Il prof. Franco Locatelli, Presidente del Consiglio Superiore di Sanità, spiega l’importanza della ricerca che ha condotto all’approvazione del trattamento
Inevitabilmente, quando pensiamo a una malattia ereditaria - anche senza un’approfondita conoscenza della genetica - diamo per scontato che gli errori nel genoma si localizzino in diversi siti e che la propagazione degli stessi, attraverso complessi meccanismi molecolari, sia la causa di sintomi spesso difficili da tollerare. Nel caso delle sindromi beta-talassemiche ciò è vero solo in parte perché, se è innegabile che esse siano estremamente eterogenee sul piano molecolare, è anche vero che rappresentano il più classico esempio di patologie in cui le mutazioni interessano un singolo gene, il gene beta-globinico.
Questa loro caratteristica le ha rese un bersaglio ideale per la terapia genica che, solo pochi giorni fa, ha ricevuto dalla Commissione Europea (CE) l’approvazione condizionale per il trattamento dei pazienti affetti da beta talassemia trasfusione-dipendente (TDT). È, infatti, stata approvata la terapia genica per la beta talassemia sviluppata da bluebird bio, il cui percorso di sperimentazione ha coinvolto anche il Dipartimento di Onco-Ematologia e Terapia Cellulare e Genica dell’IRCCS - Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, diretto dal Prof. Franco Locatelli che spiega all’Osservatorio Malattie Rare quale sia il valore di questo nuovo trattamento.
“La talassemia è una patologia ereditaria trasmessa con modalità autosomica recessiva ed è caratterizzata da una produzione marcatamente ridotta, o del tutto assente, di emoglobina”, precisa il Professor Locatelli. “Gli individui affetti da beta-talassemia nella forma major sono dipendenti da trattamento trasfusionale regolare che consiste nella trasfusione di globuli rossi ogni 21 giorni. Sfortunatamente, con le trasfusioni si accumula ferro e questi pazienti, dopo circa 8-10 trasfusioni, hanno bisogno di iniziare un trattamento con farmaci che rimuovano il ferro che altrimenti si accumulerebbe nell’organismo, provocando complicanze soprattutto a livello del cuore, del fegato, del pancreas, delle ghiandole gonadiche, della tiroide e dell’ipofisi”. Sostanzialmente, per sopravvivere, i pazienti affetti da questa forma di talassemia devono ricevere trasfusioni regolarmente e sottoporsi alla terapia ferro-chelante ma, pur con una perfetta gestione del paziente talassemico - il quale, comunque, deve avere una compliance ai piani di cura - sul lungo periodo si tendono a sviluppare conseguenze legate al sovraccarico di ferro che possono condurre anche alla morte.
“Per quanto l’aspettativa di vita dei soggetti talassemici si sia di molto prolungata, con un’età media per questi pazienti che oggi supera i 40 anni, non c’è un’aspettativa sovrapponibile a quella della popolazione sana”, aggiunge Locatelli. “Tutto ciò rende evidente la necessità di avere accesso ad approcci terapeutici curativi in grado di risolvere definitivamente il problema. Fino a pochissimi anni fa, l’unica terapia in grado di offrire una cura era il trapianto di midollo osseo allogenico da effettuarsi impiegando un donatore perfettamente compatibile da un punto di vista immunogenetico (di solito un fratello), ma che, purtroppo, non è disponibile in più del 25% dei pazienti. Inoltre, il trapianto di midollo è straordinariamente efficace nei bambini e negli adolescenti fino a 14-15 anni, ma tende ad associarsi a complicanze pericolose per la vita oltre questa fascia d’età”. La terapia genica costituisce, dunque, la nuova frontiera terapeutica contro la beta talassemia. “Essa offre il vantaggio di essere sempre impiegabile in tutti i pazienti perché non condizionata dalla disponibilità di un donatore compatibile”. precisa il Professor Locatelli. “In più, trattandosi di un procedimento di re-infusione delle cellule proprie del malato si possono escludere i rischi della malattia da trapianto contro l’ospite, che possono connotare il trapianto allogenico”.
