Il team del Prof. Adriano Chiò continua a indagare le cause della grave patologia

Uno studio italiano, guidato dal Prof. Adriano Chiò del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Torino, ha indagato la correlazione esistente tra le mutazioni a carico del gene CHCHD10 e la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), nelle forme ‘familiare’ e ‘sporadica’.

Scopo specifico dello studio è stato quello di valutare le caratteristiche cliniche e di frequenza delle mutazioni a carico del gene CHCHD10 in pazienti italiani con diagnosi di SLA familiare e apparentemente sporadica.
Tra i risultati ottenuti, particolarmente interessante è il fatto che tre pazienti affetti dalla forma sporadica della malattia si sono dimostrati portatori della mutazione c.100C> T (p.Pro34Ser), una mutazione eterozigote presente nell’esone 2 del gene CHCHD10. Nonostante questa mutazione sia stata precedentemente rilevata in due pazienti francesi (non imparentati tra loro) che presentavano Demenza Frontotemporale (FTD) e Sclerosi Laterale Amiotrofica in comorbidità, i pazienti coinvolti nello studio italiano non hanno mostrato evidenze di deficit cognitivo né segni cerebellari/extrapiramidali o deficit neurosensoriali. In effetti, recentemente sono state descritte mutazioni a carico del gene CHCHD10 come causa della comorbidità tra la SLA e la Demenza Frontotemporale. I ricercatori italiani hanno, però, confermato che le mutazioni sul gene CHCHD10 sono presenti all’incirca sull’1% dei pazienti italiani affetti da SLA e sono causa di malattia in soggetti che non mostrano demenza o altri segni clinici atipici.

Secondo uno studio condotto da Chiò et al. nel 2012, approssimativamente il 10% dei pazienti affetti da Sla ha una storia familiare pregressa della malattia o manifesta Demenza Frontotemporale. Nei 2/3 di questi casi sono state identificate mutazioni a carico dei geni SOD1, TARDBP e FUS e nel gene C9ORF72.

Recentemente una mutazione missenso nel gene Coiled-Coil-Helix-Coiled-Coil-Helix Domain Containing 10 (CHCHD10), presente sul cromosoma 22, è stata identificata come causa comune di FTD e SLA in alcuni pazienti francesi (Bannwarth et al., 2014). Nello stesso anno altri studi hanno evidenziato, però, mutazioni a carico dello stesso gene in pazienti, affetti da SLA, senza defict cognitivi. L’importanza delle mutazioni a carico di  CHCHD10 come causa di SLA è rimasta, così, nel tempo poco chiara.

Lo scopo di questo studio è stato, quindi, quello di determinare la frequenza delle mutazioni CHCHD10 in una coorte di pazienti italiani affetti dalle forme sporadica e familiare della malattia.

Lo studio

Nello studio sono stati coinvolti 64 pazienti italiani affetti dalla forma familiare di SLA non imparentati tra loro, reclutati attraverso il consorzio italiano ITALSGEN e 224 pazienti, affetti dalla forma sporadica della malattia, residenti in Piemonte ed identificati tra il giugno 2012 e il giugno 2014. Il gruppo di controllo è stato costituito da 165 individui sani, abbinati ai pazienti per età e sesso. I pazienti appartenenti al gruppo di controllo sono stati reclutati usando le liste di pazienti in cura dagli stessi medici di base che seguivano i pazienti con SLA.
I pazienti affetti da SLA sono risultati negativi per le mutazioni a carico dei geni SOD1, TARDBP, FUS e C9ORF72. Tutti i casi sono stati testati per individuare eventuali deficit cognitivi (utilizzando una batteria di test).
E’ stata eseguita, tramite il test di Reazione a Catena della Polimerasi (PCR), un’amplificazione degli esoni codificanti e degli introni fiancheggianti del gene CHCHD10. Queste regioni sono, poi, state analizzate utilizzando la cromatografia liquida ad alta prestazione in condizioni denaturanti. Infine i prodotti ottenuti tramite PCR, che mostravano profili anormali, sono stati sottoposti a sequenziamento.

