In molti pazienti affetti da Sclerosi Lateriale Amiotrofica (SLA) è un particolare aggregato proteico, instabile e altamente reattivo, che ‘avvelena’ il sistema nervoso centrale provocando la paralisi. La struttura tridimensionale di tale aggregato è stata per la prima volta svelata dai ricercatori dell’Università del North Carolina. Lo studio, pubblicato sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze (Pnas), apre la strada a nuovi farmaci mirati contro la Sla e getta nuova luce su altre malattie neurodegenerative accomunate dalla presenza di aggregati di proteine anomale nel cervello, come l’Alzheimer.

Nel caso della Sclerosi Laterale Amiotrofica, i malati vanno incontro ad una graduale paralisi causata dalla perdita dei neuroni deputati al movimento, che controllano attività cruciali come la capacità di parlare, deglutire e respirare. In una piccola percentuale di casi (1-2%) è stata identificata una proteina mutata (chiamata SOD1) che tende a formare aggregati potenzialmente tossici nel cervello. Lo stesso fenomeno, però, sembra verificarsi in un numero ben più ampio di pazienti, pure in assenza di mutazioni genetiche. I ricercatori hanno scoperto che l’aggregato 'killer' nasce dall’unione di tre proteine SOD1 'incollate' fra loro: il complesso, estremamente instabile e reattivo, si è dimostrato capace di uccidere i neuroni motori coltivati in laboratorio.

Per gli autori, questa ricerca potrebbe rappresentare un passo verso lo sviluppo di farmaci in grado di fermare la formazione dei grumi e la progressione della malattia. “Si tratta di un importante passo avanti perché finora nessuno aveva capito esattamente quali interazioni tossiche fossero la causa della morte dei neuroni motori nei malati di Sla - spiega la ricercatrice Elizabeth Proctor, che ha guidato lo studio. “Conoscere la forma di queste strutture - aggiunge - ci permetterà di ideare nuovi farmaci, per bloccarne l’azione o prevenirne addirittura la formazione”. Il team prevede di approfondire la composizione di questa ‘colla’ che tiene insieme le proteine, al fine di trovare potenziali terapie che possano ‘rompere’ questi aggregati o evitare che si formino. Inoltre, questi risultati potrebbero aiutare a far luce su altre malattie neurodegenerative, come Alzheimer e Parkinson. “Ci sono molte somiglianze tra le malattie neurodegenerative - fa notare Nikolay Dokholyan, autore senior dello studio - Quello che abbiamo trovato in questo caso sembra confermare ciò che era già noto sull’Alzheimer, e se riusciamo a capire di più su ciò che accade, si potrebbe potenzialmente aprire una prospettiva in grado di comprendere le radici di altre malattie neurodegenerative.”

Leggi la comunicazione ufficiale diffusa dall’Università UCN.

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