I criteri di inclusione dei pazienti sono fondamentali per determinare l’efficacia di questo innovativo trattamento che ha mostrato risultati molto più che soddisfacenti, indipendentemente dall’età, sia in pazienti adulti che adolescenti ma anche in pazienti pediatrici. “Per accedere alla terapia genica i pazienti dovranno rispondere a determinati requisiti”, spiega Locatelli. “In primis quello del genotipo. La terapia è indicata nei soggetti con genotipo non beta0-beta0, cioè con mutazioni che determinano una grave riduzione di emoglobina ma non una sua completa assenza. La terapia genica, inoltre, è stata al momento approvata nei pazienti di età compresa tra 12 e oltre 50 anni. Infine, un terzo criterio è dato da una performance d’organo, soprattutto a livello cardiaco ed epatico, che non sia compromessa dal sovraccarico di ferro”. Potranno sottoporsi al trattamento i pazienti con un limitato sovraccarico di ferro a livello di cuore e fegato che non presentino infezioni epatiche attive o quadri di cirrosi. “Per l’indicazione attuale, in Italia, gli individui che potranno beneficiare del trattamento si stima siano circa 900”, chiarisce Locatelli. “Ovviamente, quando l’indicazione si allargherà anche ai soggetti con genotipo beta0-beta0 e alla popolazione pediatrica non beta0-beta0 arriveremo a ordini di grandezza intorno ai 2.000-2.500 pazienti. Una proporzione piuttosto consistente dell’intera popolazione dei pazienti con una talassemia dipendente da regolare supporto trasfusionale”.
La beta talassemia è una condizione molto diffusa tra le popolazioni del Mediterraneo e del Medio-Oriente e ciò contribuisce a porre il nostro paese in primo piano nella ricerca di una valida cura contro la malattia. “Con circa 6.000-7.000 individui l’Italia è il Paese europeo, insieme alla Grecia, che presenta il maggior numero di soggetti talassemici con regolare fabbisogno trasfusionale”, precisa Locatelli. “Negli anni, i medici italiani si sono distinti per la qualità nella cura dei pazienti talassemici insegnando a tutto il mondo sia ad ottimizzare i percorsi trasfusionali sia ad utilizzare al meglio la terapia ferro-chelante, ma anche istruendo la classe medica e i pazienti stessi su come affrontare il trapianto allogenico, che ha dato i maggiori riscontri di successo proprio nel nostro Paese”. L’eccellenza italiana nella ricerca e nella cura della beta talassemia trova nell’Ospedale Bambino Gesù di Roma un polo di alto livello. “L’Ospedale Bambino Gesù è stato l’unico centro italiano che ha contribuito ai due studi internazionali di Fase III sulla terapia genica, HGB-207 (Northstar-2) e HGB-212 (Northstar-3)", aggiunge Locatelli. "Globalmente sono stati trattati da noi 10 pazienti, un numero molto significativo se si osserva che, globalmente, i due studi hanno arruolato in tutto il mondo 45 pazienti. Più di un quarto è stato trattato da me e dai miei colleghi”.
In termini di sicurezza e di efficacia la terapia genica di bluebird bio ha prodotto effetti di grande rilievo. “Vale la pena sottolineare che questo è un approccio straordinariamente sicuro”, precisa il professore. “Nei vari studi succedutisi fino ad oggi, nessun paziente ha avuto complicanze fatali e nessuno è deceduto sugli ormai più di 60 pazienti arruolati prima nello studio di Fase I/II che si è svolto negli Stati Uniti e poi nei due studi già citati. Guardando all’efficacia, nello studio Northstar-2, sostanzialmente si è dimostrato che più del 90% dei pazienti ha raggiunto un’indipendenza trasfusionale sostenuta nel tempo e con livelli di emoglobina compresi tra 11 e 13 g/dL, superiori addirittura a quelli osservati nei loro stessi genitori portatori della malattia. Nello studio Northstar-3 che ha arruolato pazienti con la forma grave di talassemia, cioè quelli, con genotipo beta0-beta0, che non hanno produzione neppure una residua quantità di emoglobina, i dati sono molto incoraggianti e mostrano valori di emoglobina derivante dalle cellule geneticamente corrette nell’ordine dei 9-10 g/dL nettamente in grado di garantire l’indipendenza trasfusionale. Questi risultati sono stati ottenuti in soggetti che, anche se avessero trovato un donatore di midollo non avrebbero avuto le stesse chances di successo e lo stesso profilo di sicurezza dal momento che dopo i 14-15 anni di età il trapianto è significativamente più rischioso”.
Dopo il via libera europeo il processo di sviluppo applicativo e commercializzazione prevede che abbia inizio la negoziazione con l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA): la terapia genica sarà inizialmente destinata a pazienti con genotipo non beta0-beta0 in fascia d’età compresa tra 12 e 50 con prospettive di estendersi in futuro anche ai soggetti pediatrici e a quelli con il genotipo beta0-beta0. Una popolazione che andrà allargandosi sempre più. “In prospettiva sapere che esiste una terapia genica in grado di trattare attivamente la malattia potrebbe orientare le scelte di molte coppie in maniera diversa rispetto agli ultimi anni”, conclude Locatelli. “La diagnosi prenatale e la consapevolezza di un trattamento radicalmente curativo applicabile potrebbero non portare ad un’interruzione di gravidanza o, perlomeno, ridurre il numero di coppie che al momento optano per questa soluzione”.
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