I risultati

I risultati ottenuti hanno mostrato che tra i 288 pazienti coinvolti nello studio, in 7 casi erano presenti 4 varianti del gene CHCHD10. Una di queste, trovata in ben tre pazienti, era la mutazione c.100C> T (p.Pro34Ser), una variante eterozigote presente nell’esone 2 che causa la sostituzione amminoacidica di una serina con un residuo di prolina. Le altre varianti identificate erano:c.234G>A, c.274G>A, c.286C>A e c.312C>T.
Dei tre pazienti portatori della mutazione p.Pro34Ser, il primo era una paziente di 69 anni che mostrava disartria (disturbo motorio del linguaggio) e disfagia (disfunzione dell'apparato digerente). Gli esami neurologici, condotti dopo 6 mesi dal manifestarsi della sintomatologia, mostravano atrofia alla lingua con scatto della mascella, debolezza dei muscoli della mano ed iperreflessia generalizzata. Gli esami neurologici eseguiti sulla paziente mostravano segni diffusi di un’attiva e cronica denervazione. Nonostante ciò i test neurofisiologici davano risultati normali. La storia familiare della paziente non riportava casi di SLA o FTD e lei morì 18 mesi dopo l’insorgenza della sintomatologia.
Il secondo paziente mostrò debolezza alla spalla destra all'età di 58 anni. Gli esami neurologici confermarono una marcata atrofia e debolezza ad entrambe le spalle, soprattutto a quella destra. I riflessi tendinei profondi erano normali ad entrambi gli arti superiori, con iperreflessia degli arti inferiori. La risonanza magnetica cervicale dava risultati normali e gli esami neurofisiologici dimostravano una denervazione cronica delle regioni cervicali. Egli si dimostrava cognitivamente normale. La storia familiare del paziente non riportava casi di SLA. Sua madre 94enne era ancora viva al momento dello studio ma affetta da una compromissione dell’andatura, di eziologia sconosciuta.
Il terzo paziente era una donna di 44 anni che presentava disartria. Gli esami neurologici, eseguiti a 3 mesi dall’insorgenza della sintomatologia, rilevarono atrofia linguale e fascicolazioni (contrazioni spontanee, rapide e a intervalli regolari di una o più unità motorie, senza esito motorio), debolezza e ipotrofia a carico dei muscoli della mano e iperreflessia generalizzata. I test neurofisiologici a cui la paziente era stata sottoposta mostravano segni diffusi di un’attiva e cronica denervazione. La storia familiare della paziente non riportava casi di SLA o FTD. Lei morì per blocco respiratorio 15 mesi dopo l’insorgenza della sintomatologia.

Conclusioni

I ricercatori hanno stimato che all’incirca l’1% della serie di pazienti italiani con SLA mostravano la mutazione p.Pro34Ser a carico del gene CHCHD10. La stessa mutazione era stata descritta precedentemente in due pazienti francesi affetti da SLA e Demenza Frontotemporale. Nonostante ciò, in contrasto con quanto rilevato in questi due pazienti, gli individui coinvolti nello studio italiano mostravano forme classiche di SLA e, nello specifico, i tre pazienti con mutazione p.Pro34Ser risultavano cognitivamente normali, senza mostrare deficit cerebellari, extrapiramidali o neurosensoriali.
I risultati ottenuti sono stati comunque coerenti con quelli di studi precedenti. Infatti, mentre la prima serie analizzata di pazienti, portatori di mutazioni sul gene CHCHD10, mostrava un fenotipo FTD puro o associato a SLA, recentemente due mutazioni missenso nel gene CHCHD10 sono state individuate in pazienti con sola SLA, confermando che la mutazione del gene CHCHD10 può essere associata con la SLA familiare senza deficit cognitivo e rappresenta l’1-2% dei casi.
Le mutazioni sono concentrate sull’esone 2 del gene CHCHD10 , il quale codifica per una regione che funge da interfaccia con un’altra proteina. L’attività della proteina CHCHD10 è correlata alla funzionalità mitocondriale, in particolare coadiuva il mantenimento dell’integrità dei mitocondri. Avere chiaro questo aspetto potrebbe essere molto utile per sviluppi terapeutici futuri.
I ricercatori concludono dicendo che l’alta frequenza di queste mutazioni nei pazienti suggerisce la necessità di compiere uno screening sia sui pazienti con la forma familiare che sporadica di SLA.

Lo studio è pubblicato sulla rivista Neurobiology of Ageing X.

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