La speranza è che attraverso la tecnica di 'RNA activation' sia possibile sviluppare un trattamento per una forma ultra rara della malattia
Un inedito percorso di ricerca per una variante rara della sindrome di Rett potrebbe diventare la terapia per numerose altre patologie neurologiche. È quanto si auspica il progetto del Laboratorio di Sviluppo della Corteccia Cerebrale della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste, da poco vincitore di un finanziamento elargito dalla Fondazione Jerome Lejeune, istituzione francese impegnata, tra le altre cose, nel supporto alla ricerca sulla sindrome di Rett.
Patologia progressiva che colpisce il sistema nervoso, soprattutto delle bambine, la malattia è associata alla mutazione di differenti geni. In particolare, in Italia è stata scoperta una variante legata all’alterazione del gene FOXG1. Non a caso, il nostro Paese è molto impegnato nella ricerca di una cura riguardo a questa specifica variante, che si manifesta più precocemente, colpisce anche i maschi ed è ancor più rara della forma classica.
Se una malattia dall’incidenza così bassa difficilmente attrae l’attenzione delle case farmaceutiche, la necessità di dare una risposta a chi ne è affetto non è sfuggita alla Fondazione francese Jerome Lejeune. L’ente che finanzia la ricerca dedicata ai disturbi mentali di origine genetica, ha selezionato il progetto "RNA activation therapy of Rett syndrome-associated FOXG1 haploinsufficiency" come vincitore di un grant di due anni. Il progetto di ricerca è stato proposto dal laboratorio di Sviluppo della Corteccia Cerebrale della SISSA, guidato da Antonello Mallamaci. I risultati della ricerca finanziata forniranno informazioni chiave per il trattamento mirato della variante della sindrome di Rett associata all’aploinsufficienza del gene FOXG1, cioè la mancanza di una copia del gene laddove, normalmente, ce ne sono due.
Tuttavia, il protocollo che verrà messo a punto potrà essere utile anche per la cura di un ampio spettro di altre malattie neurologiche rare. Infatti, l’obiettivo del progetto è sviluppare un nuovo design terapeutico in grado di 'riparare' l’aploinsufficienza neuropatogenetica per geni specifici. È una condizione che accomuna un numero rilevante di patologie, di per sé rare, ma molto gravi e soprattutto prive di qualsiasi terapia. L’eterogeneità dei meccanismi all’origine di questo spettro di malattie e la loro scarsa prevalenza individuale, rende arduo lo sviluppo di cure. Per questo sarebbe necessario sviluppare un approccio generale applicabile in maniera 'industriale' a tutti i casi.
Sfortunatamente, nemmeno i più moderni strumenti di ingegneria genomica, come i popolari enzimi di restrizione artificiali CRISPR, TALEN o ZF, o i fattori trascrizionali programmabili che si basano sulle medesime piattaforme, sono in grado di dare una risposta adeguata per questo tipo di patologie. “Per affrontare tale problema è possibile andare a stimolare delicatamente l'allele del gene risparmiato alla mutazione. Ciò può essere fatto tramite una piccola molecola di RNA, capace di stimolare la trascrizione e per questo detto aRNA (activating RNA)”, suggerisce Mallamaci. A tale scopo è già stato sintetizzato e validato un piccolo RNA specifico (small activating RNA), capace di promuovere la trascrizione di FOXG1, in vitro o nel cervello dell'animale vivo.
Dato che la regolazione genica di FOXG1 si basa su un meccanismo fine di regolazione, sarà fondamentale ottimizzare la somministrazione in vivo dell’aRNA, in modo da ottenere una modulazione precisa della magnitudo dell’espressione genica. “Un ulteriore passo che ci attende è la verifica della capacità da parte della molecola di ripristinare le proprietà morfologiche e funzionali normali nei neuroni dei topi che posseggono un’unica copia di FOXG1”, ha aggiunto il professore della SISSA.
Inoltre, basandosi su una tecnologia sviluppata in SISSA dal gruppo del prof. Gustincich, il laboratorio di Mallamaci sta anche mettendo a punto un ulteriore sistema di stimolazione del gene, basato su un piccolo RNA capace di promuoverne la traduzione. Quindi un altro metodo per aumentare l’espressione di FOXG1 potrebbe basarsi sulla stimolazione della sua traduzione. “Pensiamo che la combinazione di tecniche differenti possa garantire l’efficacia insieme a una bassa interferenza con altri geni potenzialmente sensibili alla stimolazione”, ha spiegato il capo del Laboratorio di Sviluppo della Corteccia Cerebrale.
“Naturalmente, l’implementazione e l’adattamento di questa strategia nei pazienti dovrà essere studiata attentamente”, ha aggiunto Mallamaci. “Ci serviranno ulteriori analisi per stabilire se la terapia va ad alterare le funzioni comportamentali o cognitive”. Dall’approccio proposto ci si attende una robusta prova di fattibilità, strumenti molecolari per la realizzazione di un protocollo adatto ai pazienti e un paradigma generale che possa essere utilizzato come risposta adeguata a numerose aploinsufficienze neuropatogenetiche.
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