Lo denunciano Viva la Vita onlus e l’associazione Luca Coscioni: malati costretti a venedere la casa
ROMA – Dei 9 milioni di euro destinati alla Regione Lazio dal Ministero del Welfare per i malati di SLA, faticosamente ottenuti nel 2010 a fronte di proteste di piazza, sono giunti alle casse dei Comuni solo 1 milione e 750mila euro. Ancora nulla, però, alle famiglie. Ed alcuni comuni, tra cui Roma, non hanno ancora predisposto la modulistica per accedere al sostegno sociale. E i malati aspettano i tempi pachidermici della burocrazia, e nel frattempo si vendono la casa, mariti e mogli costretti a lasciare il proprio lavoro per accudire il proprio caro. In attesa di un aiuto concreto che forse non giungerà.
Infatti le casse dell’Assessorato ai Servizi Sociali della Regione Lazio sono completamente vuote e non è possibile emanare le determine attuative già previste in una delibera del 2012.
Il 27 maggio Viva la Vita onlus e l’associazione Luca Coscioni hanno incontrato il neo assessore alle Politiche Sociali della Regione Lazio, Rita Visini.
"Grande disponibilità dell’assessore – commenta Mauro Pichezzi, presidente di Viva la Vita onlus – per risolvere un problema tecnico riguardante l’impossibilità, di fatto,
di utilizzare quei fondi per consentire alle famiglie di pagare un assistente familiare, così come la DGR prevede e caldeggia".
"Impegnandosi a darci una risposta entro 15 giorni – continua Mina Welby, co-presidente dell’associazione Luca Coscioni –, ma nulla è giunto nonostante ripetuti solleciti". E nell’occasione è stato anche annunciato lo stato delle casse regionali completamente vuote. Ma come è possibile che fondi vincolati per la SLA non ci siano? Dove sono stati dirottati? Fondi destinati alle famiglie, alla formazione dei badanti e al registro di patologia, perché ancora non si sa quanti malati ci sono e dove sono.
Gerardina Cantisani, di Roma, affronta la malattia con forza e con dignità nonostante le gravi difficoltà economiche in cui versa. Aspetta con ansia che si sblocchino i fondi e nel frattempo ha messo in vendita la sua casa, si è trasferita presso la figlia insieme a suo marito – uno dei tanti esodati che, dopo 35 anni di contributi, è in attesa della pensione – e non si vergogna a raccontare che gli amici le pagano delle sedute di fisioterapia, le comprano alcuni medicinali e qualche genere alimentare. Sinora non le è stata neanche riconosciuta l’invalidità civile.
Sabrina Di Giulio, malata da più di dieci anni di SLA, vive a Monterosi con i genitori ultraottantenni che si prendono cura di lei. Parla con un comunicatore e con esso scrive: "Il mio distretto mi nega la possibilità di scegliere l’aiuto di una badante. Ho già una badante, ma non ha seguito il corso di formazione previsto dal decreto perché la Regione non l’ha predisposto. Queste sono contraddizioni che i malati non dovrebbero più sopportare. Perché la mia badante che da 4 anni vive con me, giorno e notte, sa tutto quello di cui ho bisogno. Troppe volte mi è capitato di non essere capita dalle operatrici della ASL e se non ci fosse stata lei ad affiancarle sarebbe stato un disastro.
Nel rapporto di cura, è già molto difficile ottenere un’alchimia con un’altra persona, con una relazione fatta per lo più di sguardi e di piccoli gesti, ma se si ha avuto quella fortuna è profondamente ingiusto che qualcuno si interponga a interrompere quell’equilibrio e impedisca di riconoscere la propria badante come esperta di quel malato e delle problematiche della malattia. Se la Regione ha creato questa confusione, la deve risolvere!"
Con le recenti proteste tanti malati di SLA italiani hanno chiesto al Governo fondi per l’assistenza indiretta: qui nel Lazio non ci sono fondi e quei pochi non possono essere impiegati per un badante!
Il 21 giugno ricorre la Giornata Mondiale per la lotta alla SLA: l’ennesimo giorno da ricordare per i malati di SLA della Regione Lazio.
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