Grazie a una corretta presa in carico dermatologica la paziente è stata indirizzata all’ematologo, che ha potuto porre la diagnosi differenziale
Da una dermatite atopica a un caso di miocardite eosinofila. Letta in questa maniera la storia di Barbara potrebbe far rizzare i capelli a molta gente ed è per questa ragione che occorre spiegarne l’evoluzione in maniera chiara, collocandola nel più ampio contesto delle sindromi ipereosinofile, che comprendono un vasto e diversificato gruppo di disturbi, sempre accomunati da una condizione di ipereosinofilia, cioè da un aumento del conteggio degli eosinofili al di sopra della soglia di 1500 unità per mm3 di sangue. Tuttavia, affinché si possa parlare di “sindrome ipereosinofila” occorre anche un riscontro di danno organo e l’esclusione di una serie di cause secondarie tali da giustificare il rialzo degli eosinofili.
“Nel 2013 mi è stata diagnosticata la dermatite atopica”, racconta Barbara, ex infermiera, all’Osservatorio Malattie Rare. “Mi sono rivolta alla Clinica Dermatologica del Policlinico di Milano dove i medici mi hanno attentamente presa in carico prescrivendomi un anticorpo monoclonale con cui per anni sono riuscita a tener sotto controllo la malattia”. La dermatite atopica, infatti, è una forma piuttosto comune di dermatite eczematosa che si riscontra soprattutto in pazienti affetti da allergie, ma non va confusa con una banale allergia: essa può essere originata da mutazioni genetiche specifiche e produrre una sintomatologia fastidiosa che, oltre al prurito, comporta la comparsa di eritemi e lesioni sulla cute, fra cui gli eczemi o le manifestazioni eritrodermiche. Contro questa malattia esistono vari approcci terapeutici che sfruttano farmaci corticosteroidi topici, immunosoppressori sistemici e altri agenti biologici. La dermatite atopica, come pure la rinite, l’asma e alcune forme di fascite o esofagite, può essere sostenuta da uno stato infiammatorio che si caratterizza per un aumento del livello di alcune interleuchine (soprattutto IL-4 e IL-5) in grado di promuovere la differenziazione e l’infiltrazione dei tessuti da parte degli eosinofili. “Alcune sindromi ipereosinofile sono dette "overlap", dal momento che gli eosinofili possono infiltrare diversi organi producendo una sintomatologia eterogenea”, conferma la dottoressa Alessandra Iurlo, della S.C. di Ematologia presso la Fondazione IRCCS Policlinico di Milano. “Tra queste ci sono la granulomatosi eosinofilica con poliangioite [già nota come sindrome di Churg-Strauss, N.d.R.], le polmoniti o le gastroenteriti eosinofile, oltre a certe forme di dermatite atopica”.
“Circa un anno fa ho cominciato a sentirmi stanca e sempre più affaticata nello svolgimento di una serie di attività quotidiane”, riprende Barbara. “Inizialmente ho attribuito la causa della stanchezza ad un leggero aumento di peso ma, dal momento che il problema sembrava non risolversi, mi sono sottoposta agli esami del sangue e nel giro di pochi giorni dal laboratorio mi hanno suggerito di mostrare al più presto i risultati a un medico. Così mi sono rivolta al medico di famiglia che però ha ipotizzato un’infezione delle vie urinarie”. Non del tutto convinta, Barbara si è rivolta al reparto di Dermatologia dove era già seguita ed è entrata in contatto con la dottoressa da cui era già stata visitata in passato, la quale ha immediatamente capito che qualcosa non andava nella conta dei globuli bianchi e ha suggerito una visita specialistica con l’ematologo.
“Escludendo le sindromi ipereosinofile primarie, sottese da mutazioni specifiche come quelle nel trascritto di fusione FIP1L1-PDGFRA o nei geni FGFR1 e JAK2, la gran parte delle ipereosinofilie che giungono alla nostra osservazione sono caratterizzate da un danno d’organo”, aggiunge Iurlo. “Le persone con dermatite atopica, come Barbara, sono seguite dalla Dermatologia, con cui abbiamo stabilito un proficuo canale di collaborazione. Purtroppo, in una ridotta percentuale di casi, i pazienti affetti da ipereosinofilia possono sviluppare, negli anni successivi, un'emopatia maligna”. Il caso di Barbara conferma come l’ipereosinofilia sia una condizione che richiede precisa attenzione non solo da parte dell’esperto immunologo, dermatologo o pneumologo, ma anche dell’ematologo.
“Poco tempo dopo il riscontro delle anomalie all’emocromo mi è accaduto uno strano episodio per cui le dita della mano si sono contratte senza che potessi aprirle e muoverle agevolmente”, ricorda Barbara. “Mi sono immediatamente recata al pronto soccorso e, vista la mia situazione, sono stata trattenuta per una serie di accertamenti comprendenti l’esecuzione di un’ecocolordoppler carotideo, una PET e un esame bioptico del midollo osseo. Dai risultati è scaturita una diagnosi di leucemia linfatica cronica”. Inoltre, la risonanza magnetica ha messo in evidenza un quadro di miocardite eosinofila, una malattia infiammatoria legata all’aumentata presenza di eosinofili nel circolo sanguigno [verosimilmente responsabile dell’episodio ostruttivo di cui Barbara era stata vittima in quei giorni, N.d.R.]. “Sono stata di conseguenza messa in contatto con i medici del reparto di Ematologia e ho iniziato una terapia a base di corticosteroidi ad alto dosaggio”, spiega Barbara. “Col passare del tempo la dose è stata abbassata ed è stata aggiunto un trattamento con un anticorpo monoclonale anti-IL-5 (mepolizumab) da assumere per via sottocutanea una volta al mese”.
Attualmente, il numero dei globuli bianchi di Barbara è sceso, i suoi esami sono migliorati e il suo stato di salute è ben monitorato dai medici con cui Barbara è in contatto diretto. “Non è possibile intervenire allo stesso modo su tutte le ipereosinofilie poiché questa condizione è molto diffusa nella popolazione”, commenta la dottoressa Iurlo. “Occorre perciò selezionare con attenzione i pazienti fin dal principio del loro percorso, con una diagnostica accurata. Il coinvolgimento dei colleghi della Clinica Dermatologica, ad esempio, è fondamentale poiché una gran parte dei pazienti con ipereosinofilia presenta lesioni e patologie cutanee. L’inquadramento diagnostico deve esser fatto in maniera scrupolosa e sempre sulla base di una stretta collaborazione tra gli specialisti di tutte le branche coinvolte”. In questo modo si rende possibile una presa in carico tempestiva, con un protocollo terapeutico in grado di migliorare considerevolmente la qualità di vita dei malati.
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