acuta e il 25% dei pazienti viene visitato direttamente da nefrologo, reumatologo o internista. Successivamente, il percorso di follow-up viene seguito dalle quattro figure fondamentali nella gestione di queste patologie: nefrologo, reumatologo, internista e pneumologo. Per una gestione ottimale del paziente – sottolinea Quartuccio – deve esserci una relazione stretta tra questi specialisti”.
Le vasculiti ANCA-associate sono patologie progressive contraddistinte da un elevato rischio di complicanze e da ripetute ricadute nel corso del tempo: tutto questo si traduce in un pesante fardello per il paziente e per chi lo assiste. La malattia ha innanzitutto un forte impatto fisico, ma può incidere negativamente sulla vita quotidiana anche dal punto psicologico ed emotivo: dolore, depressione, spossatezza, isolamento e astenia sono solo alcune delle problematiche riferite dai pazienti. “Secondo i dati del Gruppo di Studio sulle Vasculiti Sistemiche della Società Italiana di Reumatologia – riferisce a titolo di esempio il prof. Quartuccio – in uno studio condotto su un campione di 276 pazienti, il 30% circa ha dichiarato un peggioramento della capacità lavorativa globale, con un rischio concreto, in qualche caso, di non riuscire a mantenere il proprio impiego”.
“Sulla qualità della vita incide molto anche il percorso che il paziente deve affrontare per ottenere la diagnosi, spesso molto lungo e sofferto”, prosegue Quartuccio. “Una volta identificata la patologia, c’è poi da considerare anche l’impatto delle terapie, che sono inevitabilmente a lungo termine a causa delle ricadute di malattia. Da questo punto di vista, ad influire negativamente sulla qualità di vita dei pazienti sono principalmente i glucocorticoidi: nelle vasculiti ANCA-associate il cortisone è importante, anzi direi fondamentale, e viene somministrato a tutti i pazienti in fase iniziale perché permette alla malattia di andare rapidamente in remissione, ma purtroppo si accompagna a notevoli effetti collaterali, sia a breve che a lungo termine. Negli anni, poi, oltre a immunosoppressori come la ciclofosfamide, l’azatioprina e il metotrexato, si è aggiunto anche il rituximab, un farmaco che colpisce direttamente le cellule che producono gli anticorpi ANCA e che viene usato per indurre e mantenere una remissione della malattia, soprattutto nei pazienti più gravi. Inoltre, di recente è stata approvata anche la molecola avacopan, che inibisce selettivamente l’attivazione del complemento: numerosi sono gli studi sulle vasculiti ANCA-associate che riguardano farmaci aventi come obiettivo l’inibizione del sistema del complemento, sistema che dunque appare un elemento centrale nella patogenesi di queste malattie”.
Infine, tutt’altro che trascurabile e anche l’impatto economico delle vasculiti ANCA-associate sul Servizio Sanitario Nazionale: si tratta, infatti, di malattie che costano molto, soprattutto in termini di ospedalizzazione, perché i pazienti rischiano il ricovero al momento della diagnosi, che, come detto, avviene spesso in caso di manifestazione acuta della patologia, e poi nuovamente nelle ricadute (specie nel caso della granulomatosi con poliangioite), ma anche a causa dell’utilizzo cronico del cortisone, che comporta un’elevata probabilità di infezioni. La ricerca di nuove soluzioni terapeutiche ha quindi il principale obiettivo di rispondere alla necessità di curare al meglio i pazienti, con strategie che consentano di garantire l’integrità degli organi vitali e migliorare la qualità della vita, cercando al tempo stesso di eliminare, o quantomeno ridurre in maniera significativa, l’utilizzo del cortisone.
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